07 Apr 2021

DECIDERE O NON-DECIDERE, E’ QUESTO IL PROBLEMA!

DECIDERE O NON-DECIDERE, E’ QUESTO IL PROBLEMA!

Ogni giorno ci troviamo di fronte a diverse scelte e a dover prendere decisioni importanti. Le scelte conducono a delle conseguenze talvolta a nostro favore oppure a nostro sfavore o ad una situazione immutata. Per questo motivo abbiamo paura di scegliere e, di conseguenza paura di sbagliare e inevitabilmente paura di decidere​​.

La paura di decidere è collegata anche ad un’altra paura, correlata alla sfera emotiva che ci condiziona, la ​paura di soffrire​​. A volte però che la continua paura di decidere porta a conseguenze patologiche.

Quando le nostre emozioni prendono il sopravvento nella nostra sfera comportamentale uno dei sintomi più frequenti è il ​congelamento. Di fronte ad alcune decisioni il nostro cervello si blocca ma anche la non-scelta è una scelta.

I motivi che ci spingono a non scegliere e quindi a non prendere decisioni sono:

  • La paura di SBAGLIARE (sbagliare andrebbe ad intaccare la nostra autostima, perdendo fiducia in noi stessi)
  • La paura di ESPORSI (si concretizza nella paura del giudizio degli altri e nel modo in cui gli altri si relazionano a noi)
  • La paura di PERDERE IL CONTROLLO (si realizza quando vi è una situazione di evoluzione e di cambiamento che non sappiamo come gestire, seguita ad una nostra decisione)
  • La paura di NON ESSERE APPREZZATI (si riscontra quando gli altri hanno opinioni avverse alle nostre).

Ciò che aiuta a superare la paura del prendere decisioni è:

  • Delineare con chiarezza l’obiettivo che si vuole raggiungere
  • Trasformare la paura in coraggio
  • Dare voce all’istinto. Sebbene, è importante razionalizzare le decisioni da prendere, seguire le emozioni ci aiuta a superare la situazione di stallo, purché queste non prendano il sopravvento!
31 Mar 2021

Tips sul Public Speaking

Tips sul Public Speaking

Il termine Public Speaking può essere tradotto in due diversi modi: “parlare in pubblico” o “parlare a un pubblico”. Queste due espressioni hanno un significato diverso in quanto è possibile parlare in pubblico senza parlare a un pubblico. La differenza nasce in base alla volontà di coinvolgere il pubblico e renderlo protagonista. Parlare a un pubblico richiede una volontà di farlo e una capacità per realizzarlo, ovvero rendere il parlare efficace e piacevole.

Il P.s. si avvale di precise tecniche performative, cioè di creazione e di messa in scena di un evento; rientra infatti nelle arti della rappresentazione o teatrali.

Ma è pur vero che esibirsi davanti ad una platea di persone attiva ansia e stress. La tensione è elevata soprattutto quando lo si fa per la prima volta poi diminuisce quando il parlare in pubblico diventa più frequente e costante. Ci sono però dei suggerimenti che permettono di migliorare le abilità di Public Speaking.

 

a)       Essere preparati sull’argomento che si dovrà trattare e fare pratica ad esempio videoregistrandosi

 

 

b)      Prima di impostare il discorso è necessario conoscere le persone alle quali ci si rivolge

 

 

c)       È indispensabile organizzare il materiale e avere una scaletta che permetta di attirare il pubblico

 

 

d)      Fondamentale è riconoscere le reazioni del pubblico regolando il messaggio per non risultare monotoni

 

 

e)      Un ottimo alleato per garantire l’attenzione è usare l’umorismo ma anche raccontare storie o esperienze passate

 

 

f)        È importante cercare di non leggere (al massimo sbirciare solo se necessario)

 

 

g)       Usare la comunicazione non verbale in modo efficace è l’arma vincente per risultare disinvolti

 

 

h)      Concludere il discorso con una dichiarazione forte, ciò permette di lasciare un segno

 

 

i)        In ultimo, ma forse il più importante di tutti i consigli è di essere sempre se stessi. Questo permette di risultare credibili e di far si che il pubblico si fidi.

 

 

31 Mar 2021

POTENZIARE L’AUTOSTIMA SUL LAVORO

POTENZIARE L’AUTOSTIMA SUL LAVORO

L’autostima, chiamata anche fiducia in sé stessi, è definita come il processo soggettivo che conduce una persona alla valutazione e all’apprezzamento del proprio valore personale, basato su delle auto-percezioni. Questo particolare aspetto della persone è importante nella vita quotidiana, ma lo è anche nel lavoro.

