16 Dic 2020

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è un grave quadro clinico che si manifesta in conseguenza di un fattore traumatico estremo (es. terremoto, incidente, violenza fisica, psicologica o sessuale), in cui la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, minacce di morte, gravi lesioni, minacce all’integrità fisica propria o di altri.

Nella sua forma cronica si sviluppa solo in una piccola parte di sopravvissuti ad un trauma, anche se recenti ricerche hanno dimostrato che un’esperienza traumatica è relativamente comune nella popolazione generale. L’insorgenza di tale disturbo può intervenire anche a distanza di mesi dall’evento traumatico, e la sua durata può variare da un mese alla cronicità, per questo è necessario trattare immediatamente e profondamente il disturbo.

CAUSE DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS

Non esiste un’ipotesi sicura circa le cause del Disturbo Post-Traumatico da Stress.

Una delle ipotesi più accreditate sostiene che a seguito di un grave trauma psicologico sembra avvenga nella persona uno squilibrio del sistema nervoso probabilmente causato da cambiamenti a livello dei neurotrasmettitori (o di adrenalina, cortisolo, ecc.) che determina un blocco del sistema e l’informazione acquisita al momento dell’evento (incluse le immagini, i suoni, l’emotività e le sensazioni fisiche) viene conservata a livello neurologico nel suo stato disturbante. Perciò questo materiale continua a essere innescato da una gamma di stimoli interni ed esterni e si esprime sotto forma di incubi, flashback e pensieri intrusivi.

SINTOMI

I sintomi del Disturbo Post-Traumatico da Stress possono essere suddivisi in categorie:

  • Intrusioni
  • Evitamento
  • Alterazioni negative nella cognizione e nell’umore
  • Alterazioni nell’eccitazione e reattività.

Generalmente, si hanno frequenti ricordi indesiderati che rievocano l’evento scatenante e sono frequenti gli incubi relativi all’evento. Meno comuni sono gli stati dissociativi transitori in cui gli eventi vengono rivissuti come se stessero accadendo. La risposta della persona comprende paura intensa e sentimenti di impotenza o di orrore.

L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente con ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi, che comprendono:

  • Immagini, pensieri, o percezioni, incubi e sogni spiacevoli.
  • Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
  • Disagio psicologico intenso all’esposizione verso fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  • Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  • Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale.
  • Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
  • Irritabilità o scoppi di collera.
  • Difficoltà a concentrarsi.
  • Ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è un quadro clinico che si associa spesso ad altri disturbi, tra i quali troviamo spesso:

  • Disturbi Affettivi e Depressione Maggiore
  • Disturbi da Attacchi di Panico e Fobia Sociale
  • Disturbi Dissociativi nella popolazione psichiatrica
  • Disturbo di Personalità Borderline
  • Abuso e dipendenza da sostanze come strategie di gestione dei ricordi

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress può essere affrontato clinicamente in più modi, poiché rientra nella categoria generale dei Disturbi d’Ansia. Alcune tecniche utilizzate sono:

  • Esposizione – utile per ridurre le situazioni di evitamento.
  • Ri-etichettamento delle sensazioni somatiche – la discussione concreta sulla natura di diverse sensazioni favorisce una categorizzazione dei sintomi di ansia come effetti della sindrome da stress.
  • Rilassamento e respirazione addominale – strumento “sotto controllo” del paziente, il quale può utilizzarle quotidianamente ed autonomamente per alleggerire la tensione e lo stress.
  • Ristrutturazione cognitiva – il soggetto può essere aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei legati all’evento traumatico, divenendo in questo modo consapevole di come effettivamente modifichi il proprio stato emotivo.
  • EMDR (Eye Movement desensitisation and reprocessing) – la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari è una nuova tecnica che permette di riprendere o di accelerare l’elaborazione delle informazioni legate al trauma.
  • Homework – i cosiddetti “compiti per casa” tra una seduta e l’altra, necessari per la continuità del trattamento. Essi sono progettati in collaborazione con il paziente e consistono frequentemente in diari di registrazione di elementi-bersaglio, o diari di automonitoraggio, o in schede di analisi delle cognizioni associate agli eventi.
09 Dic 2020

RESILIENZA… Ma cos’è?

RESILIENZA… Ma cos’è?

DEFINIZIONE

La resilienza è un concetto entrato nella quotidianità di tutti noi e di cui sentiamo parlare, soprattutto in questi ultimi anni, sempre più. Ma cos’è? Come la si può definire?

A questo proposito ci viene in aiuto il dizionario Treccani, che ci fornisce ben tre definizioni di essa:

  • “Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova”;
  • “Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale.”;
  • “In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.”.

Tra queste tre definizioni quella che ci interessa maggiormente è l’ultima, riguardante il campo della psicologia; ma in generale si può notare che in tutte e tre c’è un minimo comune denominatore, ovvero la resistenza a una pressione negativa esterna, che può ritenersi fisica, nel caso dei materiali, dei filati e dei tessuti, e mentale nel caso del campo psicologico.

Da qui in poi, ci concentreremo su quest’ultimo caso.

La persona resiliente dinanzi a un trauma si deforma, ma riesce con caparbietà e adattabilità a far fronte a questa situazione, ritornando alla condizione precedente l’episodio negativo, o in alcuni casi ad una condizione migliore.

ESEMPIO DI RESILIENZA: ALEX ZANARDI

Per comprendere cosa significhi essere resiliente è utile fare un esempio lampante, e che tutti noi conosciamo: Alex Zanardi. Egli è la definizione vivente di “resilienza”! È un ex pilota di Formula 1, che nel 2001 ebbe un gravissimo incidente in cui perse entrambe le gambe. Moltissime persone si sarebbero arrese e avrebbero lasciato senza pensarci il mondo dell’automobilismo, ma Zanardi no. Anzi, decise di disegnare da solo un paio di nuove gambe artificiali, con l’obiettivo di tornare a gareggiare. Questo accadde due anni dopo l’infortunio (nel 2003), proprio sulla stessa pista in cui nel 2001 ci fu l’incidente. Da lì ricominciò la sua carriera automobilistica e corse ben cinque campionati, dal 2004 al 2009, conditi da diverse vittorie. Dal 2007 ha cominciato a praticare la handbike e da qui in poi inizierà la serie di vittorie che tutti noi conosciamo nello sport paralimpico.

