30 Set 2020

ABULIA: ASSENZA DI VOLONTA’

ABULIA: ASSENZA DI VOLONTA’

L’abulìa (dal greco ἀβουλία, aboulìa), termine composto dal prefisso privativoἀ- (a-) e da βουλή (boulè) che significa volontà, indica un’«assenza di volontà»: per meglio dire, è una condizione più o meno patologica caratterizzata da una volontà cronicamente debole o insufficiente. Questo fenomeno comporta un’inibizione dell’attività fisica e cognitiva: il soggetto esita nel prendere una decisione in maniera autonoma e nel compiere una determinata azione, pur essendo consapevole della necessità di dover portarla a termine. Nei casi più gravi, l’abulia porta alla sospensione di qualsiasi atto volontario, conducendo il paziente all’inerzia totale.Quando una persona affronta una simile condizione, di solito chi le sta accanto tende a risollevarla e a darle semplici consigli, come “prenditi qualche giorno di riposo”, “esci e prova a staccare la spina, fatti un po’ di forza”. Eppure, nulla di tutto questo serve, sono inutili cerotti su una realtà psicologica che non capisce cos’è l’allegria e che non trova sollievo nemmeno in una dormita di 10 ore.

ABULIA E APATIA

Apatia e abulia sono termini spesso utilizzati come sinonimi o in maniera intercambiabile, eppure i loro significati sono piuttosto diversi.
 L’apatia, infatti, si riferisce allincapacità prolungata di partecipare alle normali attività o eventi della vita quotidiana, mentre chi è affetto da abulia manifesta una marcata incapacità nel prendere decisioni, oppure a iniziare o portare a termine una qualsiasi azione e spesso si manifesta a seguito di uno stato di apatia nel quale è assente ogni stimolo ad agire.

CAUSE DELL’ABULIA

Malgrado i numerosi studi condotti nell’ambito dell’abulia, non sono ancora del tutto chiare le cause alla base di questa patologia. Attualmente gli sforzi dei ricercatori sono tesi a comprendere se l’abulia vada considerata come una complicanza di altre malattie neurologiche o debba essere considerata come disturbo indipendente.

Lorigine dell’abulia sembra debba essere ricondotta ad un malfunzionamento circolatorio nell’emisfero sinistro dell’area frontale del cervello dovuto a malattia o trauma.

La patogenesi di questa malattia sembra essere associata con una riduzione della neurotrasmissione dopaminergica nei lobi frontali della corteccia celebrale, responsabile dell’attività motoria, della capacità di manifestare iniziativa, pianificare azioni rivolte a risolvere determinati problemi e a superare le avversità.

Pazienti con lesioni nella regione frontale del cervello manifestano infatti problemi di inerzia inattività.

SINTOMI DELL’ABULIA

L’abulia non si manifesta esclusivamente con apatia e scarsa voglia di svolgere i propri doveri. Quali sono i sintomi clinici più riconoscibili in caso di abulia? Non è facile circoscriverli, ma è molto facile confonderli con momenti di semplice pigrizia e indolenza. Si tratta di uno stato ben più profondo, duraturo e persino interessante:

  • Mancanza di energie per le attività quotidiane.

  • Stanchezza, assenza di motivazione  e di spirito di iniziativa.

  • Movimenti lenti.

  • Assenza di capacità di reazione agli stimoli.

  • Incapacità decisionale, di reazione alle richieste del contesto di appartenenza.

  • Linguaggio rallentato. Il soggetto fatica persino ad ascoltare quello che gli viene detto.

  • Stallo emotivo: non si provano molte emozioni, ma se percepite ciò avviene all’unisono provocando affaticamento.

  • Alcune persone finiscono per adottare una forma di mutismo.

Bisogna segnalare che è necessario prestare particolare attenzione ai bambini e agli anziani. Spesso potremmo pensare che questa apatia e assenza di motivazione siano associati all’età (troppo giovani o troppo anziani). In realtà, l’abulia colpisce anche questa fascia di popolazione ed è importante sapere cosa la scatena.

CURARE L’ABULIA

La terapia per l’abulia dipenderà dalla causa, ovvero dal disturbo o dalla condizione clinica da cui ha origine questo stato. Un paziente che ha subito una lesione cerebrale a seguito di un incidente non verrà trattato come qualcuno con una forma di depressione maggiore.

Nella maggior parte dei casi si parte da un trattamento farmacologico a base di antipsicotici atipici (nel caso della schizofrenia) o di antidepressivi (nel caso della depressione).
Al tempo stesso, è vivamente consigliato sottoporsi a psicoterapia. In questo caso l’obiettivo sarà quello di dotare i pazienti degli strumenti necessari per aumentare la motivazione, prendersi cura dei propri pensieri, regolare le emozioni e mettere in atto alcuni comportamenti utili al recupero del controllo della realtà.

Sono stati osservati interessanti benefici delle terapie fisiche e sportive, così come della fisioterapia. Muoversi anche con semplici attività motivanti aumenterà la produzione di endorfine e favorirà un nuovo contatto dal punto di vista fisico. Altre terapie rivelatesi efficaci nel trattamento dell’abulia sono le terapie considerate “alternative”, a base di rimedi fitoterapici quali erbe o piante, oli essenziali e minerali in grado di modulare il tono dell’umore, stabilizzare il ciclo sonno-veglia e l’appetito, oltre a contrastare l’ansia e la depressione che spesso si accompagnano a questa patologia.

30 Set 2020

La ristrutturazione aziendale

La ristrutturazione aziendale

La ristrutturazione aziendale è un’attività molto complessa, che però si può semplificare e dividere in fasi. Prima di tutto bisogna capire quando effettivamente l’Azienda necessita di un piano di ristrutturazione.

Un’impresa può definirsi in crisi quando al suo interno si è creato uno squilibrio economico – finanziario diffuso, che potrebbe col passare del tempo portare l’azienda all’insolvenza ed al dissesto, se non si effettuano opportuni interventi di risanamento aziendale.