AUTOSTIMA E RISULTATI

Ci sono persone che acquisiscono fin da subito una buona autostima, ma altre devono lavorarci un po’ di più; questo è ancor più vero a lavoro, in quanto potrebbe capitare di avere un collega che si reputa più reattivo, più geniale e più preparato. In questo caso, per la persona ci vorrà fatica e tempo per poter sviluppare e accrescere la fiducia in sé, perché le esperienze esterne renderanno più complessa la sua formazione e il suo sviluppo. Le persone dotate di autostima sono orientate al raggiungimento dei risultati, dunque rispetto a coloro che hanno bassa fiducia in sé, portano a termine le cose che iniziano e sono sempre disposte ad imparare cose nuove e a lanciarsi in sfide avvincenti. Uno dei maggiori vantaggi dell’avere autostima, sta nel fatto che non si teme l’errore, anzi, esso viene visto come possibilità di miglioramento, anziché come fallimento personale. Quindi, autostima e risultati sono legati reciprocamente e una influenza l’altra. Ad esempio, avere una buona autostima sul lavoro forma una sorta di mentalità vincente, che predispone ad affrontare le sfide che si presenteranno, ma allo stesso tempo, i risultati che si ottengono possono influenzare la fiducia in sé, in quanto, dopo una serie di fallimenti, la considerazione dei propri mezzi e delle proprie capacità ne risentirà indubbiamente.

CONSIGLI SU COME INCREMENTARE LA FIDUCIA IN SÉ

In questo paragrafo ci si concentrerà su dei consigli attraverso cui migliorare e potenziare la propria autostima.

  1. Focalizzarsi sui propri punti di forza – fare una lista delle aree o dei comportamenti che si considerano dei propri punti di forza è molto importante per valorizzarli. Se ad esempio, ci si rende conto di non essere afferrato su qualcosa che sa fare un collega, ci si può anche accorgere di essere più pronto di lui su qualcos’altro e questo permetterebbe, attraverso un’adeguata combinazione, di raggiungere importanti successi.
  2. Imparare a dire di “no” – capita spesso di assecondare eccessivamente le richieste degli altri, anche contro la propria volontà; questo procura frustrazione nel corso del tempo, che a sua volta agisce sulla fiducia in sé, dunque imparare declinare qualche richiesta e a concentrarsi maggiormente sui propri interessi e sui propri piaceri è uno dei primi passi per accrescere l’autostima.
  3. Basta paragoni – le comparazioni sono uno dei motivi principali che porta una persona e/o un lavoratore a considerarsi incapace o inadatto per quella particolare attività/mansione, infatti esse non permettono di vedere ampiamente le proprie capacità, ma costringono la persona a focalizzarsi esclusivamente su ciò in cui pecca in confronto a qualcun altro. Dunque, basta fare comparazioni e basta circondarsi di persone che fanno sentire di essere superiori.
  4. Uscire dalla propria comfort zone – questo è un passo molto importante perché permette di ampliare le proprie capacità, e di conseguenza, di incrementare la propria autostima. Dunque, ad esempio, ci si potrebbe offrire volontari per un progetto o ci si potrebbe ”buttare a capofitto” su un lavoro che si vorrebbe fare, ma che si rende sopra le proprie possibilità. Quindi, coraggio.
24 Mar 2021

Work for Equity

Work for Equity

Un importante beneficio previsto per le startup è il work for equity (articolo 27, Dl 179/2012 – Decreto Crescita 2.0). Tramite questa agevolazione è possibile, da un lato, accedere a prestazioni professionali qualificate e fruire di efficienti strumenti di fidelizzazione del capitale umano, e dall’altro, impiegare minori risorse finanziarie nella fase iniziale dell’attività in cui la liquidità è particolarmente limitata.

Il work for equity è un’opportunità anche per amministratori, consulenti, professionisti e, in generale prestatori di opere e servizi, per la possibilità di essere pagati tramite l’assegnazione di azioni o quote delle startup, ciò significa partecipare al capitale dell’impresa che si sta aiutando a costruire e a crescere.

L’obbiettivo del work for equity è quello di risolvere il problema delle startup di assumere dei professionisti qualificati non essendo ancora stabili dal punto di vista economico, offrendo in cambio quote aziendali.

Riassumendo con il work for equity è possibile:

  • Evitare alle nuove società il peso di un compenso immediato.
  • Consentire ai collaboratori di contribuire e partecipare al raggiungimento del futuro successo delle startup.
  • Dare l’opportunità ai dipendenti di dare un contributo e di partecipare al successo dell’azienda, riconoscendo quote di capitale date in cambio di servizi erogati.
     