Tutta la sua resilienza è possibile captarla in un estratto di intervista in cui disse letteralmente “Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa”. Ecco, da adesso sarà a tutti un po’ più chiaro cos’è la resilienza.

COMPONENTI CHE PERMETTONO DI SVILUPPARE LA RESILIENZA

In uno studio condotto da Cantoni (2014) è emerso che ci sono dei fattori che porterebbero ad un incremento della resilienza e che quindi permetterebbero di aiutare l’individuo ad affrontare diverse realtà avverse. Essi sono:

  1. L’Ottimismo, ovvero la disposizione a cogliere il lato positivo di tutte le cose, ed è strettamente correlato al benessere individuale ed è inversamente legato alla sofferenza fisica e psicologica.
  2. L’Autostima, ovvero l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà a sé stesso. Avere bassi livelli di essa, porta ad avere una bassa considerazione di sé e ad essere troppo critici con sé stessi.
  3. La Robustezza Psicologica (Hardiness), che può essere scomposta in tre sotto-componenti:
    • il controllo (sentirsi in grado di poter controllare l’ambiente esterno, mobilitando le risorse utili per fronteggiarlo);
    • l’impegno (impiegare tutte le proprie forza e tutta la propria volontà per fare qualcosa);
    • la sfida (vedere i cambiamenti esterni come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze).
  4. Le Emozioni Positive, focalizzandosi su quello che si ha, piuttosto che su quello che manca.
  5. Il Supporto Sociale, ovvero una serie di processi interpersonali, in cui la persona si sente amata, stimata e apprezzata.

CONCLUSIONI

In conclusione, le persone resilienti, nelle circostanze avverse, riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà e riescono a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere mete importanti.

Attualmente, sia nella vita in generale che nella vita lavorativa, è essenziale essere resilienti; basti pensare a tutte le volte che ci accadono episodi negativi, ad esempio in famiglia o a lavoro o tra amici, in cui è necessario riprendersi e cercare di tornare alla normalità. O basti pensare a tutti gli eventi catastrofici, come ad esempio terremoti, maremoti, alluvioni, che provocano ingenti danni all’economia di un’area geografica e causano grossi danni alle singole persone e alle singole famiglie perché distruggono case, negozi, attività, strade, etc. In tutti questi casi, riuscire ad andare oltre, tornando così al livello precedente, è importantissimo e se non si riesce a farlo, si rischia di essere coinvolti in un circolo vizioso da cui è impossibile riprendersi.

09 Dic 2020

STILI DI LAVORO

STILI DI LAVORO

In ogni luogo di lavoro ci sono di solito, una varietà di personalità e di stili di lavoro. A volte questo livello di diversità può portare a problemi di comunicazione e conflitti, ma il più delle volte si traduce nello sviluppo di soluzioni creative ed efficaci.

È difficile classificare una persona in un unico stile, ma certamente tutti abbiamo dei tratti dominanti che ci rendono ciò che siamo. Quando si tratta di stili di lavoro, è utile capire un po’ meglio se stessi e riconoscere quello dei propri colleghi. In questo mondo si possono assegnare compiti e delegare, alle persone che più possono esprimere al meglio le loro capacità in quel determinato compito e così compensare le tue debolezze.

Lo stile di lavoro riguarda il modo in cui si svolgono le attività quotidiane sul lavoro. Abbiamo tutti il nostro stile di lavoro individuale per ottimizzare le prestazioni durante il lavoro. Si può essere più efficienti quando si lavora in modo indipendente impostando il proprio programma e attività. O forse si può essere più a proprio agio quando si lavora in un team che può aiutare a rimanere in pista, offrire supporto e dare feedback alle idee.

GLI STILI DI LAVORO PIÙ DIFFUSI

Pioniere. I pionieri accendono energia, si assumono rischi, valorizzano le possibilità e alimentano l’immaginazione della loro squadra. Si può pensare a loro come pensatori di grandi dimensioni, che creano le proprie opportunità o saltano su quelle esistenti. Sono noti per prendere decisioni spontanee e non sono così fissati su piccoli dettagli. Affrontano i problemi a testa alta con la logica e si sentono più connessi quando c’è un dibattito.

Lavoratore indipendente. Lo stile di lavoro indipendente descrive meglio le persone che sono più felici quando lavorano da sole. Trovano difficile collaborare con gli altri e trovano stretta una supervisione eccessiva. Invece di prendere ordini, seguono il loro istinto e vedono dove li porta la loro intuizione. I fautori dello stile di lavoro indipendente sono disciplinati, efficienti e produttivi.

Cooperativo. Questi lavoratori amano lavorare con gli altri su progetti e condividono la responsabilità per qualsiasi compito si assumano. Si nutrono di feedback e sono generalmente brillanti comunicatori. Sono altamente diplomatici e si trovano spesso in ruoli orientati alle relazioni come ruoli di leadership e risorse umane. I project manager, i direttori delle risorse umane e gli account executive sono spesso lavoratori cooperativi, poiché sono tipicamente collaborativi, organizzati e conoscono i dettagli dell’apprendimento strategico.

Prossimità. Lo stile di lavoro di prossimità è un ibrido dei due precedenti. Le persone che rientrano in questa categoria amano mantenere la responsabilità esclusiva di un’attività, ma non si preoccupano di lavorare anche con gli altri. Anche se sono responsabili, condividono la responsabilità con gli altri. Anche mentre perseguono i propri progetti, preferiscono mantenere la connessione sociale con i loro colleghi. Lo stile di lavoro di prossimità si trova in tutti gli aspetti del business. I sostenitori di questo stile di lavoro sono abbastanza adattabili e versatili da indossare molti cappelli allo stesso tempo. Sono loro che possono collegare i tipi cooperativi e indipendenti, aiutando a costruire una squadra che funziona.

Guardiani. I guardiani se la cavano bene con rigore, ordine e stabilità. Queste persone sono contrarie al rischio, pragmatiche e attente ai dettagli. A differenza dei pionieri, queste persone sono attente a tutto, guardano prima di saltare e non sono così entusiaste di saltare in territori inesplorati.

 Sostenitore. Se vedi dipendenti che sono emotivamente consapevoli ed espressivi, devono avere uno stile di lavoro solidale. L’obiettivo principale di questi dipendenti è coltivare legami profondi con i loro colleghi e clienti. Tali dipendenti hanno un talento per facilitare le interazioni del team e di solito possono capire se qualcosa non va con un membro del team. Lavorano bene con la collaborazione invece che con la competizione e amano celebrare il successo con tutta la loro squadra, invece di gonfiarsi di orgoglio.

