15 Lug 2021

Effetti “collaterali” dell’essere gentile

Effetti “collaterali” dell’essere gentile

La gentilezza può significare cose diverse per persone diverse. Il significato sta nel modo in cui TU scegli di mostrarlo. Puoi farlo attraverso l’empatia, l’accettazione, i gesti gentili, la premura. Le possibilità dipendono interamente da te. La gentilezza può significare fare cose per gli altri senza aspettarsi necessariamente qualcosa in cambio dagli altri.

1. La gentilezza ti rende più felice

Quando fai qualcosa di gentile per qualcun altro, ti senti bene. A livello spirituale, molte persone sentono come te che una cortesia è la cosa giusta da fare; scopri qualcosa di profondo dentro di te che dice: “Questo è ciò che amo essere.”

A livello biochimico, si ritiene che la buona sensazione derivante da un atto di gentilezza sia dovuta a livelli elevati di combinazioni naturali di morfina ed eroina prodotte dal cervello. Grazie all’aumento dei livelli di dopamina nel cervello si ottiene infatti un elevato e naturale effetto chiamato Helper’s High definibile come una sensazione di profonda euforia seguita da piacevole calma.

2. Un atto gentile rende più sano il tuo cuore

Gli atti di bontà sono spesso accompagnati da calore emotivo. Il calore emotivo produce l’ormone ossitocina. Di recente interesse è il suo ruolo significativo nel sistema cardiovascolare.
L’ossitocina provoca il rilascio di una sostanza chimica chiamata ossido nitrico nei vasi sanguigni, che dilata (allarga) i vasi sanguigni. Questo riduce la pressione sanguigna e quindi l’ossitocina è nota come ormone ‘cardioprotettivo’ perché protegge il cuore (abbassando la pressione sanguigna). Se gli atti gentili producono ossitocina allora esternare altruismo, tolleranza, disponibilità è a tutti gli effetti un passo importante per proteggere la salute del proprio cuore.

3. La gentilezza rallenta l’invecchiamento

L’invecchiamento cerebrale e del corpo a livello biochimico è una combinazione di molte cose, ma i due colpevoli principali che accelerano il processo d’invecchiamento sono i radicali liberi e l’infiammazione, entrambi derivanti da scelte di stile di vita malsana.
Una ricerca mostra ora che l’ossitocina (che produciamo anche attraverso il calore emotivo) riduce i livelli di radicali liberi e l’infiammazione del sistema cardiovascolare rallentando l’invecchiamento alla fonte.

Inoltre esistono suggerimenti e notizie interessanti delle riviste scientifiche a proposito del forte legame tra la compassione e l’attività del nervo vago: esso, così come per la regolazione della frequenza cardiaca, controlla anche i livelli di infiammazione nel corpo.

Uno studio che ha utilizzato la meditazione buddista tibetana della gentilezza e compassione, ha scoperto che gentilezza e compassione hanno, infatti, potere anti-infiammatorio nel corpo, molto probabilmente a causa dei suoi effetti sul nervo vago.

4. La gentilezza migliora le relazioni

A tutti noi piace la gente che ci mostra gentilezza. Questo perché la gentilezza riduce la distanza emotiva tra due persone e così ci si sente più “legati”. E’ qualcosa di così forte in noi che in realtà è una cosa genetica.

5. Essere gentili è contagioso

Spesso gli altri ti ispirano a essere gentile e gli studi dimostrano che in realtà la gentilezza crea un effetto a catena che si estende verso l’esterno e che vale per i tuoi amici, per gli amici dei tuoi amici e così via fino al terzo grado di relazione.

Un recente studio scientifico del New England Journal of Medicine ha riferito che un anonimo di 28 anni, entrando in una clinica e donando un rene, scatenò un effetto a catena per cui i coniugi e altri familiari di colui che beneficiò del rene, a loro volta donarono un rene a chi era in attesa di trapianto.

L’effetto domino, come è stato chiamato nel rapporto del New England Journal of Medicine, ha attraversato in lungo e in largo gli Stati Uniti d’America, facendo in modo che 10 persone ricevessero un nuovo rene come conseguenza di quel donatore anonimo.

 

L’obiettivo di questo articolo è quello di consigliarti di essere gentile, sempre, per il tuo bene e di quello degli altri.

08 Lug 2021

I segreti per essere soddisfatti del proprio lavoro

I segreti per essere soddisfatti del proprio lavoro

Diceva Confucio: “Fai quello che ami e non lavorerai un giorno nella tua vita”, questa frase che ormai è la preferita dei vari tutor motivazionali del mondo, ha un fondo di verità: fare un lavoro che piace migliora il proprio grado di soddisfazione.