    VANTAGGI

     

    SVANTAGGI

     

    Diventare parte di un qualcosa che prima o poi diventerà importante e di valore.

     

     

    L’equity può portare guadagni molto generosi, ma prima di raggiungere il successo è indispensabile avere altre fonti di reddito.

     

     

    Il pagamento dal work for equity ha redditi tax free dal punto di vista fiscale e contributivo.

     

     

    E’ possibile che eventuali investitori futuri valutino meno le quote pattuite in fase di assegnazione, questo comporterebbe delle perdite in termini di lavoro svolto e ricavo delle quote.

     

     

    I dipendenti non gravano sulla società stessa, ma collaborano, seppur rischiando, con la startup dando il loro contributo al successo della stessa.

     

     
     

    Vi è un’elevata coerenza tra l’incentivo e l’obiettivo organizzativo, per cui ogni ruolo viene misurato effettivamente sul risultato del suo lavoro.

     

     
24 Mar 2021

IL PESO DELLA ROUTINE NEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

IL PESO DELLA ROUTINE NEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI

Molti di noi hanno una giornata frenetica tra impegni lavorativi, famiglia, faccende domestiche, studio, amici, sport. Come fare per gestire tutti questi impegni e tutte queste attività? Serve organizzazione e serve una chiara routine. In questo articolo si comprenderà come mai la routine può essere tanto utile nel raggiungimento dei nostri obiettivi, e automaticamente, nel raggiungimento del tanto sperato successo.

LA ROUTINE: COS’È?

La routine può essere definita come un’abitudine acquisita, nel corso del tempo, grazie alla pratica e all’esperienza. Esse sono positive nella nostra vita di ogni giorno perché ci fanno sentire più sicuri e più tranquilli, quindi, ad esempio, semplifica la scelta tra diverse opzioni, velocizzando il processo. Inoltre, i dottori González e Villega affermano che le routine sono utili per conoscere l’ambiente sociale a partire da quello individuale, in quanto sono funzionali allo sviluppo di conoscenze, competenze, comportamenti, che sono fondamentali nella società.

PERCHÉ LA ROUTINE È UTILE

In questo paragrafo si evidenzieranno i punti che rendono la routine fondamentale per la vita di tutti i giorni.

  • SICUREZZA – la caratteristica più importante dell’essere routinari sta nel fatto di sapere precisamente cosa accadrà e come ci organizzeremo. La prevedibilità delle situazioni e degli eventi futuri permette di essere tranquilli e rilassati. In questo modo si evitano errori, sbagli o inadempienze e scompaiono sia ansia che stress dalla nostra quotidianità.
  • GESTIONE DEL TEMPO – avere delle routine fisse permette un’organizzazione più efficace e più efficiente del tempo, potendo sfruttare maggiormente le ore che si hanno a disposizione. Anche a livello psicologico, questo aspetto è molto importante perché la routine evita la percezione di quel caos eccessivo e fastidioso, permettendo di ottenere un buon equilibrio mentale.
  • COMODITÀ – questa è una conseguenza della sicurezza generata dalla routine perché in ambienti prevedibili, in cui nulla può sfuggire al controllo, si percepisce la sensazione di poter gestire facilmente i propri impegni. Tuttavia, c’è da segnalare che la comodità non è eterna, ci possono essere dei cambiamenti che scardinano le sicurezze, ma in questi casi è importante ritrovare la tranquillità e instaurare nuovamente la prevedibilità in quello che c’è da fare.
17 Mar 2021

IL TIME MANAGEMENT

IL TIME MANAGEMENT

Il time management (o gestione del tempo) consiste in una strutturazione sistematica, basata su delle priorità di allocazione temporale e una distribuzione tra richieste concorrenti. Tutto questo si traduce in una serie di strategie e di pratiche volte alla realizzazione di specifiche attività, progetti ed obiettivi entro un determinato lasso di tempo. È un processo di pianificazione controllo del tempo utilizzato in particolare per aumentare l’efficacia, l’efficienza e la produttività.

Il tempo è una risorsa limitata. È indispensabile scegliere su cosa concentrare i nostri sforzi per evitare il rischio di disperdere le nostre energie e girare a vuoto.

“Non ho tempo” è la constatazione da cui dobbiamo partire per costruire un’efficace gestione delle nostre attività lavorative. Sempre e comunque non abbiamo il tempo per poter riuscire a fare tutto, è appunto per questo motivo che già da oggi eviteremo di sprecarlo.

MA COME SI GESTISCE IL PROPRIO TEMPO?

Saper gestire al meglio il proprio tempo è una delle capacità più importanti da acquisire, e/o migliorare, se nella vita si vogliono realizzare grandi cose, in qualsiasi campo e, soprattutto, in quello lavorativo.