02 Dic 2020

LA CREATIVITÀ

LA CREATIVITÀ

“Creatività significa semplicemente collegare cose.

Quando chiedi a persone creative come hanno fatto qualcosa, si sentono quasi in colpa perché non l’hanno fatto realmente, hanno solo visto qualcosa e, dopo un po’, tutto gli è sembrato chiaro. Questo perché sono stati capaci di collegare le esperienze vissute e sintetizzarle in nuove cose”.

(Steve Jobs)

La creatività è un concetto complesso. In generale, è una caratteristica che contraddistingue ciascun individuo in quanto essere umano. A volte è associata alla genialità, altre volte si parla di creatività nei bambini quando inventano qualcosa di nuovo, altre volte ancora si utilizza il termine creatività quando si parla di alcune professioni per cui questa caratteristica umana prevede un coinvolgimento importante.

Tutti possiamo essere creativi, infatti la creatività si può definire piuttosto uno stile di vita. È una caratteristica saliente del comportamento umano, seppur in alcuni individui sia più evidente che in altri.

La persona creativa non è creativa una volta ogni tanto, ma è in grado di comportarsi creativamente sempre… è colei che: «in un [dato] campo di attività regolarmente risolve dei problemi, elabora dei prodotti o formula interrogativi nuovi in un modo che inizialmente viene considerato originale ma che finisce per venir accettato in un particolare ambiente culturale» (Gardner, 1994). L’adattare i propri piani alle circostanze richiede un’abilità che ognuno di noi ha già: tutto ciò che dobbiamo fare è rendercene conto, osservare il processo creativo quando emerge e cercare di sfruttarlo intenzionalmente per risolvere i piccoli e grandi problemi della quotidianità; riconoscendo, tra pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e a cambiamenti. Ciò che distingue la creatività dall’arbitrarietà è il fatto che essa accade secondo regole; l’atto creativo non è sempre cosciente e ricercato.

Esistono diversi pensieri che descrivono l’atto creativo:

  • Il pensiero divergente – una forma di pensiero anticonformista, non convenzionale, e più strettamente connessa all’atto creativo. Tale pensiero tende all’unicità della risposta cui tutte le problematiche sono ricondotte, presenta originalità di idee, fluidità concettuale, sensibilità per i problemi, capacità di riorganizzazione degli elementi, produzione di molte risposte diverse fra loro. Nello specifico, è caratterizzato da quattro fattori:
    1. fluidità – la capacità di creare il maggior numero possibile di idee partendo da un determinato stimolo;
    2. flessibilità – il numero di categorie concettuali alle quali le risposte del soggetto possono essere ricondotte;
    3. originalità – la capacità di esprimere idee nuove e insolite, statisticamente improbabili;
    4. elaborazione – l’abilità di dare concretezza alle proprie idee.
  • Il pensiero convergente – una forma di pensiero che si muove, al contrario, verso una soluzione unica e prefissata, scontata, ma efficace, nella quale gioca un ruolo di primo piano il ragionamento logico. Dunque, è un pensiero che rimane circoscritto entro i confini del problema e segue le linee interne al problema stesso, aspettando o utilizzando regole già definite e codificate.
  • Il pensiero strategico – una forma di pensiero orientato a trovare il modo di raggiungere uno scopo. La creatività è vista come: “il percepire le cose da una prospettiva non ordinaria”, la quale permette di trovare la soluzione a problemi apparentemente irrisolvibili.
  • Il pensiero produttivo – una forma di pensiero che presenta un carattere esplorativo e di avventura che apre nuove soluzioni al di fuori della soluzione data, coinvolgendo una molteplicità di aspetti cognitivi.
  • Il pensiero verticale – una forma di pensiero che considera un percorso univoco per la risoluzione dei problemi.
  • Il pensiero laterale – una forma di pensiero in contrapposizione al precedente, che cerca la soluzione dei problemi valutando la molteplicità dei punti di vista, a partire dai quali il problema può essere esaminato e la soluzione trovata con un percorso più breve o inaspettato.

COME ESSERE CREATIVI?

L’azione creativa avviene come prodotto di un pensiero creativo più o meno produttivo. Il processo creativo è formato da quattro momenti:

  1. conoscenza – uno stadio di preparazione, in cui si cerca di comprendere il problema in tutti i suoi aspetti e implicazioni;
  2. sedimentazione – uno stadio di incubazione, in cui il problema è presente sottotraccia;
  3. illuminazione – uno stadio di insight, in cui improvvisamente si trova la soluzione;
  4. verifica – un ultimo stadio, caratterizzato da un controllo accurato della soluzione trovata.

Per essere creativi può essere utile attivare un percorso irrazionale che amplifichi il nostro percepire, piuttosto che il nostro comprendere. Ad esempio, attraverso il brainstorming o “tempesta di cervelli”, una procedura collettiva nella quale ognuno, su un dato argomento, cerca di sparare idee a raffica senza pensarci troppo.

02 Dic 2020

CAREER DEVELOPMENT

CAREER DEVELOPMENT

Lo sviluppo della carriera è il processo di conoscenza di sé, esplorazione e processo decisionale che dà forma alla propria carriera. È necessario navigare con successo nelle proprie opzioni professionali per scegliere e formarsi per lavori che si adattano alla propria personalità, capacità e interessi.

Quando qualcuno presta molta attenzione allo sviluppo della propria carriera, identifica i propri punti di forza e punti ciechi, quindi lavora sodo per migliorare le proprie capacità. Comprende anche l’apprendimento di ruoli e settori diversi per trovare una corrispondenza con le proprie capacità, cercare opportunità di avanzamento e forse anche cambiare completamente la carriera se ne trovava una più adatta.

Lo sviluppo della carriera può iniziare quando qualcuno è piuttosto giovane e sta solo imparando diversi modi per guadagnarsi da vivere. Fa parte dello sviluppo umano e il processo può durare tutta la vita. Lo sviluppo della carriera non finisce dopo aver scelto un’occupazione. Si deve quindi ottenere l’istruzione e la formazione richieste, fare domanda e trovare un impiego e, infine, avanzare nella carriera. Per la maggior parte delle persone, includerà anche il cambiamento di carriera e lavoro almeno una volta (e probabilmente più spesso) durante la loro vita lavorativa. Molte persone si trovano ad aver bisogno di una consulenza professionale quando incontrano problemi o devono prendere decisioni sulla propria carriera, ad esempio quando stanno pensando di cercare un nuovo lavoro o di cambiare professione.