Avere un lavoro che soddisfa le proprie inclinazioni e le proprie passioni è sicuramente il modo migliore per essere felici e soddisfatti del proprio lavoro. Quando non si riesce a perseguire i propri obbiettivi lavorativi, solitamente ci si sente frustrati dai compiti che si devono svolgere, la stanchezza e l’apatia accompagnano tutti i giorni che sembrano non finire mai.

Per essere realmente soddisfatti del lavoro che si compie dunque premette sicuramente una certa affinità con i propri desideri.

Quindi, prima di cercare lavoro è bene riuscire a studiare o comunque ad ottenere le competenze necessarie per accedere a posti di lavoro che possano realmente soddisfare, anche in minima parte, le proprie passioni o le naturali inclinazioni.

Il segreto per riuscire a lavorare ed essere soddisfatti è innanzitutto cercare un impiego che vi piaccia o in cui credete di poter dare il meglio di voi stessi. Il secondo “segreto” per essere soddisfatti è impegnarsi e riuscire a raggiungere gli obbiettivi prefissati sul lavoro, questo vi darà un’enorme soddisfazione.

Collaborare con persone con cui riesci a creare un rapporto di rispetto reciproco e apprezzare anche coloro che ti circondano è un altro punto a favore del tuo benessere. Infine, se ti senti infelice allora è ora di cercare un nuovo lavoro, perché questa genera insoddisfazione.

23 Giu 2021

Rimedi e consigli su come combattere l’ansia

Rimedi e consigli su come combattere l’ansia

L’ansia è un disturbo in cui le persone ansiose trasformano dei problemi banali in una serie di sintomi psicosomatici. L’ansia può distruggere qualsiasi forma di sicurezza. Si vive nella costante paura dell’ignoto e si finisce per provare tutti i tipi di rimedi per avere sollievo.

Durante un episodio ansiogeno, un individuo sperimenta:

  • Palpitazioni;
  • palmi sudati;
  • tremori;
  • bocca secca;
  • irrigidimento dei muscoli del torace e del collo;
  • difficoltà di respirazione;
  • vertigini;
  • paura di perdere il controllo.

Ciò che viene raramente menzionato sono gli altri sintomi che compaiono a seguito dell’attacco di ansia. Includono:

  • forti mal di testa intrattabili,
  • dolori alla parte superiore del corpo;
  • forti dolori alla parte bassa della schiena;
  • crampi muscolari addominali;
  • sensazione incessante di stanchezza;
  • mancanza di energia anche dopo lunghe ore di sonno.

Ciononostante porti tutti questi sintomi e complicanze, l’ansia si può sconfiggere e addirittura curare con vari metodi.

Uno di essi è la terapia psicologica cognitivo-comportamentale, che è costituita da due componenti: la terapia cognitiva, che riesce a curare l’ansia, e la terapia comportamentale modifica e allevia i comportamenti legati ad ansia e attacchi di panico.

La terapia può anche prevedere trattamenti sulla gestione dell’ansia come, ad esempio, i farmaci ansiolitici e le modifiche allo stile di vita, come iniziare a svolgere esercizi fisici, cambiamenti nella dieta con scelta i cibi anti ansia e riduzione di caffeina e altri alimenti eccitanti.

Comunque, in tutti i casi, il primo passo per gestire e curare l’ansia è quello di identificare le situazioni specifiche che ci rendono stressati o ansiosi e quando abbiamo problemi di coping, magari con un diario dei sintomi, che può anche far trovare il modo per neutralizzare il problema specifico della preoccupazione.

Anche il problem-solving, sempre dopo aver identificato la situazione specifica che causa l’ansia, è una tecnica utile per curare l’ansia e quindi il malessere che ci affligge.

Altre tecniche durante l’episodio ansiogeno possono essere esercizi di respirazione (rallentamento del respiro), tecniche di rilassamento (del corpo), esercizi di consapevolezza e gestione del pensiero (ad esempio la sostituzione del pensiero o le strategie del coping).

L’obiettivo di questo articolo è mostrarti le soluzioni su come curare l’ansia e come imparare a gestirla in ogni momento, una serie di esercizi che ti aiuteranno a scacciare i momenti angoscianti e consigli per arginare anche gli attacchi di panico che spesso causano perdita di controllo eccessiva.

16 Giu 2021

Reazione attacco o fuga e stress

Reazione attacco o fuga e stress

La reazione di attacco o fuga chiamata anche “reazione da stress acuta” o “fight or flight reponse” è stata descritta da Walter Cannon nel 1920. Secondo questa teoria, gli animali compreso l’uomo, reagiscono alle minacce con una scarica generale del sistema nervoso simpatico.

Quando sperimentiamo eccessive sollecitazioni, che siano preoccupazioni interne o circostanze, una reazione esterna del corpo viene attivata, chiamata “reazione attacco o fuga”. Il grande fisiologo Harvard Walter Cannon, capì che la risposta alle minacce è memorizzata profondamente nel nostro cervello e rappresenta una saggezza genetica. E’ qualcosa di “progettato” per proteggerci dai danni fisici.