Le strategie di gestione del tempo sono spesso associate con la raccomandazione di impostare obiettivi personali, un progetto, in un piano d’azione, composto da un elenco di attività semplici. Sia per le attività individuali che per gli obiettivi si può stabilire un punteggio di importanza, istituire scadenze e priorità assegnate. Si raccomanda un periodo di programmazione giornaliera, settimanale, mensile o di altro tipo nei diversi campi di pianificazione o di revisione.

La corretta gestione del tempo prevede l’equilibrio tra le azioni che “dobbiamo” fare e quelle che “vogliamo” fare. Se non stiamo gestendo il nostro tempo lavorativo (atteggiamento proattivo) significa che è il tempo lavorativo che sta gestendo noi (atteggiamento reattivo). Nella gestione proattiva delle nostre attività facciamo in prevalenza quello che abbiamo deciso e quindi le cose più importanti, invece nella gestione reattiva facciamo quello che altri o gli eventi ci richiedono (e magari non le cose più importanti).

Ogni giorno, ogni mese, ogni anno abbiamo tutti la stessa quantità di tempo, ma ognuno di noi lo impiega in maniera molto diversa con risultati molto diversi. La causa di mancati obiettivi non va ricercata nella carenza di tempo avuto a disposizione, ma nel come si sono scelte ed effettuate le attività. Non abbiamo bisogno di più tempo, ma di utilizzarlo nel modo migliore per dare più valore al nostro tempo e di conseguenza alla nostra vita.

IMPORTANTE vs URGENTE

Assodato che non possiamo inventarci del “nuovo tempo”, tutto quello che possiamo fare è gestire al meglio quello che abbiamo, organizzando e limitando le azioni inutili che ci rubano del tempo prezioso. Occorre non confondere la quantità di lavoro (ore di lavoro) con la qualità del lavoro (risultati ottenuti e livello di soddisfazione personale) e, soprattutto, ciò che è urgente con ciò che è importante!

Le attività urgenti sono quelle per le quali è indispensabile essere veloci nella risposta o nella reazione, mentre le attività importanti sono quelle attività che danno un ritorno e che è vitale concretizzare.

I TRE GRANDI AMBITI DEL TIME MANAGEMENT

Occorre decidere di dedicare un tempo adeguato alla pianificazione e all’organizzazione del nostro futuro, e passare da una gestione del tempo come “giornate di lavoro da riempire” (dedicare tutto il proprio tempo a disposizione) ad “organizzare azioni calibrate sui nostri obiettivi”.

La maggior parte dei problemi nella gestione del tempo è compreso in tre grandi ambiti:

  • pianificare e programmare il futuro definendo gli obiettivi finali ed intermedi della nostra attività;
  • agire in modo da portare a termine le attività ad alta priorità;
  • gestire le relazioni interpersonali in modo efficace ed efficiente.

La prima regola del time management è “Scegliere cosa fare nel tempo dato”; la seconda è “Scegliere come farlo”, che consiste fondamentalmente in cinque punti fondamentali:

  1. Eliminare gli sprechi di tempo che non danno niente e magari creano un senso di colpa
  2. Dare ordine alle attività, nella vita e nel lavoro, stabilendo valori, priorità e programmi temporali
  3. Adottare comportamenti più efficienti, che migliorino cioè il nostro uso del tempo
  4. Adottare tecnologie e strumenti che ci autodisciplinino e migliorino il rapporto Risultati/Tempo impiegato (come ad esempio, la programmazione delle attività, un’agenda di time management, liste delle cose da fare, time organizer informatici, ecc.)
  5. Imparare a delegare a colleghi, collaboratori, dipendenti tutte le attività che non richiedono il nostro stretto o necessario intervento. Il processo di delega porta con sé anche un movimento di fiducia rispetto alle capacità operative del delegato della sua autonomia.

I LADRI DEL TEMPO

La prima cosa da fare nel “Time Saving” è di individuare i fattori di spreco, i cosiddetti “ladri del tempo“, dopodiché bisogna individuare quelli che dipendono direttamente da noi e quelli su cui, pur non dipendendo da noi, possiamo in qualche modo intervenire. Solo a questo punto, non c’è altro da fare se non eliminarli del tutto o in parte.