Una riorganizzazione aziendale è un’attività che implica la ristrutturazione dei ruoli, del management, delle strutture e degli investimenti di un’impresa. In quanto tale, si attua in tutte quelle realtà in cui persistono problemi organizzativi, strutturali o economici. Spesso le aziende perdono di vista i loro obiettivi primari e per far funzionare nuovamente tutti gli ingranaggi della struttura è necessario ripensare ad una loro riorganizzazione.

Ridefinire la struttura di un’impresa non è un lavoro semplice, perché spesso significa modificare la cultura e la mentalità aziendale. Per questo è consigliato affidarsi ad un consulente esterno, che abbia una visione obiettiva dell’organizzazione aziendale che gli permetta di comprendere dove è meglio intervenire.

Si tratta di un percorso che può prendere strade differenti a seconda delle criticità di ciascuna azienda, ma che deve assolutamente seguire alcune fasi specifiche.

Le fasi di un buon piano di ristrutturazione aziendale

Un buon piano di ristrutturazione aziendale consente di avviare quelle attività finalizzate alla continuità aziendale ed è solitamente composto da tre fasi:

1° fase: ANALISI. Si valuta l’azienda e si cercano le cause reali che hanno portato alla crisi.

2° fase: STRATEGIA. Una volta individuati i punti di debolezza, si stabilisce un piano dettagliato d’azione, cioè la strategia da seguire per rendere ancora redditizia l’impresa (se possibile).

3° fase: AZIONE. Si mette in pratica il piano strategico con costanza e determinazione, rispettando al massimo le modalità e la tempistica stabilita. Nonostante sia quella che porta in sostanza i risultati tangibili, è proprio la terza fase quella che solitamente gli imprenditori tendono a fermare, rallentare o procrastinare.

Se le prime due fasi trattano di informazioni e numeri, che permettono di individuare esattamente le problematiche e suggeriscono le migliori vie di uscita, è nella terza fase che si prende coscienza della situazione cercando di tirar fuori la forza morale e fisica per lavorare di più per correggere gli errori del passato.

Come sempre, in ogni intervento aziendale, che sia di gestione, ristrutturazione, risanamento, rilancio o semplice organizzazione, la componente umana è decisiva. Un buon consulente, se non vuole che il suo lavoro si fermi alle prime due fasi d’intervento, deve tener conto di questo: le aziende sono fatte di persone e non di numeri e teoria. Le persone creano le crisi, ma allo stesso tempo, sono le persone ad attivare i meccanismi risolutivi.

Le aziende hanno un’anima fatta di persone e quest’anima va curata e salvaguardata allo stesso tempo che il sistema va attualizzato, risanato e reso produttivo. Un intervento realmente efficace e positivo non può fare a meno di mettere in equilibrio i due protagonisti: l’anima ed il corpo dell’intervento: i numeri che tornano e le persone che li fanno tornare.

23 Set 2020

STATO DI FLOW/FLUSSO : ESSERE COMPLETAMENTE IMMERSI IN UN’ATTIVITÀ

STATO DI FLOW/FLUSSO  : ESSERE COMPLETAMENTE IMMERSI IN UN’ATTIVITÀ

Lo stato di Flow o di flusso è uno stato emotivo positivo sviluppato da Milahàly Csìkszentmihàlyi, uno degli psicologi più famosi nell’indagine della psicologia positiva.

Il Flow o Esperienza Ottimale è “un stato in cui la persona si trova completamente assorta in un’attività per il suo proprio piacere e diletto, durante il quale il tempo vola e le azioni, i pensieri e i movimenti si succedono uno dopo l’altro, senza sosta”.

Questo stato emotivo positivo è caratterizzato dal coinvolgimento totale nell’attività che si sta realizzando, in cui nulla sembra più importante, mantenendo un livello di concentrazione assoluto. Tutto il nostro io si trova concentrato su quel compito, utilizzando e portando le nostre destrezze e abilità fino al limite. Nello stato di flow ci si ritrova a fare quello che realmente si vuole, essendo questo un sentimento spontaneo e che richiede poco sforzo.

ETIMOLOGIA

Csikszentmihaly utilizzò il termine inglese flowflussocorrente per definire  uno stato mentale, descritto da molte persone da lui intervistate, come una corrente d’acqua che li trascinava. Nei libri Optimal Experience: Psychological Studies of Flow in Consciousness[5] e Flow: The Psychology of Optimal Experiencedel egli parlò dell’esperienza che si prova durante il flusso come un'”esperienza ottimale”, in cui la prestazione è al culmine e lo stato d’animo è positivo. Quando le sfide e le capacità son contemporaneamente sopra la media, l’esperienza ottimale emerge.

CARATTERISTICHE DELLE ESPERIENZE OTTIMALI

Le caratteristiche comuni che devono avere le esperienze per essere ottimali e per potersi lasciar andare sono:

  • Il compito o la meta raggiungibili. Stabilire obiettivi concreti.

  • Concentrarci totalmente sul compito.

  • Il compito deve avere degli obiettivi chiari.

  • Gli obiettivi chiari permettono di avere un feedback diretto e immediato.

  • Agiamo senza sforzo, totalmente concentrati e senza preoccupazioni.

  • Si crea un sentimento di controllo sulla situazione o sull’attività, il quale elimina la paura del fallimento.

  • Tutta l’energia fisica e psichica è avvolta nella realizzazione del compito.

  • Il senso di durata del tempo si altera. Durante lo stato di flow, le ore possono sembrare minuti.

  • Il flusso sopraggiunge quando si produce un equilibrio tra le sfide del compito o l’attività che stiamo affrontando e le abilità di cui disponiamo per affrontarlo. Quest’attività non ci risulta né troppo facile né troppo complessa.

SINTOMI DELLO STATO DI FLUSSO

Come capire se siamo di fronte alla Stato di Flow? Ecco alcuni sintomi:

Diminuzione dell’auto-consapevolezza.
Equilibrio tra la sfida e le abilità di una persona.
Unione del pensiero e dell’azione.
 Cancellazione della paura di fallire.
 Continua sensazione di sorpresa tramite la realizzazione dell’attività.
 L’attività è un fine di per sé.
 Si fa ciò che si vuole fare con sicurezza.
Distorsione del tempo.
Eliminazione delle distrazioni.