FATTORI CHE INFLUENZANO LO SVILUPPO DI CARRIERA

Lo sviluppo della carriera di una persona può essere influenzato da molteplici fattori, alcuni dei quali possono essere in gran parte al di fuori del loro controllo. Queste influenze devono essere considerate durante il processo di sviluppo di una carriera.

Caratteristiche personali: tipo di personalità, interessi, attitudini e valori legati al lavoro rendono tutti noi ciò che siamo. Queste caratteristiche personali giocano un ruolo significativo nello sviluppo della carriera poiché influenzano le occupazioni che troviamo soddisfacenti, nonché i tipi di ambienti di lavoro in cui avremo successo.

Risorse finanziarie: perseguire determinate opzioni di carriera può essere costoso.

Obblighi finanziari: obblighi finanziari come un mutuo, un affitto, prestiti agli studenti o persino le tasse universitarie di un bambino possono impedire a una persona di cambiare lavoro o carriera.

Disabilità fisiche, mentali ed emotive: alcune persone sono più adatte ad alcune carriere che ad altre a causa di capacità o limitazioni fisiche e mentali.

Età: l’età, o La percezione di essa, può ostacolare nello sviluppo della propria carriera.

Obblighi familiari: lo sviluppo della carriera di una persona può bloccarsi ad esempio si prende una pausa dal lavoro per prendersi cura dei bambini o dei genitori anziani.

L’IMPORTANZA DEL CAREER DEVELOPMENT

Lo sviluppo della carriera sta rapidamente diventando un tormentone, non solo tra individui e dipendenti, ma anche nelle organizzazioni. Molte di queste organizzazioni arrivano persino a stabilire programmi di sviluppo professionale per la loro forza lavoro.

Questo perché ora sono pienamente consapevoli del fatto che lo sviluppo della carriera non è qualcosa che avvantaggia solo l’individuo, ma anche l’organizzazione. Lo sviluppo professionale aiuta l’adattamento alla natura mutevole del lavoro e ai tipi di lavoro e nella gestione del fabbisogno di manodopera.

Le organizzazioni stanno implementando programmi di sviluppo della carriera, perché vogliono qualcosa che possa affrontare i vari problemi di risorse umane e di personale che incontrano. In particolare, lo sviluppo della carriera aiuta a:

  • L’identificazione e la previsione delle esigenze di manodopera. Attraverso lo sviluppo della carriera, l’organizzazione può pianificare la propria struttura in modo più efficace ed efficiente. Gli audit organizzativi vengono spesso condotti per verificare se la struttura attuale funziona o se è necessario ristrutturare e riorganizzare il personale.
  • Garantire una fornitura costante e continua di lavoratori qualificati e di talento. Le migliori e più talentuose persone in cerca di lavoro danno la priorità a candidarsi ad aziende note per avere solidi programmi di sviluppo professionale.
  • Garantire un buon adattamento tra il lavoro e il titolare del posto. Questo è uno dei motivi fondamentali per cui c’è sviluppo di carriera. Per avanzare nella sua carriera, il titolare del lavoro deve assicurarsi di essere in grado di svolgere il lavoro bene e un modo per garantirlo, è perseguire attivamente gli sforzi di sviluppo della carriera volti a migliorare sé stessi.
  • Aumentare la motivazione dei dipendenti e la soddisfazione sul lavoro. I dipendenti che lavorano in un’azienda con una posizione forte e positiva sullo sviluppo della carriera si sentiranno più motivati a lavorare. Rimarranno con l’azienda, poiché promette che c’è un chiaro percorso di carriera da seguire.
  • Lo sviluppo della carriera promuove l’equità nella forza lavoro. Grazie ai programmi di sviluppo della carriera, il campo di gioco sul posto di lavoro potrebbe essere un po’ livellato. Promuove l’equità, in cui i dipendenti possono avere pari opportunità per migliorare sé stessi e avanzare nella propria carriera.
  • Lo sviluppo della carriera aumenta la produttività dei singoli lavoratori. È probabile che dipendenti soddisfatti e motivati migliorino la qualità del loro lavoro. Inoltre, se acquisiscono più conoscenze e più competenze attraverso lo sviluppo della carriera, saranno in grado di aumentare la loro produttività e contribuire maggiormente all’organizzazione.
25 Nov 2020

FEMMINICIDIO: LA PSICOLOGIA DI UN DELITTO

FEMMINICIDIO: LA PSICOLOGIA DI UN DELITTO

Il femminicidio è l’omicidio di donne in nome di sovrastrutture ideologiche di matrice patriarcale. Si riferisce all’uccisione di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, come conseguenza del mancato assoggettamento fisico e psicologico della vittima. Il femminicidio differisce dal generico omicidio, definito come “qualsiasi azione che abbia come conseguenza la morte di un soggetto da parte di un altro soggetto”.

La violenza che non sfocia in un gesto che provochi l’uccisione della vittima può, all’interno del rapporto personale o familiare, essere traumatica e dare l’avvio a disturbi post-traumatici da stress.

Sono state individuate due tipologie di sindromi conseguenti a maltrattamenti:

  • La sindrome di Stoccoloma domestica (Domestic Stockholm Syndrome, DDS) – è una condizione psicologica in cui una persona, vittima di un sequestro o di una condizione di restrizione della propria libertà, può manifestare sentimenti positivi nei confronti del proprio abusatore. Nelle donne maltrattate, tale sindrome si realizza come meccanismo di coping per fronteggiare le violenze intime. Le vittime credono che la propria sopravvivenza sia completamente nelle mani del suo abusante e che l’unico modo per sopravvivere sia di essergli fedele.
  • La sindrome della donna maltrattata (Battered Woman Syndrome, BWS) – è simile alla sindrome di Stoccolma, ma si iscrive all’interno di un “ciclo della violenza” che si articola in una prima fase di accumulo della tensione, una seconda fase di aggressioni e percosse, ed una terza fase di cosiddetta “luna di miele” (una fase “amorosa” di sollievo, che in realtà amplifica il disagio, creando nella vittima speranze illusorie sul fatto che il partner possa cambiare e la violenza possa cessare).

