26 Set 2017

La teoria dell’ attaccamento di Bowlby tra scuola e famiglia [35]

La teoria dell’ attaccamento di Bowlby tra scuola e famiglia [35]

La teoria dell’attaccamento di Bowlby elaborata tra il 1958 e il 1963, anni in cui lo studioso iniziò a definire i suoi primi studi scientifici, costituisce un punto di partenza per la comprensione della personalità dell’essere umano e del proprio sviluppo nel tempo.

Le teorie precedenti riconducevano l’attaccamento del bambino ad un istinto legato alla sessualità infantile (Freud) o ad un istinto derivato dalla funzione nutrizionale della madre (Klein). Bowlby rifiuta entrambe le teorie ed elabora un proprio modello per cui l’attaccamento è un comportamento innato che si caratterizza per il bisogno di sicurezza nei confronti dei genitori.

La teoria di Bowlby viene generalmente denominata ‘teoria spaziale’ poiché si basa sull’assunto secondo il quale un individuo, per sentirsi bene, deve essere costantemente vicino alla fonte del suo benessere. Ma, in questo schema, vi possono essere più linee di sviluppo in base all’atteggiamento che la fonte di benessere (la madre) attua nei confronti di colui che ha bisogno di affetto (il bambino).

In parole povere, il bambino sarà sempre influenzato dal comportamento positivo o negativo della madre (la prima persona con cui il bambino instaura un legame affettivo), attuando uno dei quattro modelli di attaccamento che sono stati descritti nell’articolo precedente (attaccamento sicuro, insicuro-evitante, insicuro-ambivalente, disorganizzato-disorientato).

Attraverso lo sviluppo del primo legame emotivo con la madre, il bambino sarà in grado di sviluppare rapporti sociali ed integrarsi all’interno di contesti diversi da quello familiare: l’inserimento al nido, ad esempio, può rappresentare una situazione nuova ed insolita per il bambino e bisogna far sì che la separazione del bambino dalla madre avvenga serenamente.

Tale separazione molto spesso viene vissuta in maniera traumatica ed angosciante ma, se il bambino si fida della madre, ed ha quindi stabilito con lei un tipo di attaccamento sicuro, riuscirà a tollerare man mano la sua assenza momentanea e a fidarsi di nuove figure accuditive.

Dopo aver creato una relazione di fiducia, il bambino sarà pronto a sostituire momentaneamente la figura della mamma con quella dell’educatrice.

Il momento di inserimento al nido è sempre preceduto da una fase in cui l’educatrice illustrerà la quotidianità del nido al genitore e cercherà di conoscere meglio il bambino per far sì che quello abbia fiducia in lei. Quando questo avviene, il bambino si sentirà parte di un gruppo che avrà come figura di riferimento l’educatrice, la ‘base sicura’, ovvero una figura di attaccamento che non si sovrapponga alla madre ma che, in assenza di essa, assuma il ruolo di figura di attaccamento primario.

A riguardo interverrà la Dott.ssa Ida Gervasi durante il workshop del 6 e 7 Ottobre “La relazione tra scuola e famiglia: istruzioni per l’uso” e si discuterà dell’attaccamento infantile e del ruolo dell’educatrice come figura di attaccamento.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

19 Set 2017

Il bambino e la figura di attaccamento [34]

Il bambino e la figura di attaccamento [34]

L’attaccamento originario svolge la funzione di prototipo della sicurezza interiore per l’intera vita della persona, di un bisogno che persiste nel tempo, di una base sicura dalla quale la persona parte per vivere con fiducia la vita in modo autonomo”, così Erving Polster, il maggior esponente della psicoterapia della Gestalt, parla del rapporto tra attaccamento e sicurezza interiore.

Il legame di attaccamento tra adulto e bambino permette a quest’ultimo uno sviluppo lineare della propria personalità grazie all’atteggiamento positivo e responsivo dell’adulto che riesce a farlo sentire parte della famiglia e ne accresce autostima e capacità di gestione dello stress.

In che senso un atteggiamento del genere si riflette sulle capacità di gestione delle situazioni dell’adulto di domani?

Durante il primo scambio relazionale, il bambino sperimenta un legame con il caregiver che influenzerà i suoi comportamenti successivi coltivando un senso di autostima e di sicurezza interiore che tale primo legame ha contribuito a rafforzare nel bambino.

