30 Ott 2017

*Pillole: Operatore all’infanzia*

*Pillole: Operatore all’infanzia*

MODULO I. Psicologia dello Sviluppo: sfera cognitiva, emotiva e dinamiche familiari

La psicologia dello sviluppo studia l’evoluzione del comportamento e delle capacità dell’individuo durante tutto il percorso di vita. L’obiettivo di uno studio di questo tipo è la descrizione, spiegazione e comprensione dei vari processi di sviluppo lungo tutto l’arco di vita.

Si è generalmente portati a pensare che l’età adulta sia una fase di stabilità e l’età senile una fase di decadimento, ma è errato pensarla così se consideriamo i possibili nuovi apprendimenti degli adulti e le nuove acquisizioni degli anziani dovute alla plasticità neuronale.

Nelle prime fasi di sviluppo, che in questa sede (e per lo scopo del corso) interessano di più, vi è la creazione dei primi legami di attaccamento e il raggiungimento di una iniziale autonomia rispetto al contesto di crescita.

Perché ci interessa molto questo aspetto? Per il fatto che per noi è fondamentale capire le dinamiche che stanno alla base del comportamento infantile e della relazione di attaccamento tra il bambino e la madre (o un altro caregiver) per l’inserimento del piccolo all’interno di strutture educative per l’infanzia.

Il processo di inserimento al nido è formato da tre tappe: accoglienza, distacco, ricongiungimento.

Il momento dell’accoglienza serve ad individuare le strategie comunicative tra il nido e la famiglia, attraverso colloqui preliminari per conoscersi meglio ed instaurare un solido rapporto per rendere più serena la permanenza del bambino.

Al momento del distacco, il bambino si sentirà inizialmente spaesato, molto probabilmente piangerà o si dispererà, ma questo non sempre è un indice negativo, anzi, attraverso il pianto il bambino sfoga la sua frustrazione e la sua rabbia ma queste sono tappe a volte inevitabili, fino a quando il bambino non comprenderà che la madre sarà di ritorno a prenderlo e finché non avrà trovato nelle operatrici delle figure consolatorie alternative alla madre.

Il riconoscimento della centralità delle relazioni familiari del bambino è importante per tutta la durata del nido e, una particolare attenzione, deve essere data al momento del distacco e a quello del ricongiungimento, due momenti ponte che quotidianamente segnano il passaggio e l’ambientamento dalla casa al nido e viceversa.

È proprio per questo che un buon rapporto tra scuola e famiglia è importante sia per genitori che per il bambino: il colloquio di pre-inserimento prima, e il successivo colloquio con l’educatrice durante i primi giorni di inserimento, sono occasioni utili per conoscere la persona a cui affiderete il vostro bimbo, spiegare le vostre esigenze, esporre le vostre ansie e preoccupazioni.

Nei casi in cui vi sia un rapporto di interazione tra i due ambienti, quello scolastico e quello familiare, si riesce a garantire un percorso di crescita del bambino in cui ogni intervento educativo non si esaurisce in se stesso ma è parte di un sistema molto più ampio di relazioni.

Quando tornano a casa i bambini portano all’interno del contesto familiare le sensazioni e gli stimoli vissuti all’esterno, e allo stesso modo accade al contrario che emozioni e sensazioni vissute all’interno della famiglia vengono trasmesse anche nel contesto educativo.

Cosa accade, però, quando viene a mancare un solido rapporto tra scuola e famiglia?

Il bambino viene considerato come individuo slegato dal nucleo familiare e, ignorando i vari legami affettivi, i metodi pedagogici utilizzati si esauriscono in semplici metodologie tecniche che permettono al bambino di svolgere determinate azioni. Questa modalità educativa non tiene conto della realtà sociale nel quale il bambino vive e determina una eccessiva rigidità del servizio infantile.