LE RICADUTE SULLA SALUTE

Le conseguenze sulle donne vittime delle violenze sono devastanti.

Un atto di violenza, fisico, psicologico o sessuale cambia una donna per sempre. Può colpire la sua salute fisica, distruggere la sua salute mentale e provocare danni e sofferenze che porterà con sé per il resto della sua vita. Spesso le vittime riportano:

  • lividi e contusioni;
  • gravi infortuni;
  • problemi ginecologici e riproduttivi;
  • gravidanze indesiderate e aborti;
  • malattie sessualmente trasmissibili, come l’HIV;
  • depressione e ansia;
  • disturbi alimentari;
  • disturbi del sonno;
  • dipendenze da alcol, fumo o droghe.

Nel peggiore dei casi arrivano al suicidio.

Quando la violenza è vissuta nell’infanzia le conseguenze sono ancor più drammatiche e irreversibili.

IL PROFILO DEL FEMMINICIDA

L’aggressore domestico secondo quattro tipologie:

  • Il controllatore – colui che teme che il proprio dominio e la propria autorità siano messi in discussione e che pretende un controllo totale sugli altri familiari;
  • Il difensore – che non concepisce l’altrui autonomia, vissuta perciò come una minaccia di abbandono, e sceglie quindi donne in condizione di dipendenza;
  • Colui che è in cerca di approvazione e deve continuamente ricevere dall’esterno una conferma per la propria autostima, mentre qualsiasi critica scatena una reazione aggressiva;
  • L’incorporatore – colui che tende ad un rapporto totalizzante e fusionale con la partner, e la cui violenza è proporzionale alla minaccia reale o alla sensazione di perdita dell’oggetto d’amore vissuta come catastrofica perdita di sé.

Isabella Betsos distingue alcune tipologie di uomo abusante:

  • I narcisisti – hanno necessità di continua ammirazione, sono insofferenti alle critiche, indifferenti alle esigenze altrui, risultano inclini a sfruttare gli altri e hanno la tendenza ad attribuire a questi ultimi la responsabilità di quanto di negativo capita loro.
  • I soggetti con “disturbo antisociale di personalità”, in passato denominati psicopatici e sociopatici – non riescono a conformarsi né alla legge, per cui compiono atti illegali, né alle norme sociali, per cui attuano comportamenti immorali e manipolativi. Elemento distintivo del disturbo è lo scarso rimorso mostrato per le conseguenze delle proprie azioni. Altre caratteristiche rilevanti sono l’impulsività e l’aggressività.
  • Gli individui che presentano un “disturbo borderline di personalità” (DBP) – caratterizzati da repentini cambiamenti di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri, marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri. Possono esperire sensazioni di vuoto interiore, elevata irritabilità e attacchi di collera; vi può essere il ricorso ad alcol e droghe o a comportamenti autolesivi per ridurre la tensione emotiva. Essi presentano, inoltre, relazioni con gli altri tumultuose, intense e coinvolgenti, ma ancora una volta estremamente instabili e caotiche. Non hanno vie di mezzo, sono per il “tutto o nulla”, per cui oscillano rapidamente tra l’idealizzazione dell’altro e la sua svalutazione. In molti casi le due immagini dell’altro, quella “buona” e quella “cattiva,” sono presenti contemporaneamente nella mente del soggetto borderline.
  • I perversi narcisisti – allo stesso tempo più controllati e controllori, ma il controllo non è esercitato attraverso la violenza brutale, bensì per mezzo del plagio e della menzogna. Si nutrono dell’energia di quelli che subiscono il loro fascino ed è l’invidia a guidarli nella scelta del partner.
  • Le personalità paranoiche – coloro che hanno una visione rigida del mondo in generale, e dei ruoli dell’uomo e della donna in particolare, fino ad essere veri e propri tiranni domestici secondo i quali la donna dev’essere sottomessa, non deve prendere decisioni, né essere autonoma, coltivare interessi, tanto meno frequentare altre persone, magari neppure i familiari. Il loro atteggiamento allontana la partner, cosicché essi si sentono autorizzati a ritenersi nel giusto lamentando il disamore di questa.

Combinando le dimensioni delle caratteristiche di personalità e della gravità delle violenze, si distinguono:

  • l’aggressore dominante-narcisista – per il quale la violenza è al servizio del controllo sulla partner al fine di affermare la propria fragile autostima;
  • il geloso-dipendente – che utilizza la violenza sempre in funzione del controllo, ma soprattutto nel timore dell’abbandono da parte della compagna;
  • gli aggressori antisociali – caratterizzati in realtà da diversi livelli di gravità, ma accomunati dalla caratteristica di praticare la violenza dentro e fuori le mura domestiche, come pattern generale di violazione dei diritti altrui.

IDENTIKIT PSICOLOGICO DELLE VITTIME DI FEMMINICIDIO

Si è osservato come la determinazione familiare e culturale della violenza possa innescare quel meccanismo di “propensione alla vittimizzazione” che le vittime presentano. Tra le dinamiche individuate nella “passività” delle vittime di fronte ad aggressioni anche ripetute, è spesso citato il concetto di “incapacità appresa”, secondo cui chi è ripetutamente esposto a una punizione da cui non ha vie di fuga sviluppa la tendenza a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando tale controllo sarebbe possibile.

Tra i motivi per cui queste donne non sanno sottrarsi alla violenza (che sfocia spesso in femminicidio) c’è quello del mantenimento della credenza che vi sia mancanza di alternative, e gli abusanti lo sanno bene, tant’è vero che l’isolamento e la violenza economica sono forme di abuso abitualmente praticate: in questi casi, scomodare il “masochismo” o parlare di collusione per donne prive di alternative sociali ed economiche è solo aggiungere ingiustizia all’ingiustizia.

Un altro fenomeno che occorre considerare nell’illustrare le dinamiche di comportamento delle vittime di femminicidio è il “legame traumatico”, potente e distruttivo, che è talvolta osservato tra le donne maltrattate e i loro abusanti.

COSA FARE?

In primo luogo, è necessaria la valutazione del rischio; successivamente si agisce sulla riduzione del rischio, facendo leva, quando possibile, sulle possibilità di autoprotezione e sulle risorse della persona. Per capire se questo è attuabile, è necessaria una precoce valutazione degli aspetti dissociativi, che comprometterebbero chiaramente le azioni autoprotettive, rendendo quindi necessario l’allontanamento immediato da casa.