Molti sono i fattori che causano perdita di tempo un po’ dovunque:

  • le interruzioni (telefonate, mail, social network, ecc.)
  • l’abitudine a rimandare o lasciare/riprendere lavori incompleti
  • l’incapacità a definire le priorità
  • l’incapacità a dire di “no”
  • l’incapacità a delegare
  • comunicazioni, istruzioni, informazioni non chiare
  • le visite inaspettate
  • le riunioni improduttive
  • la gestione delle crisi
  • voler far troppo in una sola volta
  • la disorganizzazione d’ufficio
  • indecisioni e rinvii
  • collaboratori inadeguati, non preparati
  • attribuzioni di responsabilità non chiare
  • la carenza di autodisciplina
  • la socializzazione.
17 Mar 2021

CONSIGLI SU COME PRENDERE DECISIONI GIUSTE

CONSIGLI SU COME PRENDERE DECISIONI GIUSTE

“Essere o non essere, questo è il dilemma”. Queste parole di Shakespeare racchiudono il costante problema che accompagna l’uomo quando deve scegliere che azioni intraprendere o che obiettivi perseguire. Ci si chiede spesso quale sarebbe la scelta giusta che permetta di ottenere benessere e soddisfazione. Quotidianamente ci si trova dinanzi a decisioni, dallo scegliere cosa indossare o cosa cucinare, fino allo scegliere che percorso universitario iniziare o quando fare il Master. Dunque, nella vita così come nello studio e nel lavoro siamo continuamente circondati da situazioni in cui prendere decisioni più o meno decisive. Il momento di prendere una decisione è un passaggio critico, che deve essere analizzato nei minimi dettagli. Inoltre, l’abilità “decision making” è sempre più richiesta nel mercato del lavoro odierno.

RAZIONALITÀ ED EMOTIVITÀ

Quando si mette in atto un processo decisionale, non c’è solo una mera valutazione delle migliori opportunità, ma tutto inizia, dapprima, con l’analisi delle informazioni e successivamente con la loro elaborazione, fino ad arrivare alla fine alla valutazione di tutte le alternative a disposizione. In questo processo entrano in gioco sia fattori legati alla razionalità che fattori legati all’emotività, in quanto le decisioni devono essere considerate la risultante sia dei primi che dei secondi. L’ideale sarebbe mantenersi sempre in equilibrio tra la razionalità e l’emotività e di prendere le decisioni importanti a mente lucida e calma.

CONSIGLI PER PRESE DI DECISIONI OTTIMALI

Prima di tutto, bisogna sottolineare il fatto che non esiste un decisore perfetto e non esistono consigli che facciano prendere decisioni perfette, ma seguire dei piccoli accorgimenti può aumentare le probabilità di prendere una decisione migliore.

  1. Definire in modo chiaro l’obiettivo – avere le idee chiare e sapere esattamente dove si vuole arrivare è il primo passo per prendere una decisione funzionale.
  2. Raccogliere quante più informazioni possibili – l’esaustività in questi casi è fondamentale per valutare tutte le possibili alternative.
  3. Prendere in considerazione tante possibili risposte – la regola numero uno è che non bisogna mai fermarsi alla prima idea, perché inizialmente affiorano alla mente soprattutto idee/soluzioni familiari, adottate ad esempio in precedenza, quindi meglio temporeggiare e prendersi del tempo per considerare tante possibili alternative.
  4. Valutare i pro e i contro di ogni opzione – è importante fare un’analisi attenta dei vari vantaggi e svantaggi che ogni scelta comporta, così da ponderare al meglio le decisioni.
  5. Selezionare l’alternativa più utile – dopo aver seguito i consigli precedenti, sarà più facile individuare quale tra quelle prese in considerazione ha una maggiore probabilità di condurre al successo e al benessere.
10 Mar 2021

IL DESIGN THINKING

IL DESIGN THINKING

Il Design Thinking è l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici attraverso cui vengono progettati prodotti, edifici e macchinari. Negli ultimi anni tale concetto si è spostato anche verso l’innovazione di prodotti e servizi.

È un approccio all’innovazione che si basa sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione ed una gestione creative. In origine, il Design Thinking (codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford) era più che altro un approccio all’innovazione adottato da agenzie e studi di design, centrato sulle persone e sulla loro abilità di integrare capacità analitiche con attitudini creative. Oggi, invece, la sua diffusione sta permeando in settori molto diversi, ritenuti più distanti fino a qualche anno fa: in particolare, la consulenza direzionale, la trasformazione digitale e la progettazione di software e interfacce.