Il team di Psyche at Work, con il corso di ‘Operatore all’infanzia’ (in partenza a Bari il 19 Gennaio e da quest’anno nelle nuove sedi di Lecce -dal 24 Febbraio- e Matera -dal 17 Marzo) promuove la formazione psicologica affianco a quella pedagogica per fornire una preparazione adeguata nella gestione dei piccoli e comprendere meglio le loro necessità ed esigenze per intervenire in maniera opportuna nei vari casi di difficoltà.

24 Ott 2017

Pedagogia: il gioco come strumento cognitivo [39]

Pedagogia: il gioco come strumento cognitivo [39]

Tendenzialmente, negli anni passati il gioco è stato considerato esclusivamente come attività ludico-pratica, caratterizzata dalla spensieratezza e dal divertimento. Gli studi pedagogici a riguardo, hanno aperto nuove strade per una concezione di ‘gioco educativo’ solo a partire dagli studi di Bettelheim.

Bruno Bettelheim era convinto che l’esperienza formativa più importante che il gioco offre al bambino è la facoltà di utilizzare le fonti di energia dell’inconscio e dell’irrazionale per trarre la forza di affrontare compiti reali.

Attraverso il gioco, infatti, il bambino impara a comprendere il mondo, a sperimentare nuovi modi per soddisfare i propri bisogni e a scoprire nuovi percorsi di autonomia.

Diverse ricerche hanno permesso di stabilire una correlazione tra il gioco e lo sviluppo cognitivo del bambino. Si pensi, per fare un esempio, a J. Piaget per il quale il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo dei piccoli, intendendo il gioco come la più spontanea abitudine del pensiero infantile.

Piaget individua tre stadi del comportamento ludico: giochi di esercizio, giochi simbolici e giochi con regole. Questi stadi sono in diretta relazione con lo sviluppo dell’intelligenza la quale cresce ed accresce in funzione dell’età:

  • Giochi di esercizio: attraverso i quali il bambino sperimenta il movimento e la tonicità del proprio corpo. Sono quei giochi svolti da 0 a 2 anni, i cui principali compiti cognitivi sono la conquista dell’oggetto e la scoperta di nuove proprietà materiali e funzionali dell’oggetto stesso.
  • Giochi simbolici: dai 2 ai 6 anni, in cui si mantiene dinanzi agli occhi una realtà che non esiste o che è stata vista precedentemente. L’esempio più ovvio è il gioco della bambola con l’imitazione dei comportamenti adulti e dialoghi con la bambola.
  • Giochi con regole: dai 7 agli 11 anni, periodo in cui si sviluppa il ‘pensiero reversibile’, ovvero la capacità di pensare nello stesso momento a due cose differenti o svolgere un compito senza dimenticare quello che si stava svolgendo prima. Vengono, insomma, consolidate tutte le abilità acquisite precedentemente e ne vengono assimilate di nuove.

La capacità cognitiva è legata alla capacità di adattamento del bambino all’ambiente circostante. In questo senso, i fattori esterni possono o meno influenzare lo sviluppo ed è per questo che l’aumento dell’intelligenza deve essere considerato come processo individuale.

Piaget individua due fasi che caratterizzano l’adattamento all’ambiente circostante ed accompagnano il percorso cognitivo individuale per tutta la vita: l’assimilazione e l’accomodamento.

  • Assimilazione: l’elemento esterno viene inserito all’interno di schemi mentali senza che l’esperienza li alteri (ad esempio, il bambino che batte sul tavolo batterà tutti gli altri oggetti perché li ha inseriti all’interno dello schema mentale del ‘battere’).
  • Accomodamento: in questa fase i dati delle nuove esperienze modificano gli schemi già acquisiti (il bambino imparerà che se avrà una palla potrà farla rotolare e potrà, dunque, spostare l’oggetto dallo schema ‘battere’ allo schema ‘rotolare’).