Nei casi in cui questo non avviene, si può iniziare a lavorare con la vittima perché incominci a ritagliare un piccolo spazio fisico e mentale in cui stare senza il persecutore, in cui possa incominciare a riappropriarsi di sé, ad avere dei segreti, piccoli momenti in cui ciò che domina dentro di lei non è la mente dell’altro.

Il percorso procede poi con lo svelamento del gioco relazionale dell’aggressore: la vittima deve poterlo comprendere e pian piano acquisire un punto di vista esterno alla dinamica relazionale che la domina. Grazie a questa presa di coscienza, poi, incominciare il distanziamento emotivo dal persecutore; questo apre alla possibilità di ricominciare a fare scelte autonome.

Una volta costruita l’alleanza, il lavoro psicoterapeutico che segue procede per fasi e obiettivi:

  • Ricostruzione della storia personale
  • Affrontare le memorie traumatiche
  • Elaborazione del lutto
  • Ricostruzione di legami affettivi
  • Imparare a combattere
  • Riconciliarsi con sé stessi.
25 Nov 2020

VIRTUAL TEAM E VIRTUAL TEAM BUILDING

VIRTUAL TEAM E VIRTUAL TEAM BUILDING

I lavoratori virtuali e i virtual team sono una parte essenziale delle operazioni aziendali odierne. I virtual team possono essere costituiti da professionisti che lavorano da casa a tempo pieno o part time, altri che prendono parte al lavoro mobile (che non lavorano in ufficio per una parte della settimana) o persone che lavorano in una località remota. La pandemia da COVID – 19 ha avuto un forte impatto sul lavoro a distanza. Intere organizzazioni in tutto il mondo devono ora improvvisamente lavorare a distanza da casa per un periodo di tempo indefinito. Questo evento globale senza precedenti ha reso più importante che mai affrontare le sfide che derivano dall’essere parte di un team virtuale.

SFIDE PER I VIRTUAL TEAM

Una delle sfide maggiori poste dai virtual team è la cattiva comunicazione. Poiché non si può avere una comunicazione faccia a faccia, con i dipendenti virtuali, può essere difficile trasmettere messaggi. Le ragioni principali di questa barriera di comunicazione sono le differenze culturali e le differenze di fuso orari. Inoltre, mancano i segnali visivi e i gesti che si coglierebbero nella comunicazione di persona. Tuttavia, riunioni regolari e strumenti di gestione dei progetti collaborativi possono risolvere questa sfida.

Un’altra sfida deriva dalla mancanza di interazione sociale. Parte della costruzione di una cultura del posto di lavoro si riduce al divertimento insieme. I lavoratori di un virtual team non possono avere momenti di condivisione, come ad esempio andare nell’ufficio di un collega per qualche minuto di battute. Inviare una mail a un collega, ospitare un riunione del team per conversare può aiutare le persone a conoscersi a vicenda nello spazio di lavoro digitale.

Infine, potrebbero essere insufficienti gli strumenti. Se la leadership aziendale non fornisce a un team online tutti gli strumenti di collaborazione di cui ha bisogno e non istruisce i membri su come utilizzare tali strumenti, l’esperimento fallirà. La buona notizia è che sono disponibili diversi strumenti economici e gratuiti.

PERCHÈ È IMPORTANTE IL TEAM BULDING VIRTUALE?

Questa struttura aziendale richiede ai manager di trovare modi creativi per promuovere la comunicazione e la fiducia tra i membri del loro team. Senza un impegno di squadra, i dipendenti non sono altro che individui che lavorano in modo indipendente verso un obiettivo.

Le attività di team building per dipendenti in remoto non sono un concetto nuovo, ma sono una delle opportunità più sottoutilizzate per le aziende di avere un impatto sulle loro operazioni. E non è senza motivo: con una mancanza di interazione faccia a faccia, le aziende con dipendenti in remoto trovano difficile progettare team building efficaci per i virtual team.

È facile per i dipendenti che lavorano in remoto non sentirsi in contatto con ciò che sta accadendo in ufficio. Si può controllare questo isolamento costruendo forti legami personali tra dipendenti e manager. Anche i lavoratori a distanza possono sviluppare quel senso di comunità, ma è necessario uno sforzo maggiore da parte del datore di lavoro. È una buona idea promuovere il team building poiché i dipendenti isolati potrebbero non sapere a chi rivolgersi per ricevere consigli sulla gestione delle sfide sul posto di lavoro.

ATTIVIÀ PER IL TEAM BUILDING VIRTUALE

Anche quando si parla di team building virtuale, trovare l’attività giusta per il proprio team fra le tante possibili non è semplice.

Le attività si possono classificare sulla base di alcuni criteri come:

  • tempistica;
  • durata;
  • finalità;
  • frequenza.

Incrociandoli è possibile capire quale di queste può essere più indicata alla situazione specifica. Dalla Gif Battle alla condivisione delle foto delle scrivanie in disordine, passando per la compilazione del proprio manuale d’uso, esistono tantissime attività ed esercizi utili per il team building virtuale.

QUALI SONO I VANTAGGI DEI GIOCHI PER IL VIRTUAL TEAM BUILDING?

Le attività di team building virtuale possono fornire al team e all’organizzazione un’ampia gamma di vantaggi durante questi tempi difficili. Tra questi troviamo l’esperienza di connessione per offrire al team l’opportunità di riconnettersi e ottenere un po’ di tempo insieme, può migliorare il morale e distogliere la mente dagli eventi, usare la creatività.  Stimola inoltre, la comunicazione con un’attività di team building che offre al gruppo l’opportunità di lavorare insieme. Infine, aiuta ad alleggerire l’umore, a divertirsi e a distogliere la mente dallo stress e dalle incertezze di questo periodo.

18 Nov 2020

ALESSITIMIA ED EMPATIA

ALESSITIMIA ED EMPATIA

ALESSITIMIA deriva dal greco “Alexis thymos”, letteralmente “non avere parole per le emozioni”, ed indica un insieme di caratteristiche di personalità riscontrabili negli individui psicosomatici.