Nel caso in cui, però, non vi sia bidirezionalità in questo rapporto e il bambino avverta un’indisponibilità dell’adulto a cui fa riferimento, l’atteggiamento di risposta a tale comportamento è quello di chiusura e di vulnerabilità per paura della perdita dell’altro.

Ovviamente nei primi anni di vita il rapporto che influenza in maniera positiva o negativa il bambino è quello con la madre; tra madre e bimbo si sviluppa un sistema di comunicazione affettiva costituito da gesti, segnali mimici e vocali, etc. Anche il modo in cui il bambino viene tenuto in braccio e coccolato consente al caregiver di creare un rapporto con il proprio figlio, rapporto che si manifesta nella disponibilità emotiva e nel riconoscimento dei suoi segnali comunicativi.

Per verificare la qualità del rapporto che si è instaurato durante l’infanzia con il caregiver, la psicologa canadese Mary Ainsworth ha compiuto uno studio basato su una procedura standardizzata denominata “Strange Situation”: tale studio consiste in una serie di dati raccolti durante una situazione sperimentale in cui il bambino viene allontanato momentaneamente dalla madre e portato in un contesto non familiare.

Lo scopo è quello di studiare il comportamento del bambino in assenza della madre e al suo ritorno per comprendere le diverse reazioni dei piccoli e analizzare le varie tipologie di attaccamento infantile.

Vediamo i quattro stili di attaccamento che la ricerca della Ainsworth ha portato alla luce.

1)Attaccamento sicuro: la sicurezza dell’accessibilità materna rende il bambino tranquillo, non solo quando si trova con la madre ma anche in contesti esterni. Ha un comportamento autonomo ed è spinto verso la ricerca di nuove informazioni, nuove ipotesi e circostanze godendo di una buona sicurezza delle proprie capacità.

2)Attaccamento insicuro-evitante: i bambini evitanti probabilmente rispondono con un atteggiamento indifferente nei confronti del genitore perché hanno sentito poca disponibilità psicologica da parte della figura di attaccamento. Tale atteggiamento si riconosce nei bambini che si allontano con apparente indifferenza dalla madre e si riuniscono a questa con lo stesso atteggiamento: l’indifferenza del bambino è apparente perché attraverso la registrazione del battito cardiaco è possibile dimostrare una notevole attività emozionale.

3)Attaccamento insicuro-ambivalente: è caratterizzato da un eccessivo attaccamento nei confronti del caregiver e da una mancanza quasi totale di autonomia e di interesse verso l’ambiente circostante. Il bambino ambivalente mostra un grande disagio durante l’allontanamento dalla figura materna e il ritorno del genitore non è sufficiente a consolarlo. Il bambino con comportamento insicuro-ambivalente ha forse sperimentato l’instabilità del caregiver e desidera essere perennemente vicino alla madre per paura di perderla.

4)Attaccamento disorganizzato-disorientato: è l’atteggiamento tipico del bambino con caregiver spaventato o spaventoso; legge negli occhi della madre il pericolo e la paura e ad ogni suo allontanamento reagisce in modo ambiguo: può cercare vicinanza o mostrare comportamenti di evitamento, mostrare spavento o comportamenti bizzarri.

Capire questi atteggiamenti infantili e la tipologia del rapporto tra mamma e bambino, è fondamentale per l’educatrice che lavora quotidianamente a contatto con il bambino e con i suoi genitori. La Dott.ssa Ida Gervasi, Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare, durante il workshop del 6 e 7 Ottobre “La relazione tra scuola e famiglia: istruzioni per l’uso”, parlerà dell’attaccamento infantile per permettere alle educatrici di intervenire in maniera adeguata nei vari casi che potrebbero presentarsi all’interno del gruppo classe.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

12 Set 2017

Rapporto scuola-famiglia. Come la scuola può sostenere la famiglia di un bambino autistico [33]

Rapporto scuola-famiglia. Come la scuola può sostenere la famiglia di un bambino autistico [33]

L’inserimento a scuola del bambino autistico, è problematico non solo per lui ma anche e soprattutto per la famiglia che non possiede, a volte, adeguate competenze per gestire al meglio il problema. In questo caso, bisogna chiedersi quale sia il ruolo dell’educatore e quanto sia importante che la scuola collabori con la famiglia fornendo assistenza adeguata.