AMBITI DI APPLICAZIONE DELLO STATO DI FLUSSO

Gli ambiti di applicazione della teoria del flow al settore professionale possono essere molteplici e molto utili, ad esempio, nel settore dell’istruzione, dello sport o aziendale, in quanto spiega come possono essere organizzate le attività per promuovere il divertimento e migliorare il rendimento a livello del gruppo.

23 Set 2020

Consigli per diventare un buon Leader

Consigli per diventare un buon Leader

‘Leadership’ è una parola molto utilizzata ma difficile da definire. Il Center for Creative Leadership si è per anni rifiutato di dare una definizione. Il concetto di leadership infatti assume diversi significati a seconda di chi lo usa.

La traduzione di ‘leadership’ in italiano è comando o guida. Il termine indica una funzione superiore al semplice comando o all’esercizio dell’autorità, finalizzata a far lavorare assieme gruppi di persone verso lo stesso obiettivo.

Scopo della leadership è di influenzare il comportamento delle singole persone per perseguire obiettivi aziendali o, comunque, diversi da quelli del singolo.

La leadership viene considerata il singolo fattore maggiormente in grado di fare la differenza quando si deve lavorare in gruppo. Che si tratti di aziende o di scuole, di istituzioni pubbliche o squadre sportive.

In ambiti aziendali è importante tradurre questi concetti poco definiti in qualcosa di misurabile: profitto, utili, ritorno sull’investimento ma anche assenteismo, turnover, reclami e incidenti.

Ma quali sono le reali virtù di un “Leader di Successo”?

Eccone alcune fondamentali:

  • Impegno
  • Determinazione
  • Costanza
  • Obiettività di giudizio
  • Competenze 
  • Responsabilità
  • Flessibilità
  • Carisma
  • Coraggio
  • Passione
  • Positività
  • Assertività ed Empatia
  • Autorità
  • Autodisciplina

 

Le caratteristiche che un buon leader deve avere

  1. Senso di responsabilità: Un buon leader deve essere consapevole dell’importanza delle cose e delle persone e deve avere determinazione, costanza e serietà nel perseguimento di un progetto. Solo se vi prenderete la responsabilità delle azioni dei vostri collaboratori potrete essere considerati dei veri leader. Se invece continuerete a puntare il dito contro gli altri quando qualcosa non va, difficilmente potrete incarnare alla perfezione quel ruolo.
  2. Capacità di raggiungere una meta: essere leader significa avere una meta da raggiungere insieme ai propri collaboratori. Nelle aziende i collaboratori hanno bisogno di aggregarsi intorno ad un obiettivo comune, ed è proprio il leader che deve chiarire in primis gli obiettivi da raggiungere. Essere leader significa avere uno scopo che si desidera raggiungere, dando l’idea che sia possibile arrivare insieme alla meta.
  3. Credibilità: Un vero leader si dimostra credibile se quando parla conosce gli argomenti trattati. Per essere un leader credibile, è importante colmare le aree in cui vi sentite teoricamente e tecnicamente impreparati.
  4. Capacità di ascolto: questa è una delle caratteristiche più importanti per un efficace processo comunicativo. Per essere dei veri leader è importante avere un rapporto sincero con chi lavora per voi: solo attraverso l’ascolto attivo è possibile motivare i propri collaboratori.
  5. Flessibilità: Un vero leader non tratta tutti allo stesso modo, per il semplice fatto che ogni dipendente possiede diverse caratteristiche. C’è chi va spronato ogni giorno a causa della scarsa reattività ai cambiamenti, chi va frenato a causa dell’eccessivo entusiasmo, chi aiutato a superare l’ostacolo della timidezza e chi messo a tacere quando parla a vanvera.
  6. Capacità di prendere una decisione: un buon leader è colui che riesce a prendere la decisione giusta al momento giusto. Quando si trova davanti a una decisione difficile, il vero leader stabilisce prima di tutto cosa vuole ottenere. Considera le probabili conseguenze di ogni decisione e ogni possibile alternativa. Prende la sua decisione finale con convinzione, se ne assume la responsabilità e la porta a termine.
  7. Capacità di motivare e ispirare: I veri leader guidano il loro team con passione, entusiasmo, ispirazione e motivazione. Investono tempo nelle persone per determinare i loro punti di forza, bisogni e priorità. In questo modo i leader, oltre a farle sentire importanti, riescono a capire quale sia il modo migliore per motivarle. Sottolineano continuamente come i loro sforzi stiano facendo la differenza, e incoraggiano lo sviluppo delle loro potenzialità con obiettivi e sfide significative.
  8. Capacità di creare una cultura aziendale: ogni azienda ha un proprio sistema di valori e ogni dipendente deve sentirsi parte di questo sistema. Ed è per questo che ogni leader deve essere in grado di trasferire la cultura della propria azienda in modo corretto.

 

“Un bravo leader è colui che riesce a far capire ai propri uomini che hanno molte più capacità di quelle che pensano di possedere, in modo che possano fare un lavoro migliore di quanto credano. “ (Charles Wilson)

16 Set 2020

Coma potenziare la Memoria?

Coma potenziare la Memoria?

La memoria è una capacità fondamentale della nostra mente. Ci serve per organizzare la nostra vita e per ricordare esperienze e avvenimenti importanti.  Grazie alla memoria, decodifichiamo, immagazziniamo e recuperiamo le informazioni. La memoria si distingue in memoria a breve termine e memoria a lungo termine.

La  memoria a breve termine è di solito chiamata dagli psicologi anche “memoria di lavoro”.

La memoria di lavoro comprende ciò che è nella tua mente cosciente in questo momento e tutto ciò che fai con queste informazioni. Include ciò che ora stai leggendo, facendo, ovvero tutte le conclusioni e i pensieri che derivano dalle azioni che esegui nel presente. In parole povere, è tutto ciò che la tua mente elabora ora. La memoria a lungo termine è come una memoria di massa, tipo un hard disk. La memoria conserva le infomazioni per un periodo di tempo che supera il momento contingente, quindi potenzialmente non finisce.