Furono John Nemian e Peter Sifneos ad introdurre tale termine agli inizi degli anni Settanta. Nello specifico, Sifneos lo coniò per indicare “un disturbo specifico nelle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile e incolore lo stile comunicativo dei pazienti psicosomatici”. Non tutti i soggetti psicosomatici, però, esibiscono chiari elementi alessitimici.

Gli individui alessitimici, in genere, oltre ad avere un pensiero simbolico nettamente ridotto o assente, manifestano una serie di difficoltà rispetto a:

  • identificare, descrivere ed interpretare i propri e gli altrui sentimenti;
  • distinguere gli stati emotivi dalle percezioni fisiologiche (corporee);
  • individuare quali siano le cause che determinano le proprie emozioni;
  • utilizzare il linguaggio come strumento per esprimere i sentimenti, con conseguente tendenza a sostituire la parola con l’azione fisica.

I soggetti alessitimici, pur mostrando una normale attivazione fisiologica in presenza di emozioni, hanno ridotte capacità di riorganizzare gli elementi che caratterizzano la loro esperienza corporea in una rappresentazione mentale intrapsichica. Solo apparentemente, sono ben inseriti nella società. Di solito, assumono una postura rigida ed il loro volto manca di movimenti espressivi, presentano processi immaginativi coartati e tendono ad avere esplosioni di collera o di pianto incontrollato e, se interrogati sui motivi di queste manifestazioni, sono incapaci di dare spiegazioni e di descrivere quello che provano. Inoltre, tendono al conformismo sociale ed a stabilire relazioni interpersonali fortemente dipendenti, oppure preferiscono stare da soli ed evitare gli altri, tendendo quindi all’isolamento.

In più, gli individui alessitimici tendono ad assumere alcuni comportamenti compulsivi quali:

  • l’abbuffarsi di cibo;
  • l’abuso di sostanze;
  • il vivere in modo perverso la sessualità per liberarsi dalle tensioni causate da stati emotivi non elaborati.

Taylor, Bagby e Parker, a tal proposito, considerano l’alessitimia un disturbo dell’elaborazione degli affetti che interferisce con i processi di auto-regolazione e riorganizzazione delle emozioni.

Studi e ricerche recenti dimostrano che l’alessitimia è uno dei fattori di rischio per diversi disturbi, sia fisici (coronaropatie, ipertensione, disturbi gastrointestinali) che psicologici (anoressia e bulimia nervosa, depressione, disturbi d’ansia). Caratteristiche alessitimiche, inoltre, sono state individuate anche in pazienti con: dipendenza da sostanze, disturbo post-traumatico da stress, depressione. Infine, l’alessitimia è stata evidenziata anche nei pazienti cha hanno subito un trapianto, che sono in dialisi o in terapia intensiva.

COME SI SVILUPPA L’ALESSITIMIA?

Probabilmente non esiste un’unica spiegazione sulle cause di un fenomeno tanto complesso.

Gli stili di comunicazione, infatti, sono influenzati da fattori socioculturali, dall’intelligenza e dai modelli familiari di conversazione, oltre che da fattori genetici, neurofisiologici e intrapsichici.

In generale, una carente funzionalità dell’emisfero destro potrebbe spiegare non solo la difficoltà dei pazienti alessitimici a riconoscere e descrivere le loro emozioni, ma anche la loro minore capacità empatica.

Tra le varie definizioni possibili, l’alessitimia può essere considerata un deficit della funzione riflessiva del Sé per la mancanza di consapevolezza emotiva che la caratterizza.

COSA SI INTENDE PER EMPATIA?

Al contrario dell’alessitimia, l’EMPATIA è quell’abilità che consente alle persone di entrare in sintonia con i propri e gli altrui stati d’animo. Quanto più si è aperti verso le proprie emozioni, tanto più abili si è nel leggere i sentimenti altrui, infatti tale abilità si basa proprio sull’autoconsapevolezza e consente di capire come si sente un’altra persona. La capacità empatica permette di leggere e capire non solo le emozioni che le persone esprimono a parole, ma anche quelle che, più o meno consapevolmente sono espresse con il tono di voce, i gesti, l’espressione del volto e altri simili canali non verbali. Questa capacità entra in gioco in moltissime situazioni, da quelle tipiche della vita professionale a quelle della vita privata.

Secondo Goleman, l’empatia e l’autocontrollo sono due competenze sociali che aiutano l’individuo a costruirsi una vita relazionale ricca ed emotivamente soddisfacente, la quale influenza positivamente anche il benessere psico-fisico della persona.

18 Nov 2020

PERCHÉ PRENDERSI UNA PAUSA A LAVORO

PERCHÉ PRENDERSI UNA PAUSA A LAVORO

Non siamo macchine e questo vuol dire che non possiamo essere produttivi 24/7. Fare pausa mentre si lavora può sembrare un lusso, ma la verità è che è uno strumento per diventare davvero efficienti sul lavoro. Nonostante ci si può sentire spesso sopraffatti da tante cose da fare, non possiamo essere sempre concentrati e vigili. Ogni tanto serve una pausa, un momento per fermarsi e sgomberare la mente.

Prendersi una pausa è quindi necessario ed essenziale se si vuole dare il meglio di sé. Uno studio dell’Università dell’Illinois del 2011 ha rilevato che le risorse attenzionali del cervello umano diminuiscono dopo un lungo periodo di concentrazione su un singolo compito, diminuendo la nostra capacità di concentrazione e ostacolando la prestazione.

LA REGOLA DEL 52/17

La società Draugiem Group, utilizzando il software DeskTime, ha individuato il metodo di lavoro più efficace: la proporzione giusta è 52 minuti di lavoro e 17 di pausa. Questa alternanza consente ai dipendenti di essere pienamente concentrati su ciò che stanno facendo. Il break serve prima di affrontare un nuovo compito. Ma attenzione, si parla di una pausa vera, che deve essere svolta lontana da qualsiasi apparecchio digitale. Niente mail, Facebook, Whatsapp o Instagram. Se il tempo è poco meglio alzarsi dalla scrivania per uno snack, fare qualche passo per muoversi o parlare con un collega.

LA TECNICA POMODORO

È un metodo per gestire il tempo. Utilizza un timer per suddividere il lavoro in intervalli. Questa tecnica prevede 5 passaggi fondamentali: scegliere un’attività, impostare un timer per 25 minuti, lavorare senza interruzioni, pausa di 5 minuti, dopo aver completato 4 timer prendersi una pausa di 20-30 minuti.