Il 27 e 28 Ottobre durante il workshop “I metodi pedagogici: come sceglierli e utilizzarli nei vari contesti educativi”, la Dott.ssa Rita Laneve, Educatrice e Pedagogista, parlerà di numerosi metodi pedagogici (Montessori, Rousseau, etc.) che utilizzano proprio il gioco come strumento di apprendimento e di come sceglierli in base ai diversi ambienti scolastici.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

17 Ott 2017

Metodi pedagogici: La scuola vivente di Freinet [38]

Metodi pedagogici: La scuola vivente di Freinet [38]

Il naturalismo pedagogico di Célestine Freinet si inserisce nel complesso quadro storico del secondo Novecento: dopo la prima guerra mondiale, l’avvento dei regimi autoritari portò la popolazione ad una esasperazione dovuta alle privazioni delle conquiste ottenute precedentemente (diritto allo sciopero, alla riunione, etc.).

È in questo clima di insoddisfazione che Freinet, sostenitore di una cultura popolare, inizia ad elaborare un nuovo metodo pedagogico fruibile a tutti. Più che di metodo pedagogico, si deve, in effetti, parlare di ‘tecniche’ didattiche per rinnovare l’insegnamento scolastico e ridefinire le finalità dell’educazione.

Freinet nota delle mancanze sia sul piano della tradizionale attività didattica, sia riguardo al materiale cartaceo di studio (libri, manuali).

Come interviene Freinet?

Il Freinet cerca di strutturare un’attività didattica alternativa che non sia limitata allo studio continuo dei materiali di testo, ma che, piuttosto, sia vissuta in prima persona dall’alunno che per la prima volta svolge una lezione all’aria aperta, fuori dalle polverose aule buie e si confronta con il maestro attraverso le osservazioni dei fenomeni, a diretto contatto con la natura e con la realtà sociale.

Tutte le osservazioni fatta all’esterno dell’aula, e sulle quali il maestro basava il proprio insegnamento, dovevano avere un’importanza tale da riuscire a sostituire il rigido e schematico libro di testo, con una nuova tipologia di libro redatto collettivamente.

È proprio questa l’innovazione più celebre del Freinet, la redazione di un ‘libro di vita’, esposto e presentato ad altre classi per fornire spunti di riflessione e discussione, creando una vera e propria corrispondenza interscolastica.

Ma come avveniva la redazione pratica del ‘libro di vita’? Come fanno i ragazzi e il maestro ad elaborare un prodotto innovativo senza quei cospicui fondi che il Municipio rifiuta di destinare alla scuola?

L’innovazione più importante introdotta dal Freinet è l’introduzione della tipografia in classe con un duplice finalità: mettere nero su bianco le osservazioni e le esperienze vissute con il gruppo, e permettere agli alunni di godere di una quotidianità scolastica attiva che giova anche e soprattutto all’apprendimento pratico.

Scrive lo stesso Freinet che “la tipografia a scuola ha fatto diventare pratica quotidiana la libera espressione e l’attività creativa dei nostri alunni. Attraverso l’esperienza, più efficace dei ragionamenti che pretendono di essere scientifici, ha aperto nuovi orizzonti a una pedagogia basata sugli interessi reali, generatori di vita e di lavoro. Ha ristabilito l’unità del pensiero, dell’attività e della vita infantile; ha integrato la scuola nel normale processo di evoluzione individuale e sociale degli alunni”.

La pressa, l’inchiostro, la carta, sono tutti elementi che i bambini da questo momento possono toccare con mano e che li impegnano materialmente per creare prodotti nuovi che raccontino il loro modo di osservare e vivere la realtà. Tutta la produzione cartacea, però, non veniva abbandonata ma l’ingente quantità di materiale prodotto veniva raccolto tramite un apposito strumento, lo schedario, la cui elaborazione impegnò numerose persone, tra cui molti collaboratori del Freinet per far sì che potesse diventare una sorta di enciclopedia del sapere infantile fruibile a tutti.