È dunque normale cercare metodi efficaci per migliorare la memoria.  Ecco alcune abitudini da non perdere che possono aiutarvi ad allenare e potenziare la capacità di memorizzazione:

  • Dormire e riposare nel modo adeguato.Molto spesso crediamo che, anche se dormiamo meno ore del dovuto, il nostro cervello continuerà a rendere al 100%. Ma si tratta di una credenza sbagliata: è consigliabile dormire almeno 7 ore al giorno
  • Fare attività fisica. Secondo la University of Pittsburg, lo sport aiuta a scaricare la tensione e a migliorare la memoria spaziale.
  • Mangiare del cioccolato. Ecco un piacere che è anche alleato della memoria e dell’apprendimento. Secondo la rivista spagnola Muy Interesante, che si occupa di divulgazione scientifica, uno dei componenti del cacao favorisce la funzione cognitiva.
METODI E TECNICHE PER MIGLIORARE LA MEMORIZZAZIONE

Tra i metodi più efficaci per migliorare la memoria troviamo la tecnica della parola chiave,la teoria della specificità di codifica, l’organizzazione del materiale dei testi e degli appunti. Analizziamoli:

  1. Trovare la parola chiave: è una buona tecnica per imparare altre lingue. Tale tecnica consiste nel mettere in relazione una parola sconosciuta con una parola comune in italiano che abbia un suono simile. La parola in italiano in questo caso si chiamerà parola chiave. Una volta pensata la parola chiave, dovrete formulare un’immagine mentale nella quale il termine in questione interagisce graficamente con la traduzione in italiano
  2. Teoria specifica di codifica: Alcuni ricercatori suggeriscono cheè più facile ricordare le informazioni in un ambiente uguale o molto simile a quello in cui ci trovavamo quando le abbiamo memorizzate. Questo fenomeno viene chiamato specificità di codifica e venne formulato da Tulving e Thompson nel 1973.
  3. Organizzare il materiale: Una tecnica per migliorare la memoria di materiale scritto consiste nell’organizzarlo la prima volta che viene letto.

A tal proposito, è necessario conoscere la struttura e il contenuto del materiale dando uno sguardo all’indice, all’argomento dei vari capitoli, ai sottotitoli, ecc.

 

  1. Saper prendere appunti : “Meno è meglio”, forse si tratta del consiglio migliore per prendere appunti che facilitano il ricordo. Invece di provare a trascrivere tutti i dettagli di una conferenza, è meglio ascoltare e riflettere in merito al materiale. Per prendere appunti in modo efficiente, è più importante pensare prima al materiale che scriverlo direttamente.

 

  1. Visualizzazione: Nello studio come nella vita di tutti i giorni, siamo abituati a verbalizzare qualunque tipo di informazione. Il che, da un punto di vista evoluzionistico, ha poco senso. Abbiamo infatti passato milioni di anni a ricordare e processare informazioni sopratutto sotto forma di immagini, suoni, sensazioni. Mentre scrivere, leggere e parlare sono attività tutto sommato molto recenti. Per questa ragione,il nostro cervello è molto più efficiente nel ricordare le immagini che non le parole che le rappresentano.

 

Queste tecniche associate alle abitudini di vita  possono aiutare la memorizzazione e il recupero delle informazioni più facilmente. Per migliorare la memoria, quindi, è inevitabile doversi sforzare: facendo cose che non siamo abituati a fare e elaborando profondamente il materiale.

E’ sotto la pressione di questi stimoli che il cervello aumenta il reclutamento neuronale e l’attività sinaptica, portandoci così a ricordare di più e meglio.

Migliorare la memoria dunque significa ricordare più cose e più velocemente, ma non cancella affatto lo sforzo dall’equazione.

 

 

 

 

 

 

16 Set 2020

L’importanza delle Human Resources in azienda

Cosa si intende per Risorse Umane?

Il termine Risorse Umane (in inglese Human Resources o abbreviato HR) indica sì l’insieme delle persone che prestano la propria attività presso un’azienda, ma è anche da intendersi come l’insieme di competenze e professionalità apportate dai membri dello staff al processo produttivo. Questo è uno dei principali fattori che determinano il capitale aziendale da curare, monitorare e sul quale investire per migliorare l’intero ecosistema dell’impresa.

Attraverso il processo di selezione si determina il futuro dell’azienda. Soprattutto in questi periodi di recessione economica  (come quello che sta vivendo attualmente l’Italia) è importante recuperare l’efficienza e la stabilità delle proprie risorse.

Cosa fa un HR in azienda?

Un addetto alle risorse umane ha un ruolo fondamentale:

  • Selezionare persone in grado di fare la differenza nelle diverse aree di cui è composta l’azienda;
  • Reclutare risorse talentuose e farne emergere ogni qualità;
  • Assumere figure con propensioni specifiche e inserirle nella giusta area dell’azienda;
  • Sposare politiche retributive mirate e che puntano a favorire la meritocrazia diffusa.