La metodologia manageriale del Design Thinking aumenta notevolmente la capacità delle organizzazioni (aziende profit, no profit, pubbliche amministrazioni ecc.) di prendere decisioni efficaci e redditizie, creando condivisione e “benessere” per tutti i suoi stakeholder, interni ed esterni. Ad esempio, può aiutare le aziende a risolvere problemi organizzativi interni, accompagnare la progettazione ed il lancio di una startup, supportare e rendere più efficienti i processi di realizzazione e distribuzione di un prodotto e/o un servizio, insegnando ai team aziendali a sviluppare il pensiero creativo, sul modello di quello del designer e ad utilizzare un approccio alla soluzione dei problemi ispirato al metodo scientifico utilizzato nella ricerca.

L’obiettivo del Design Thinking è quello di identificare una soluzione innovativa ad un problema, che soddisfi tre criteri fondamentali: gradimento (del mercato o degli attori), fattibilità e redditività o sostenibilità economica.

PRINCIPALI CAMPI DI APPLICAZIONE

Il Design Thinking è applicabile a tutti i tipi di i problemi, che siano di strategia, di organizzazione, di sviluppo nuovi prodotti o servizi:

  • Consulenza strategica e definizione della strategia aziendale a medio/lungo termine
  • Ideazione di nuovi prodotti e servizi (anche innovazioni radicali) o processi
  • Progetti di organizzazione e ri-organizzazione aziendale
  • Progetti di acquisizione, spin-off
  • Progettazione ed avvio di startup
  • Ciclo risorse umane e formazione.

Tale metodologia viene applicata da un team composto da diverse funzioni aziendali (secondo la natura del progetto) ed eventuali attori chiave extra aziendali (clienti, fornitori, partner, ecc.) sotto la guida di un “Project Leader”.

I PRINCIPI DEL DESIGN THINKING

Esistono quattro principi di fondo del Design Thinking:

  • Creatività – che fa leva sulla capacità delle persone coinvolte di essere creative, fantasiose, inventive;
  • Prototipazione – che velocizza i processi di Design Thinking perché consente di comprendere in maniera rapida punti di forza e di debolezza delle nuove soluzioni da implementare;
  • User Contribution – che riguarda il ruolo che l’utente finale ricopre nel processo di innovazione, fondamentale perché il Design Thinking nasce dalla volontà di guardare ai bisogni degli utenti ed aiutarli a risolverli;
  • Durata del processo – che può variare nell’ordine di ore, giorni, mesi e anni, perché il processo di Design Thinking predilige fasi e dinamiche divergenti, in cui si generano innumerevoli nuove idee attraverso lunghi momenti di brainstorming.

MODELLI DI DESIGN THINKING

L’Osservatorio Design Thinking for Business del Politecnico di Milano ha individuato quattro forme ed interpretazioni diversi che il Design Thinking può assumere a seconda delle sfide specifiche e degli obiettivi del progetto di innovazione.

– CREAZIONE DI VISION (metodologie che fanno leva su attitudini critiche ed interpretative):

  • Creative Confidence – è l’approccio che mira a creare all’interno delle organizzazioni i presupposti perché possano essere innovative e inclini al cambiamento, stimolando, ad esempio, attitudini quali empatia e tolleranza al rischio ed al fallimento.
  • Innovation of Meaning – attraverso quest’approccio, le imprese ridefiniscono la visione aziendale, i messaggi ed i valori legati ai prodotti e ai servizi che offrono (l’obiettivo è di individuare direzioni e strategie in grado di apportare valore sia all’organizzazione che le promuove sia all’utente finale).

– CREAZIONE DI SOLUZIONI (metodologie che fanno leva su competenze creative e ideative; sono le più diffuse tra società di consulenza, studi di design, agenzia digital e sviluppatori di software e tecnologie):

  • Creative Problem Solving – con cui le imprese innovano comprendendo i bisogni dell’utente e immaginando la più elevata gamma di soluzioni possibili per rispondere alle sue esigenze, per poi restringere il campo fino a trovare la soluzione dominante.
  • Sprint Execution – attraverso cui ci si pone un obiettivo di realizzare e testare prodotti efficaci al fine di apprendere dai clienti e migliorare la soluzione. È la metodologia in cui si fa più largo uso dei principi di Prototipizzazione e User Contribution.

COME SI ARRIVA AL RISULTATO

Si arriva al risultato attraverso un metodo strutturato in cinque fasi:

  1. Identificazione del problema e quindi dell’obiettivo;
  2. Identificazione del contesto (dati e attori chiave);
  3. Esplorazione e ricerca delle opportunità;
  4. Ideazione, prototipazione, test e validazione;
  5. Implementazione.
10 Mar 2021

L’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

L’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

L’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni. In essa sono comprese molte competenze, come: la consapevolezza di sé, la capacità di autocontrollo, l’empatia e le abilità sociali. Secondo alcuni studi l’intelligenza emotiva migliora la collaborazione tra i dipendenti e permette di avere un ambiente di lavoro più felice.