I genitori rappresentano i maggiori esperti a cui rivolgersi perché sono le persone più vicine al bambino e possono suggerire agli educatori delle tecniche e delle strategie utili che magari in passato sono risultate efficaci: pur non possedendo elevate competenze, conoscono le abitudini del bambino, ciò che lo spaventa e le situazioni in cui appare più tranquillo.

Seguendo il problema da questo punto di vista, ci rendiamo conto dell’importanza della cooperazione tra la famiglia e la scuola senza la quale l’educatore, seppur in possesso di titoli elevati e di una lunga esperienza, riuscirebbe ad intervenire solo in maniera parziale.

Nel febbraio del 2012 il Censis realizza un’indagine, “La dimensione nascosta delle disabilità” (goo.gl/zMn6hn), nella quale i dati più evidenti risultano quelli dell’abbandono dell’attività lavorativa delle mamme di bambini autistici per assisterli costantemente.

Questo perché? Perché la scuola non è ancora pronta ad affrontare il problema e a formare educatori in grado di assistere adeguatamente il bambino autistico.

Parliamo di un’indagine del 2012 sì, ma è pur vero che con il passare degli anni, anche se il Ministero ha fornito linee guida, indicazioni e percorsi sempre più specifici, la specializzazione per gli insegnanti di sostegno e per gli educatori rimane un percorso generalizzato che non comprende studi specifici per l’autismo.

La famiglia del bambino autistico sarebbe giustamente più tranquilla se vi fosse la presenza costante di persone preparate e di insegnanti di sostegno che conoscano bene i fondamenti della pedagogia inclusiva (le metodiche di Schopler, il condizionamento operante, i metodi di comunicazione aumentativa e alternativa).

La necessità di fornire un’assistenza adeguata in ambiente scolastico è sicuramente uno dei punti più importanti quando si parla di relazione scuola-famiglia ma, d’altra parte, non si può tralasciare una seconda questione accennata prima: il forte coinvolgimento di genitori e familiari da parte della scuola.

Il lavoro di rete messo in atto tra insegnanti, educatori, medici, assistenti e genitori è utile a creare una sinergia che si manifesta nella realizzazione di un piano educativo personalizzato, utile per monitorare gli eventuali miglioramenti o peggioramenti del bambino autistico.

La presenza dei genitori è fondamentale durante la stesura del piano educativo perché questo, per funzionare, ha bisogno di continuità nel raggiungimento di obiettivi e strategie anche a casa.

John Cheng Gorman scrive che ogni rapporto insegnante/genitore ha una fase iniziale, una fase di mantenimento e una fase finale.

Durante la fase iniziale l’insegnante deve guadagnarsi la fiducia dei genitori per una futura collaborazione ed individuare gli obiettivi specifici e le strategie di apprendimento.

Nella fase di mantenimento l’insegnante utilizza gli incontri e le comunicazioni per accrescere e migliorare la comunicazione.

La fase finale porta ad un periodo di transizione durante il quale l’insegnante deve incoraggiare la famiglia ad affrontare il successivo step scolastico.

Quest’ultima fase è la più problematica per gli insegnanti di sostegno e per gli educatori. Nei casi in cui si riesca a creare un buon rapporto tra insegnanti e genitori, questi ultimi potrebbero essere riluttanti e non accettare serenamente il passaggio del bambino autistico in altre mani.

L’argomento, parecchio complesso e delicato, verrà trattato dalla Dott.ssa Grazia Delezotti, Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in autismo e disturbi dello sviluppo, durante il workshop “Il bambino al nido: rilevare e gestire anomalie dello sviluppo” organizzato per venerdì 29 e sabato 30 Settembre.

Un secondo appuntamento è previsto per venerdì 6 e sabato 7 Ottobre con il workshop “La relazione tra scuola e famiglia: istruzioni per l’uso” della Dott.ssa Ida Gervasi, Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare, dedicato totalmente al rapporto tra ambiente scolastico e familiare.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

05 Set 2017

I disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS): Strategie di intervento [32]

I disturbi pervasivi dello sviluppo (DPS): Strategie di intervento [32]

Con l’approvazione delle linee guida per il miglioramento delle prestazioni assistenziali nel settore dei DPS (Disturbi Pervasivi dello Sviluppo) da parte del Ministero della Salute  (https://goo.gl/P3LUfr), ci è resi subito conto dell’importanza e della serietà di tali problematiche, non solo a livello familiare e privato, ma anche in ambito sanitario e scolastico.