VANTAGGI DEL PRENDERSI UNA PAUSA

  • Le pause aiutano a elaborare e conservare le informazioni. Il nostro cervello ha due modalità di funzionamento: concentrato e “diffuso”. Quando si opera in modalità diffusa, il nostro cervello è più rilassato. Alcuni studi hanno dimostrato che risolviamo i nostri problemi più difficili quando siamo in questo stato diffuso.
  • Aiutano a rivalutare gli obiettivi della giornata. Anche dedicare cinque minuti ogni paio d’ore a rivalutare i propri obiettivi quotidiani può fare una grande differenza nel modo in cui va la giornata.
  • Possono aiutare a coltivare abitudini più sane. Quando si è occupati o stressati, abitudini sane, come mangiare pasti nutrienti, fare esercizio fisico e dormire molto, possono essere facilmente dimenticate. Fare una pausa pranzo adeguata dà il tempo di incorporare queste sane abitudini nella normale giornata lavorativa. Fare pause regolari lontano dallo schermo del computer o dello smartphone può anche aiutare a prevenire la sindrome da visione artificiale, che comunemente si manifesta come affaticamento degli occhi e mal di testa.
  • Aiutano ad avere un’idea migliore del quadro più ampio. Quando ci si concentra sulle minuzie di un compito difficile, è fin troppo facile perdere di vista il quadro più ampio e strategico. Fare una pausa, fare un passo indietro e rivalutare gli obiettivi e priorità aiuta a prestare attenzione alle attività e ai progetti giusti.
  • Potenzia la creatività. Fare alcune pause strategiche durante la giornata darà alla mente la possibilità di trovare organicamente le soluzioni che si stanno cercando.
  • Fare pause regolari aiuta a essere più produttivi. Stabilire un programma di pause regolari darà anche una serie di mini scadenze su cui lavorare, che possono spronare a completare un’attività più rapidamente.

Tutti i vantaggi di pause regolari descritti, alla fine si combineranno per consentire di lavorare in modo più produttivo ed efficace.

11 Nov 2020

L’ ASCOLTO ATTIVO

L’ ASCOLTO ATTIVO

L’ascolto attivo è fondamentale per una comunicazione efficace.

L’abilità dell’ascolto attivo viene definita in diversi modi, tuttavia, non devono mai mancare due ingredienti: la comprensione e l’attenzione. Sono le caratteristiche principali di questa abilità. Un altro elemento fondamentale che favorisce la capacità di ascolto attivo è la gestione del feedback nella comunicazione; questo si ottiene attraverso la capacità di fare domande aperte o alternative o di verifica e chiarimento. Quando ascoltiamo in maniera attiva, dedichiamo la maggior parte delle nostre risorse a comprendere il messaggio che l’altra persona vuole trasmetterci. Inoltre, informiamo il nostro interlocutore sulla nostra comprensione di quello che vuole dirci. Si tratta, dunque, di essere psicologicamente disponibili e attenti al messaggio di chi ci sta parlando. L’opposto dell’ascolto attivo è l’ascolto distratto: siamo fisicamente presenti, ma la nostra mente dà la priorità ad altro rispetto a ciò che l’interlocutore ci sta comunicando. 

VARI TIPI DI ASCOLTO

  • Ascolto Selettivo. Chi ascolta selettivamente, presta attenzione solo ad alcune parti del discorso, perché il suo pensiero tende subito alla formulazione di giudizi.

  • Ascolto Passivo. Chi ascolta passivamente sfugge la comunicazione. Possiamo dire che sente soltanto le parole, ma non il contenuto.

  • Ascolto Attivo. Chi ascolta attivamente è attento alla comunicazione e cerca di cogliere il contenuto emozionale di ciò che l’altro dice. E’ empatico e non giudica. Chiarifica sempre per comprendere meglio e cerca la sintonia.

CONSIGLIO SU COME CREARE UN BUON ASCOLTO ATTIVO

Ascoltare richiede spesso uno sforzo superiore a quello che dobbiamo fare quando parliamo. Nell’ascolto attivo c’è un parallelismo: è tanto importante ascoltare quanto lo è che l’altro senta di essere ascoltato. Ma come possiamo creare un buon ascolto attivo? Ecco alcuni consigli:

    Evitiamo di esprimere giudizi di valore su quanto il nostro interlocutore dice e cerchiamo di gestire la costante necessità di incasellare in categorie predefinite o pregiudizi.

  •  Osserviamo e ascoltiamo, cercando di comprendere lo stato d’animo del nostro interlocutore.
  • Mettiamoci nei panni dell’altro e assumiamone il suo punto di vista, in questo modo aumenterà l’empatia.
  • Verifichiamo più possibile di avere compreso quanto ci sta dicendo, sia a livello dei contenuti, che delle emozioni.
  • Possiamo servirci delle domande per verificare la comprensione. Cerchiamo sempre di porre domande aperte, che aiutino l’esposizione dell’altro e ci facciano capire meglio.
  • Molto importante è mettere l’altro a proprio agio il più possibile.

Mettendo in atto questi comportamenti diventa davvero facile la connessione col mondo dell’altro e l’ascolto aumenta e diventa più completo e consapevole.

Le barriere comunicazionali che dobbiamo eliminare perché intralciano la comunicazione sono:

  • Mettere in ridicolo l’altro.
  • Imporre il proprio punto di vista.
  • Allertare o mettere in guardia.
  • Volere a tutti i costi persuadere attraverso ragionamenti logici.
  • Creare senso di colpa attraverso il ricatto morale0
  • Interpretare il comportamento dell’altro secondo personali criteri.
  • Cambiare argomento mentre l’altro parla.

A COSA SERVE ASCOLTARE ATTIVAMENTE?

Ascoltare in maniera attiva gli altri ci dà la possibilità di creare una rete sociale in cui predomini la complicità. Ascoltare l’altro, mettendo da parte quello che stavamo facendo, facendo attenzione alle parole del nostro interlocutore anche se ci sembrano irrilevanti o sbagliate è un modo per permettergli di esprimersi per com’è davvero.  Il dono di saper ascoltare gli altri ci consente di capirli meglio, di rafforzare il legame con loro e di avere, quindi, più probabilità di stabilire un rapporto positivo. In questo senso, quello che diamo si ripercuoterà su di noi. Anche se si tratta di un interesse egoista, vale sempre la pena ascoltare in maniera attiva.