LE COMPETENZE COMPRESE NELL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Alla base dell’intelligenza emotiva ci sono due importanti competenze:

  • una riguardo la sfera personale, legata al modo in cui controlliamo noi stessi;
  • una riguardo la sfera sociale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Tra le competenze di natura personale ci sono: la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione. Invece, tra le competenze sociali ci sono: l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali.

La consapevolezza di sé

Essa consiste nella capacità di riconoscere le proprie emozioni e dare loro un nome. Si potrebbe pensare che dare un nome alle emozioni che si stanno provando in un dato momento sia una cosa ininfluente, ma in realtà esercitare questa attività significa già attuare una prima forma di contenimento e di controllo. La consapevolezza di sé, però, ingloba al suo interno anche il tentativo, da parte di un individuo, di auto-valutare accuratamente le proprie risorse interiori, le proprie abilità e i propri limiti; questo aspetto è importante perché conduce alla percezione del proprio valore e delle proprie capacità, e di conseguenza, può agire influenzando la fiducia in sé stessi.

La padronanza di sé
Essa implica l’essere in grado di gestire le proprie emozioni, riuscendo quindi a esprimerle in modo responsabile. Dunque, in questo caso, avere un’alta intelligenza emotiva significa essere in grado di controllare e gestire i propri sentimenti in modo tale da esprimerli in modo efficace e responsabile.  La padronanza di sé non implica un’attività atta alla soppressione di ciò che si prova, in quanto questo sarebbe irrealizzabile, ma il fine ultimo è la gestione di ciò che si prova.

La motivazione
Un aspetto chiave dell’intelligenza emotiva è la motivazione intrinseca. Le persone che possono essere definite intelligenti dal punto di vista emotivo sono coloro che riescono a motivare sé stessi e gli altri correttamente per raggiungere gli obiettivi prefissati. A questo proposito, riuscire a ottenere il massimo dagli altri, motivandoli nel migliore dei modi, è un’abilità fondamentale che consiste nello saper influenzare e ispirare gli altri. Dunque, la motivazione comporta sia la spinta alla soddisfazione personale che l’impegno nel dare sostegno anche ad un eventuale lavoro in team.

Empatia

L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e pensieri. È un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”. L’empatia comprende anche la risposta che l’individuo dà dopo aver compreso lo stato d’animo dell’altra persona. Quindi ad esempio, il comportamento e la comunicazione sarà differente se si ha dinanzi una persona triste o felice.

Abilità sociali

È importante interagire bene con gli altri, perché nel lavoro saper instaurare relazioni di qualità con i colleghi è indispensabile per lavorare bene e per inspirare gli altri nel raggiungimento degli obiettivi. Le persone con un’altra intelligenza emotiva riescono a far sentire a proprio agio le persone con cui si interfacciano, dando loro interesse e attenzione. Tra le abilità sociali possiamo trovare: l’ascolto attivo, la comunicazione non verbale, la leadership e le capacità legate alla persuasione.

IMPORTANZA DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

Prima si è visto che l’intelligenza emotiva comprende diverse capacità, come: la consapevolezza e il controllo dei propri sentimenti; la flessibilità; l’equilibrio; il lavoro in team; la leadership e la concentrazione sul lavoro.

Tutte queste caratteristiche sono sempre più apprezzate in campo lavorativo perché sapersi controllare e attenuare lo stress o saper lavorare in team con persone poco conosciute viene considerato di estrema importanza. Infatti, l’intelligenza emotiva è entrata di diritto tra le cosiddette “soft skill”, che possono essere viste come competenze trasversali che attraversano tutti gli ambiti lavorativi, dunque non sono competenze specifiche legate a un singolo compito o a una singola mansione (hard skill).

 

03 Mar 2021

IL COACHING AZIENDALE

IL COACHING AZIENDALE

Il Coaching Aziendale è un processo di affiancamento di un coach ad un’azienda finalizzato al raggiungimento di obiettivi di crescita e miglioramento avendo, come valori cardini, la produttività aziendale e il benessere individuale delle persone.

Molto spesso il coaching approda in azienda perché i titolari o i responsabili Risorse Umane si ritrovano con Manager dotati di grandi competenze tecniche, magari anche di un forte attaccamento all’azienda ed al lavoro, ma incapaci di relazionarsi efficacemente con i propri collaboratori e con i colleghi.