La Dott.ssa Rita Laneve il 27 e 28 Ottobre terrà un workshop a riguardo, “I metodi pedagogici: come sceglierli e utilizzarli nei vari contesti educativi”, durante il quale si parlerà non solo delle tecniche di Freinet ma anche di molti altri metodi pedagogici (Montessori, Rousseau, etc.) e di come sceglierli in base ai diversi ambienti scolastici.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

10 Ott 2017

I METODI PEDAGOGICI: QUALI SONO E COME UTILIZZARLI [37]

I METODI PEDAGOGICI: QUALI SONO E COME UTILIZZARLI [37]

Nell’ambiente didattico possono essere utilizzate varie metodologie pedagogiche che comprendono modelli, strategie e tecniche di insegnamento che hanno come fine ultimo la facilitazione del processo di apprendimento. Tra le numerose strategie didattiche bisogna, però, saper riconoscere quelle che sono più adeguate al contesto formativo ed educativo in cui si opera.

Quali sono i metodi pedagogici più importanti? E come decidere se utilizzare l’uno o l’altro?

I metodi più conosciuti e comunemente usati sono il metodo Montessori, il metodo Waldorf-Steiner e il metodo Happy Child.

Il metodo Montessori e il metodo Waldorf sono due modelli educativi di stampo psicologico e rappresentano due valide alternative all’insegnamento tradizionale, il quale impone metodi educativi troppo rigidi. Il modello elaborato tra il XIX e il XX secolo da Maria Montessori, parte dall’assunto per cui ogni bambino deve essere libero di esprimere le proprie capacità senza che sia l’adulto a guidare la quotidianità del bambino: in base a ciò si deduce che ogni bambino impari ed apprenda in maniera diversa e in momenti di vita differenti in base alle proprie possibilità e capacità. Il metodo Waldorf, invece, è incentrato in particolare sull’espressività artistica dei bambini attraverso esperienze sensoriali (lavori manuali, pittura con i pennelli, attività pratiche).

Il metodo Montessori è sicuramente adatto a tutti i bambini poiché il piccolo segue la propria naturale tendenza alla scoperta senza oppressione da parte dei genitori o degli educatori ed è così libero di poter esprimere se stesso in tutte le sue forme.

Anche il metodo Waldorf è generalmente adatto a tutti ma quest’ultimo, più del primo, viene adattato progressivamente a ogni situazione in base al temperamento dei bambini presenti; vengono distinti quattro tipi di temperamento infantile: il temperamento malinconico in cui prevale l’importanza dell’io con una fragilità fisica e carenza di appetito; il temperamento collerico proprio dei bambini iperattivi che sfidano il pericolo per ottenere ciò che vogliono; il temperamento sanguinico dei bambini molto nervosi, che compiono più azioni contemporaneamente; il temperamento flemmatico, proprio dei bambini tranquilli a cui piace bere e mangiare e che iniziano a camminare tardi.

Il metodo Happy Child è caratterizzato dalla tempestività dell’apprendimento dato che punta sui primi anni di vita che sono ritenuti quelli più importanti, nei quali il bambino assimila ogni insegnamento ed attività compiuta. Vengono sviluppate la gratitudine e la lode del comportamento positivo per incoraggiare i piccoli verso i progressi quotidiani ed aumentare il proprio senso di autostima anche in casi di ‘insuccesso’.

Tale metodo è generalmente adatto ad ogni bambino ma sicuramente porta risultati più soddisfacenti in quei piccoli che sono tendenzialmente insicuri e poco ottimisti verso le proprie capacità.

Il workshop “I metodi pedagogici: come distinguerli e utilizzarli nei vari contesti educativi” organizzato per venerdì 27 e sabato 28 Ottobre a cura della Dott.ssa Rita Laneve, Educatrice e Pedagogista, è destinato ad educatori e operatori all’infanzia ed è diviso in due parti: durante la prima giornata la Dottoressa parlerà in generale dei metodi pedagogici e, in particolare, del metodo Montessori; la seconda giornata invece è incentrata sul metodo Rousseau, il metodo Happy Child e sulle tecniche di Freinet.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.