Se un’azienda è grande e ben strutturata, poi, l’addetto alle risorse umane svolge anche altri ruoli:

  • Coordina il Responsabile della Selezione: questo è chiamato ad occuparsi dell’inserimento delle persone in un’azienda. Il suo obiettivo è selezionare le risorse e destinarle a ruoli ben precisi, a seconda di quelle che sono le loro specifiche competenze;
  • Coordina il Responsabile della Formazione: questo professionista è colui che si occupa di scegliere contenuti e metodi della formazione aziendale e di stabilire il punto fino a cui si può alzare il livello di professionalità dell’azienda. Per farlo, valuta ogni risorsa e il contesto in cui questa è impegnata e progetta un piano di progresso per ciascuna risorsa, per ciascun reparto dell’azienda e per l’azienda stessa;
  • Coordina il Responsabile Compensation & Benefit: si tratta del responsabile della pianificazione e dell’attivazione di piani di incentivo per il personale. Questa figura agisce su più livelli: suggerisce ai direttori dell’azienda come assegnare gli obiettivi a ciascuna risorsa e da suggerimenti sulla gestione del budget per ognuna di queste e definisce le politiche aziendali valutando le performance delle risorse stesse;
  • Coordina il Responsabile Relazioni Industriali: questo professionista è tenuto a redigere i contratti di lavoro, a gestire eventuali provvedimenti disciplinari rivolti al personale, a supervisionare lamentele o denunce che le risorse umane rivolgono all’azienda e a formulare il regolamento interno all’azienda controllandone il corretto rispetto;
  • Coordina i Responsabili della gestione delle Risorse Umane nelle Unità di Business: sono coloro che gestiscono il personale dell’azienda nelle imprese con più aree o settori. Ognuno di loro è a capo di una singola area.

Chi può lavorare nelle Risorse Umane?

Per chi desidera lavorare nel settore HR è richiesta una formazione prevalentemente in discipline umanistiche, psicologia o altre tematiche affini. Infatti, è fondamentale una conoscenza dettagliata dei processi relativi all’area risorse umane (condurre un colloquio di selezione, ideare un intervento formativo, fare screening curricolare, ecc) oltre alla conoscenza delle logiche aziendali.

09 Set 2020

IL PERSONAL BRANDING

IL PERSONAL BRANDING

Cosa è?

Con l’espressione Personal branding si fa riferimento a quel complesso di strategie messe in atto per promuovere sé stessi, le proprie competenze ed esperienze, la propria carriera alla stregua appunto di un brand.

Mai come oggi il Personal Branding è vitale per la nostra vita professionale, perché è la modalità con la quale ci presentiamo ai nostri attuali o futuri datori di lavoro o potenziali clienti. È quello che ci dà l’opportunità di sottolineare in modo pubblico i nostri punti di forza e le nostre passioni.

L’obiettivo finale di qualsiasi operazione di personal branding è riuscire a imprimere nella mente di individui e organizzazioni un’immagine, ben confezionata, di sé. Come per un’azienda o un prodotto, posizionarsi nella mente di un consumatore o di uno stakeholder richiede però di tenere in considerazione, oltre ai propri, anche valori, sistemi di riferimento e percezione che questi stessi consumatori o stakeholder hanno già del proprio stesso brand . È, insomma, quando le due immagini – quella che si prova a veicolare di sé e quella che invece di sé hanno gli altri – si sovrappongono che il personal branding si può considerare riuscito.

Oggi tutti abbiamo già una online brand identity: la maggior parte di noi ha un profilo LinkedInFacebookTwitter o Instagram. E quindi, la maggior parte di noi ha un’identità online. Ma è l’immagine che vogliamo condividere con il nostro futuro di lavoro, i nostri prossimi clienti o colleghi che conta. Inoltre oggi, milioni di opportunità di lavoro e milioni di società sono presenti sul web ed è sempre più comune per i selezionatori utilizzare la rete per trovare i propri candidati.

Quali sono i vantaggi?

Fare Personal Branding significa puntare finalmente sul proprio asset principale: se stessi!
Vuol dire “farsi comprare” in anticipo, attrarre più opportunità congruenti rispetto a quello che sai fare meglio. La strategia di Branding costituisce le fondamenta di ogni buona azione di comunicazione e di Marketing

Cosa non è?

Il Personal Branding non coincide con il Social Media Marketing o con l’avere un Blog personale. Non c’entra con il “vendere meglio se stessi “, dando un’immagine falsa di sé o facendo percepire un valore aggiunto che in realtà non c’è. Molto meglio spiegare con chiarezza la ragione per cui dovremmo essere scelti e fare in modo che siano gli altri a cercarci!

Consigli per un personal branding efficace

  1. Prima di tutto serve un brand a cui poter dare forma concreta, visibile, riconoscibile.
  2. È utile porsi obiettivi e traguardi da raggiungere in un determinato arco di tempo.
  3. Importante è stabilire missione e vision e assicurarsi che siano chiare al pubblico a cui ci si rivolge, però, è di fondamentale importanza. Step e obiettivi di un’operazione di personal branding, insomma, sono molto simili a quella di qualsiasi altra più tradizionale operazione di branding.
  4. Non possono mancare le conoscenze specifiche e di settore, lo zelo e la capacità di restare focalizzati sui propri obiettivi.
  5. Contano anche le relazioni e la capacità di fare network, dentro e fuori dal proprio ambiente di riferimento.
08 Set 2020

LE FOBIE COSA SONO?

LE FOBIE COSA SONO?

Le fobie consistono in paure, intense e persistenti, provate per qualcosa che non rappresenta un reale pericolo ma è percepita come non controllabile
Le fobie specifiche, sono state tra i primi fenomeni psicopatologici ad essere osservati e descritti. Gia nel 1700 Benjamin Rush (1798) definì le fobie come “paure di demoni immaginari, o paure indebite di cose reali” arrivando a classificare diverse specie di fobie tra cui fobia dei gatti, fobia dei topifobia degli insetti, fobia degli odori, e cosi via.
Si instaura un processo che fa provare alla persona stati di 
ansia e terrore spropositati nei confronti dello stimolo fobico (il particolare elemento che causa la paura), tanto da farle mettere in atto comportamenti di evitamento delle situazioni nelle quali è probabile trovarsi faccia a faccia con lo stimolo. 
Chi soffre di 
fobie, infatti, è sopraffatto dal terrore di entrare in contatto con ciò che teme: un ragno, una lucertola etc.

I SINTOMI FISIOLOGICI

I sintomi fisiologici provati da chi soffre di fobie sono: tachicardia, vertigini, disturbi gastrici e urinari, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Ovviamente, tali manifestazioni patologiche si attuano solo alla vista della cosa temuta o al pensiero di poterla vedere.