Certo è che il coaching aziendale non può sostituire il necessario apprendimento di competenze ormai necessarie per coprire ogni ruolo manageriale (capacità di parlare in pubblico, di strutturare una presentazione, di gestire una riunione e di guidare collaboratori); inoltre, presupposto fondamentale per il positivo avvio di un percorso di coaching in azienda è la reale convinzione da parte del committente di voler effettuare un investimento sul presupposto che il manager possegga delle potenzialità da sviluppare, delle qualità inespresse sulle quali lavorare.

Il coaching è una metodologia che si basa su una relazione di partnership paritaria (tra il Coach e il suo Cliente) che, attraverso un rapporto commerciale (di espressa natura contrattuale), mira a riconoscere, sviluppare e valorizzare le strategie, le procedure e le azioni utili al raggiungimento di obiettivi operativi collocati nel futuro del cliente.

I BENEFICI DEL COACHING AZIENDALE

I benefici principali dell’inserire il coaching in Azienda sono:

  • il miglioramento del clima aziendale
  • il miglioramento dello stile di leadership
  • la migliore gestione delle fasi del cambiamento
  • l’ottimizzazione del potenziale dei propri uomini
  • lo sviluppo del problem solving
  • la gestione del passaggio generazionale
  • il miglioramento delle performance dei singoli
  • la motivazione dei team Aziendali

“È fondamentale che Azienda, coachee e coach siano allineati sui risultati attesi all’avvio del processo di coaching”.

CONDIZIONI PRELIMINARI ED AVVIO DEL PERCORSO DI COACHING AZIENDALE

Nelle organizzazioni “evolute”, nelle quali il coaching è già utilizzato e quindi genericamente conosciuto, capita che sia il manager a chiedere all’Azienda di poter intraprendere un percorso di coaching ed essere seguito da un coach; ma non è affatto scontato che al potenziale coachee sia chiaro di cosa si tratti.

Tuttavia, in genere, è frequente la situazione in cui sia la committenza, rappresentata dalla funzione Risorse Umane o dal vertice aziendale, a proporre al manager di intraprendere un percorso di coaching e spesso il manager di turno non ne comprende l’utilità.

Oggi al termine “coaching” si attribuiscono i più svariati significati. Il più delle volte, la figura del coach viene confusa con quella dei consulenti aziendali, degli psicologi, dei terapeuti, che risolvono comportamenti patologici; ma il coaching non è la cura miracolosa che sistema rapporti ormai compromessi e salva relazione deteriorate.

Il coach lavora sul potenziale del coacheee, quindi è bene che il committente sia pienamente convinto di possedere delle capacità, magari non ancora pienamente espresse.

LA TRIANGOLAZIONE COMMITTENTE – COACH – COACHEE

  1. Il Committente incontra il coach

In questo incontro i rappresentanti dell’azienda spiegano al coach che cosa li ha portati a proporre un percorso di coaching per uno o più managers. Il coach, da parte sua, chiarisce le caratteristiche, la metodologia e le condizioni perché questa possa essere efficace.

La committenza ha diritto ad identificare l’area su cui lavorare. A seguito di questo incontro preliminare, viene redatta una versione del patto di coaching che contiene la parte economica ed organizzativa.

  1. Il committente parla con il coachee

Questo incontro è fondamentale perché vi sia una reale coachability. È in questa fase che dovrebbe esserci la condivisione delle aree su cui intervenire con il supporto professionale di un coach.

  1. Il coach presenta al coachee lo strumento, la metodologia e verifica della coachability

Dopo alcuni minuti, il committente lascia la riunione in modo che possa crearsi la relazione confidenziale e di fiducia tra il coach e il coachee. Alla fine di tale momento, se convinto, quest’ultimo firmerà il patto di coaching che conterrà gli stessi elementi di quello firmato tra coach e committente.

Elemento delicatissimo in questa relazione in cui il coaching si svolge in connessione con l’attività lavorativa è la definizione dell’obiettivo del percorso di coaching.

CONCLUSIONI

Il coaching aziendale rappresenta uno strumento potentissimo per lo sviluppo dei manager o di altri ruoli chiave in azienda.

Affinché l’introduzione del coaching in azienda diventi una storia di successo è fondamentale che:

  • il committente ne comprenda la metodologia e sia consapevole che sta facendo un investimento per lo sviluppo di una risorsa importante, quindi deve credere realmente nelle potenzialità del coachee;
  • il coach non venga a compromessi con la sua deontologia, egli ascolta, stimola, dà feedback e supporta il coachee;
  • il coachee inizi questo percorso solo se lo vuole veramente, impegnandosi e responsabilizzandosi in prima persona per raggiungere i risultati, supportato dal coach.

Fondamentale è il dialogo aperto e sincero tra il responsabile e/o il rappresentante delle Risorse Umane ed il manager futuro coachee prima dell’avvio del percorso.