03 Ott 2017

L’educatrice come ‘base sicura’ e la difficoltà di separazione nell’inserimento alla scuola dell’infanzia [36]

L’educatrice come ‘base sicura’ e la difficoltà di separazione nell’inserimento alla scuola dell’infanzia [36]

L’inserimento al nido non è affatto un momento facile, né per il bambino, né per la mamma e neppure per le educatrici. È il momento dei primi distacchi vissuti come una sorta di abbandono da parte della madre e, più è forte il legame con essa, più è difficile per il bambino accettare la separazione. Una volta raggiunta la consapevolezza che la madre tornerà sicuramente a riprenderlo a fine giornata, il bambino riuscirà a calmarsi e a vivere in maniera gioiosa il periodo della scuola d’infanzia.

Ma, aspettando che questa consapevolezza sia acquisita dal bambino, come bisogna comportarsi nei casi in cui l’inserimento al nido avvenga in maniera traumatica? E quanto è importante creare un buon rapporto educatrice-bambino?

Sebbene il legame di attaccamento alla madre è stato per anni considerato unico per gli studiosi che sostenevano la prospettiva monotropica, vi sono anche altre figure con le quali è possibile che il bambino instauri un certo tipo di attaccamento, senza sostituirlo a quello materno, che siano delle presenze costanti e sicure (ad esempio l’educatrice).

La qualità della relazione tra educatrice e bambino è misurabile allo stesso modo di quella tra madre e bambino: se l’educatrice si mostrerà disposta ad accogliere e a rispondere ai bisogni emotivi del piccolo sarà la candidata ideale per una figura di attaccamento sicuro.

Quando il bambino ha la possibilità di sperimentare un attaccamento sicuro, a livello psicologico ha un diverso approccio verso il mondo esterno caratterizzato da sicurezza e da curiosità verso nuovi ambienti e diversi contesti. Il bambino che instaura un rapporto sicuro con la propria madre, sarà dunque più facilmente gestibile per l’educatrice poiché questo, spinto da una naturale curiosità verso nuove persone, sarà caratterialmente più aperto.

Alla luce di quanto esposto finora, è naturale che il ruolo dell’educatrice sia fondamentale per lo sviluppo socio-emotivo del bambino, soprattutto nel caso in cui quello abbia sperimentato un tipo di attaccamento insicuro con la madre.

In base al tipo di attaccamento sviluppato con le figure genitoriali è possibile stabilire se il bambino abbia la necessità di inserirsi al nido in tempi molto lunghi, con una iniziale fase di sperimentazione in presenza della madre e un distacco graduale. Altri bambini che sperimentano un tipo di attaccamento sicuro, non hanno bisogno di inserimenti lunghi: a loro basta osservare il nuovo ambiente, trovare dei giochi divertenti e piacevoli e dei nuovi amici con cui fare amicizia.

Ogni bambino necessita, dunque, dei suoi tempi per l’inserimento al nido ed è per questo che una costrizione forzata sarebbe solo un atto controproducente. Ma vi è, allora, un modo per facilitare l’ingresso al nido e renderlo meno traumatico per quei bambini che rifiutano di restarci?

Sicuramente, la prima accoglienza della madre e del bambino è importante per stabilire un contatto iniziale con il piccolo, rassicurandolo sulla struttura della giornata e sul sicuro ritorno della madre, magari accompagnandolo verso la scoperta di nuovi giochi e attività. Insomma, porsi sin da subito come ‘base sicura’ per incoraggiare il bambino ad allontanarsi spontaneamente e ad esplorare individualmente il nuovo ambiente per promuovere il senso di autonomia, diretta conseguenza del legame di attaccamento sicuro.

Nel workshop del 6 e 7 Ottobre “La relazione tra scuola e famiglia: istruzioni per l’uso” si parlerà di attaccamento infantile e del ruolo dell’educatrice come figura di attaccamento con la Dott.ssa Ida Gervasi, Psicologa e Psicoterapeuta Sistemico Familiare.

Per le iscrizioni, è possibile contattare la segreteria di Psyche at Work all’indirizzo info@psycheatwork.com oppure chiamare il numero verde 800.301657.