 FOBIE ED EVITAMENTO

fobici, sono sostanzialmente degli ansiosi e come tali funzionano.
A livello comportamentale,infatti, chi soffre di una determinata fobia specifica tende a evitare le situazioni associate alla paura, ma alla lunga questo meccanismo diventa una vera e propria trappola, similmente a quanto accade per i disturbi d’ansia in generale. Infatti, l’evitamento non fa altro che andare a confermare la pericolosità della situazione evitata e prepara all’evitamento successivo. Si crea, così un circolo vizioso, che da una parte porta a essere sfiduciati nelle proprie capacità e dall’altra compromette le relazioni sociali, perché pur di evitare la cosa temuta si è pronti a rinunciare a una serata tra amici. 

DIVERSI TIPI DI FOBIE

Quando si parla di fobie ci si riferisce in genere a: fobia dei canifobia dei gattifobia dei ragni,fobia degli insettifobia dell’aereofobia del sanguefobia delle iniezioni, ecc.

Più precisamente, esistono le fobie generalizzate (agorafobia o fobia sociale), fortemente invalidanti, e le comuni fobie specifiche, generalmente ben gestite dai soggetti evitando gli stimoli temuti, che si classificano così:

  1. Tipo animali. Fobia dei ragni (aracnofobia), fobia degli uccelli o fobia dei piccioni (ornitofobia), fobia degli insetti, fobia dei cani (cinofobia), fobia dei gatti (ailurofobia), fobia dei topi, ecc..

  2. Tipo ambiente naturale. Fobia dei temporali (brontofobia), fobia delle altezze (acrofobia), fobia del buio (scotofobia), fobia dell’acqua (idrofobia), ecc..

  3. Tipo sangue-iniezioni-ferite. Fobia del sangue (emofobia), fobia delle siringhe, ecc.. In generale, se la paura viene provocata dalla vista di sangue o di una ferita o dal ricevere un’iniezione o altre procedure mediche invasive.

  4. Tipo situazionale. Nei casi in cui la paura è provocata da una situazione specifica, come trasporti pubblici, tunnel, ponti, ascensori, volare  oppure luoghi chiusi.

  5. Altro tipo. Nel caso in cui la paura è scatenata da altri stimoli come: il timore o l’evitamento di situazioni che potrebbero portare a soffocare o contrarre una malattia

TRATTAMENTO DELLE FOBIE

La cura delle fobie, dopo un periodo di valutazione del caso che si esaurisce in genere nell’arco del primo mese, passa necessariamente attraverso l’utilizzo delle tecniche di esposizione graduata agli stimoli temuti. Il paziente viene avvicinato in modo molto progressivo agli stimoli che innescano la paura, partendo da quelli più lontani dall’oggetto o situazione centrale (es. l’immagine di una siringa nuova per un fobico degli aghi o una scatoletta di mangime per un fobico dei cani). Il contatto con tali stimoli viene mantenuto finché inevitabilmente non subentra l’abitudine ed essi non generano più ansia. Solo a tal punto si procede all’esposizione ad uno stimolo leggermente più ansiogeno.Tale procedura può spaventare molto le persone che soffrono di una fobia, poiché implica affrontare vis a vis l’oggetto o situazione temuta, ma se ben effettuata, con l’aiuto di un terapeuta esperto, è assolutamente applicabile e garantisce un successo nel 90-95% dei casi nella cura della fobia. In alcuni casi, per rendere più efficace il metodo, si insegnano al paziente strategie di rilassamento fisiologico e lo si invita ad utilizzarle poco prima di esporsi agli stimoli ansiogeni.

02 Set 2020

Consigli per un metodo materno Montessoriano

Consigli per un metodo materno Montessoriano

Maria Montessori credeva nel valore e nelle capacità di ogni singolo bambino. Il metodo Montessori, infatti, riesce a rispettare l’individualità di ogni bambino e non è paragonabile a nessuna tecnica d’insegnamento standard.

Il metodo Montessori trascende dai sistemi educativi tradizionali e si fonda sulla convinzione che i bambino dovrebbero essere liberi di imparare senza restrizioni o critiche.

Questo approccio “alla formazione” prende a cuore le necessità, i talenti, i doni, le capacità individuali di ogni bambino. Un processo che aiuta i bambini a imparare con tutto l’entusiasmo di cui sono capaci. Al contrario, i bambini ai quali viene imposto un programma di apprendimento con traguardi da raggiungere, possono essere messi sotto pressione, senza la possibilità di accedere a pieno alle proprie reali capacità. Non solo a scuola, il metodo Montessori può essere applicato anche tra le mura domestiche così da promuovere la gioia di imparare sempre: in termini di educazione domestica, in termini di rapporti in famiglia e nello spazio dei compiti a casa.

  1. Gli spazi del bambino e la casa

La cameretta del tuo bambino deve rappresentare uno spazio sicuro dove tuo figlio può muoversi ed esplorare in libertà. Crea uno spazio a misura di bambino. Ecco come puoi fare:

  • Scegli un letto basso, più vivibile per un bambino.
  • Fissa uno specchio alla parete accanto al letto.
  • Metti scaffali bassi, appendi foto al muro all’altezza del bambino.
  • Inserisci mobili di facile accesso, altezza bambino.
  • Se la cameretta è piccola, meglio se dotata di porta scorrevole così potrà essere aperta senza creare ingombri o fastidi nelle fasi di gioco.

Nel soggiorno o in veranda non dovrà mancare uno spazio dedicato alle attività manuali del bambino. Poggia un tappeto molto morbido sul pavimento, un materassino da campeggio o di spugna. Il bambino dovrà essere comodo. Non lesinare sulle dimensioni, i bambini hanno bisogno di spazio. Su questo tappeto il bambino sarà libero di riversare tutti i suoi giochi. In questa zona potete disporre un tavolo da lavoro per fare lavoretti fai da te o giochi di apprendimento.

L’intera casa non deve essere un percorso a ostacoli. L’organizzazione intelligente degli spazi sarà la migliore alleata e consentirà a te e al tuo bambino di vivere al meglio qualsiasi attività.