Ma cosa si intende per disturbi pervasivi dello sviluppo? E perché il Ministero ha ritenuto opportuno dettare delle guide a riguardo? Cerchiamo di fare chiarezza per capire come intervenire in maniera adeguata.

Quando si parla di ‘disturbi pervasivi’ si fa riferimento alla compromissione di tutte, o quasi tutte, le funzioni mentali essenziali e si manifesta solitamente nei primi anni di vita del bambino accompagnandolo per sempre. Di questi disturbi fanno parte, solo per citarne alcuni, l’autismo e la sindrome di Asperger.

La maggior parte dei disturbi pervasivi dello sviluppo, quindi, si caratterizza come stato permanente, come situazione in cui il deficit resta per tutta la vita. Questo però non significa che ogni tipo di intervento sia inutile, anzi molti di questi sono risultati piuttosto efficaci tanto da rendere evidente un miglioramento notevole della situazione.

La musicoterapia, per fare un esempio, può essere un ottimo strumento per il bambino autistico: la difficoltà nell’esprimere le proprie emozioni, i propri sentimenti e disagi viene superata attraverso la terapia musicale, un canale non verbale che stimola e facilita la reazione verbale e vocale (R. Pani, F. Assente). Allo stesso modo invogliare il bambino autistico ad esprimere il proprio stato interiore attraverso attività creative (disegni, pitture e creazioni) è un ottimo modo per stimolarlo ad esternare i propri sentimenti attraverso modalità alternative di comunicazione.

Non si può pensare all’attuazione di tecniche di intervento senza considerare prima l’importanza della preparazione e della formazione continua del personale addetto alla cura del bambino. È necessario che gli educatori abbiano una preparazione adeguata ad assistere i bambini con disturbi pervasivi dello sviluppo e che siano in grado di mettere in atto strategie utili per l’inserimento e l’integrazione di questi nel gruppo classe.

Gli educatori, però, devono essere consapevoli del fatto che non esiste ancora una strategia di intervento conclusiva e risolutiva. Attuando, però, un approccio psicoeducativo, adeguato alle esigenze individuali del bambino, si riescono a notare miglioramenti e atteggiamenti positivi nei casi diagnosticati.

La cosa fondamentale che l’educatrice deve fare, trovandosi dinanzi a casi diagnosticati, è quella di fornire supporto ai genitori in modo tale che il distacco dal bambino e il suo inserimento in un ambiente nuovo avvenga in maniera serena.

È necessario valutare attentamente quale sia il tipo di intervento più adatto al bambino per favorire l’integrazione al nido attraverso l’attivazione di un progetto individualizzato. La costante osservazione delle abilità e la stretta collaborazione con la famiglia per acquisire maggiori informazioni sul bambino, permettono di attuare un piano individuale preparato ad hoc.

Quali azioni dell’educatrice possono favorire un’apertura del bambino e portarlo progressivamente verso la completa integrazione?

L’educatrice deve essere in grado di stabilire un contatto fisico con il bambino autistico ed attivare sequenze di interazione sociale, così come stabilire un contatto affettivo sorridendogli e guadagnandosi la sua fiducia. La creazione di eventi interessanti (bolle di sapone, spettacoli teatrali per bambini) cattura l’attenzione del bambino che, invece di estraniarsi nel suo mondo, si concentra sul reale condividendo gli spettacoli piacevoli con gli altri bambini.

Ovviamente, questi sono solo alcuni dei consigli per far fronte a situazioni problematiche che possono verificarsi all’interno del gruppo classe. L’argomento verrà trattato nel dettaglio dalla Dott.ssa Grazia Delezotti, Psicologa e Psicoterapeuta, esperta in autismo e disturbi dello sviluppo, durante il workshop “Il bambino al nido: rilevare e gestire anomalie dello sviluppo” organizzato per venerdì 29 e sabato 30 Settembre.

Nella prima giornata la Dottoressa si occuperà del riconoscimento dei sintomi e della necessità di effettuare una diagnosi; la seconda giornata invece è incentrata sulle tecniche di gestione e di inserimento del bambino nel gruppo per favorirne l’integrazione.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.