  1. Organizzazione e ordine

Insegna a tuo figlio che può passare da un’attività all’altra solo quando avrà messo a posto i pezzi dell’attività precedente. Insegna a tuo figlio di rispettare gli spazi del gioco, senza sconfinare.

E’ vero che la casa deve essere a prova di bambino ma è anche vero che il bambino dovrà rispettare gli spazi di gioco senza sparpagliare le sue cose nel resto della casa.

Per invogliare il bambino all’ordine, le prime volte posate i giochi insieme. Nel caso del tappeto, al fine dei giochi, il bambino potrà arrotolarlo autonomamente.

  1. Aiuti in casa

Dalle faccende domestiche alla preparazione del pranzo. Rendi partecipe il bambino che potrà aiutarti a pulire (a suo modo! Non aspettarti superfici brillanti!). Magari prendi una piccola scopa con la quale ti aiuterà a pulire i pavimenti o uno straccio con il quale potrà spolverare le superfici dei mobili bassi e altri scaffali a misura di bimbo.

  1. Ricordalo, non sei un maggiordomo

Non ci sono campanelli da suonare o comandi da urlare. Quando un bambino vuole qualcosa bisognerà insegnargli l’autonomia. Se il bambino ha sete, può versarsi dell’acqua e poi mettere il bicchiere nella lavastoviglie. Ovviamente solo se ha l’età per farlo, anche in questo caso è sempre bene svolgere le mansioni insieme alla mamma per le prime volte.

  1. Nessuno urla al mattino

Alcuni bambini, appena svegli, hanno l’abitudine di urlare o piangere per richiamare l’attenzione della mamma. Se i bambini Montessori dormono su letti bassi, possono benissimo scendere dal letto in autonomia senza dover urlare… Se la casa è stata realizzata a misura di bambino, tale norma vale anche quando il bimbo è molto piccolo, gli basterà avere l’età per camminare.

  1. La pulizia dei giocattoli

Da quanto tempo non lavi i giocattoli del tuo bambino? Moltissimo vero? La pulizia è una cosa importante e per un bambino sarà spassoso e divertente apprenderlo lavando i suoi giocattoli preferiti. Il bambino apprenderà i principi di una sana igiene senza neanche accorgersene.

Fornisci al bambino una piccola bacinella con dell’acqua, qualche goccia di sapone di Marsiglia e una spazzola. I bambini adorano lavare i giocattoli!

  1. Obiettivi e ricompense, zero punizioni

Impartire la disciplina è giusto ma non quando questa prevede un metodo basato sulle punizioni. Anche se la Montessori assimilava i premi proprio alle punizioni (nel suo metodo, premi e punizioni vanno messi al bando e sono posti allo stesso livello), la moderna pedagogia ha dimostrato che un premio può essere molto più costruttivo di qualsiasi punizione: insegna ai bambini che con l’impegno e la costanza, i risultati arrivano davvero.

I metodi educativi basati sui premi e incentivi, sono più costruttivi e riescono a motivare i bambini, un imprinting che i bambini porteranno anche nella vita da adulti.

Obiettivi con ricompense: utilizza un elenco degli obiettivi e osserva i comportamenti positivi, per poi premiare il bambino per i suoi sforzi. Assicurati che gli obiettivi siano realistici (si pensi a poco a poco, piuttosto che un immediato successo).

Il bambino deve sapere se sta progredendo bene, quindi potrebbe essere utile realizzare una tabella da esporre in casa, magari attaccata al frigorifero così per ogni buona condotta potrà essere segnato un “smile”, al raggiungimento di un certo numero di “smile“, il bambino potrà ottenere la sua gratificazione, il suo premio.

  1. Non dire bugie al bambino

Qualche volta una bugia a fin di bene con un bambino può essere opportuna. Per esempio, elogiare quello scarabocchio fatto da nostro figlio è un modo di incoraggiare il piccolo a disegnare. Parliamo di bugia pedagogica, quella da raccontare ai bambini per gratificarli: “Mamma, ti piace il mio disegno?”, “Certo, è meraviglioso”.

Tuttavia ci sono bugie molto dannose che minano lo sviluppo ottimale delle capacità cognitive del bambino. Si tratta di un tema molto complesso che vi invito ad approfondire con l’articolo Ogni bugia che dici a tuo figlio lo condanni all’insicurezza

Il metodo Montessori mira a crescere figli sicuri e in grado di esplorare il mondo con un bagaglio di potenzialità personali. Le bugie, anche se in apparenza innocue (“sì, lo facciamo domani a mamma…” oppure “non lo posso comprare perché ho dimenticato il portafogli a casa”) possono minare fortemente la sicurezza del nostro bambino. E’ inutile educare un bambino con il metodo Montessori se poi per praticità gli mentiamo minando il suo intero mondo.

  1. Attenzioni alle lodi

Chi segue i principi di Maria Montessori, in buona fede e al fine di valorizzare le propensioni naturali del bambino, può finire per fare dei complimenti di troppo.

Le lodi inappropriate, proprio come le bugie dette con leggerezza, finiscono per creare dei bambini eccessivamente insicuri, piuttosto che sviluppare dei bambini capaci, sicuri ed empatici.

Il metodo Montessori tende a valorizzare le capacità e propensioni naturali del bambino ma ciò non significa dover osannare ogni respiro del bimbo. Si tratta di un discorso molto complesso che potete approfondire con la lettura della pagina: le lodi che rovinano completamente l’autostima dei bambini.

  1. Tieni a freno la lingua

Se un eccesso di lodi può rovinare la capacità che ha il bambino di esplorare l’ambiente esterno con sicurezza, anche le critiche non sono d’aiuto.

Non criticate il bambino in modo gratuito. Se sbaglia qualche inerzia, non partite con il classico “ma sei scemo?!”, il bambino che sbaglia non si rende neanche conto di ciò che sta facendo!

Se sei la prima a giudicare tuo figlio, lui, crescendo, imparerà a fare lo stesso con sé stesso diventando un giudice ancora più severo. Sostituisci frasi come “guarda che hai combinato!” contestualizzando il problema e coinvolgendo il bambino a porre rimedio.

Il bambino imparerà a credere nelle sue risorse e saprà che potrà contare sulla mamma in caso di problemi futuri.

Il bambino tende a vivere le tue opinioni in modo assolutistico. Se tu condanni un suo atteggiamento, lui crederà che stai condannando l’intera persona: attenta alle tue reazioni e attenta a come ti esprimi.

22 Lug 2020

Il Design Thinking

Il Design Thinking

La metodologia manageriale del Design Thinking (sviluppata a Stanford e poi diffusasi rapidamente in USA, Canada e in gran parte d’Europa), aumenta drammaticamente la capacità delle organizzazioni (aziende profit, no profit, pubbliche amministrazioni ecc.) di prendere decisioni efficaci e redditizie, creando condivisione e “benessere” per tutti i suoi stakeholder, interni ed esterni.

Lo fa insegnando ai team aziendali a sviluppare il pensiero creativo, sul modello di quello del designer ed a utilizzare un approccio alla soluzione dei problemi ispirato al metodo scientifico utilizzato nella ricerca.

Il mix ben dosato di queste tecniche, che costituiscono l’insieme delle metodologie del Design Thinking, produce squadre molto coese e determinate, in grado di creare una sorta di “realtà aumentata” dove la visione dei problemi si sposa con l’emergere immediato di potenziali soluzioni innovative, le cui ricadute positive e/o negative appaiono immediatamente più chiare.

Le 5 fasi

Il modello iniziale, poi rimaneggiato dalle varie scuole, è quello della Stanford University:

  1. Empathize

Per delineare al meglio la situazione da risolvere, bisogna partire dalla radice: raccogliere dati, informazioni, interviste, che ci chiariscano la natura di questo problema.

Molto spesso, infatti, si osserva in modo superficiale la realtà, senza togliere i panni dell’azienda: ascoltare quello che hanno da dire gli altri può, invece, aiutare a vedere sfumature nuove, aspetti che non erano mai stati considerati.

  1. Define

Qui va messo tutto nero su bianco, in modo da avere davanti agli occhi la situazione dettagliata.

È fondamentale riportare tutto. Ad esempio, nelle interviste, non bisogna tralasciare nessuna parola: i verbi usati, le situazioni descritte sono delle miniere di informazioni.

Al termine di questa fase otterrai un Problem Statement: la definizione precisa e circostanziata del problema.

  1. Ideate

Nel terzo step arriviamo alla svolta: abbiamo tutto ciò che ci serve per rovesciare la situazione, iniziando a ipotizzare tutte le soluzioni che potrebbero essere risolutive per il problema individuato.

L’avvertenza è una sola: non serve l’Idea, ma tante idee. In questa fase ciò che conta è la quantità e la possibilità di dare davvero sfogo alla creatività, senza porsi problemi di realizzazione concreta e fattibilità. Nessun giudizio, solo pensieri in libertà.

  1. Prototype

Quando avrete buttato giù tante idee, queste potranno essere riordinate e valutate: dal team e dai clienti. Qui si iniziano a tirare le somme sulle soluzioni più interessanti!

In questa fase si va a creare un prototipo del prodotto o del servizio. Si può costruire davvero ciò che vogliamo introdurre o semplicemente presentare l’idea.

  1. Test

Sentire gli umori e le impressioni degli altri: questo si fa nella fase di test, lavorando sul prototipo, migliorandolo o affrontando la disfatta.

Già, perché da qui è possibile che si debba tornare alla fase di ideazione: il fallimento, in questo processo, fa parte del gioco e si deve essere pronti a ricercare, di nuovo, idee creative, costruire prototipi nuovi e ripartire.

I benefici per le aziende che applicano il Design Thinking

Capacità di prendere decisioni: integrare il Design Thinking tra gli strumenti e le metodologie di un’impresa, significa ampliare le skills del team in ambito di problem solving. I problemi diventano criticità da risolvere in modo creativo, con un approccio più “leggero” e positivo. Inoltre, l’uso costante di questo processo, aiuta l’imprenditore a prendere anche decisioni importanti per il suo business, riducendo i rischi.

Riduzione dei costi: quanto costa il Design Thinking? Nulla, a meno che tu non sia una grande azienda con un intero settore dedicato. Ma, in ogni caso, più che di spesa dovremmo parlare di investimento: i procedimenti aziendali vengono ottimizzati, i prodotti o servizi vengono migliorati e testati – con il risultato di avere clienti più felici e che spendono di più – e anche le criticità interne o con i partner possono essere riviste.

Cultura dell’innovazione: nell’azienda, ma anche nel sistema e nel mercato. Affinare prodotti o servizi ciclicamente e lavorare con un metodo scientifico e creativo allo stesso tempo, porta una ventata d’aria fresca dentro la compagnia e “impone” anche agli altri di tenersi al passo, dando vita a un circolo virtuoso basato sull’innovazione, come ricerca di soluzioni che diano sempre maggiori benefici alle persone.

Soluzioni di qualità ed efficienti: l’obiettivo finale è proprio quello di creare prodotti, servizi, esperienze sempre realizzabili, di qualità ed efficienti. Se questo scopo viene centrato, è un grande risultato.

Ambiente proattivo e team building: i singoli membri del team escono rafforzati dal processo di Design Thinking, che favorisce l’emergere di leadership naturali, la motivazione, lo sviluppo di un forte senso di appartenenza. Questa modalità di lavoro, infatti, permette di amalgamare al meglio le professionalità e di creare una sinergia di intenti, rappresentando anche un eccezionale momento di team building.

Utilizzando l’approccio Design Thinking si è in grado di concepire soluzioni innovative; comprendere a fondo chi siano gli attori chiave e quale sia la loro importanza nell’ecosistema aziendale e cosa conti davvero per loro; sviluppare una visione sponsorizzata dall’imprenditore / top management e condivisa dai colleghi; abbattere i rischi e adottare soluzioni che creino valore per l’azienda, per il mercato e per gli attori chiave.