Quando la nostra reazione di attacco o fuga è attivata, sostanze chimiche come l’adrenalina, la noradrenalina e il cortisolo vengono rilasciati nel flusso sanguigno. Queste cellule nervose attivate e il rilascio di sostanze chimiche causano nel nostro corpo una serie di cambiamenti molto evidenti.

Quando il nostro sistema di attacco o fuga è attivato, tendiamo a percepire tutto l’ambiente come una possibile minaccia per la nostra sopravvivenza. Si tende così a vedere tutto e tutti come un possibile nemico, entrando in una situazione di stress eccessivo. La sopraffazione dallo stress eccessivo, trasforma la nostra vita in una serie di emergenze a breve termine. Perdiamo la capacità di rilassarci e goderci il momento. Passiamo da una crisi all’altra, senza mai staccare la spina.

Questo malessere però non è del tutto negativo. Di solito fornisce la motivazione per cambiare la nostra vita in meglio. Siamo spinti a fare un passo indietro e guardare il quadro generale della nostra vita. Ci costringe a esaminare le nostre convinzioni, i nostri valori e i nostri obiettivi.  La scarica di adrenalina ci infonde l’eroismo e il coraggio nei momenti in cui siamo chiamati a proteggere e difendere la vita e valori in cui crediamo, come nel caso di mamme che salvano i propri figli, o di pompieri al lavoro.

Per difendersi dallo stress eccessivo suscitato da questa reazione, la cosa migliore è imparare a riconoscere i segnali dell’attacco o fuga (ansia, frustrazione, rabbia, difficoltà di concentrazione, …), ma è importante anche sfruttare questi momenti adrenalinici per affrontare al meglio situazioni psicologiche “paurose”, grazie agli effetti benefici quali acutezza mentale, consapevolezza e capacità di tollerare il dolore.

20 Gen 2021

LA CARRIERA LAVORATIVA E IL SUO MUTAMENTO FINO AD OGGI

LA CARRIERA LAVORATIVA E IL SUO MUTAMENTO FINO AD OGGI

Secondo Arthur et al. (1989) il concetto di “carriera” può essere definito come una sequenza di esperienze lavorative che una persona fa nel corso del tempo.

CARRIERA ESTERNA E INTERNA

Quando si parla di carriera, secondo Toderi e Sarchielli (2013), che riprendono Schein (1971), è indispensabile affrontare il tema della dualità tra “carriera esterna”, costituita da una serie di posizioni, responsabilità lavorative e aspettative organizzative, che si susseguono in una o più organizzazioni, e “carriera interna”, ovvero tutti i sentimenti, pensieri e cognizioni relativi al dove andare e al cosa dover fare per raggiungere l’obiettivo sperato e per superare gli ostacoli che si presentano nel cammino. In entrambe le accezioni, la carriera deve essere considerata come un processo lungo carico di atteggiamenti, comportamenti e sentimenti che si susseguono nella relazione tra persona e organizzazione.

LA CARRIERA DI PROPRIETÀ DEI LAVORATORI O DELLE ORGANIZZAZIONI

A questo proposito, la carriera può essere intesa da un lato di proprietà dei lavoratori, a cui spetta il compito di delineare il percorso utile al raggiungimento dei propri obiettivi, ma è anche di proprietà delle organizzazioni, in quanto con le loro pratiche, regole e direttive influenzano le esperienze lavorative e di conseguenza le carriere (Baruch, 2006). Quando si parla di carriera di proprietà delle persone, entra in gioco la contrapposizione tra “carriera soggettiva” e “carriera riuscita” proposta da Super, et al. (1996). La prima corrisponde ai tentativi individuali di esprimere in termini occupazionali cosa una persona vorrebbe essere e di ridefinire il proprio Sé mentre si affronta la realtà esterna, fatta di pressioni, difficoltà e cambiamenti. La carriera riuscita riguarda le percezioni e le emozioni che un lavoratore ha rispetto alla propria carriera, nello specifico rispetto al cammino intrapreso, al raggiungimento degli obiettivi prefissati e alla sua pienezza, oltre che alla somiglianza tra i valori personali e quelli organizzativi.

IL CAMBIAMENTO NELLA CONCEZIONE DELLA CARRIERA LAVORATIVA

La determinazione della carriera personale di un singolo lavoratore è fortemente cambiata negli ultimi anni, perché in passato il rapporto di lavoro prevedeva stabilità e sicurezza nel tempo, quindi le aziende assicuravano, secondo regole e direttive interne, una successione di promozioni basate in genere sull’anzianità di servizio e sull’impegno profuso; inoltre prevedeva maggiore libertà, autonomia e responsabilità per i lavoratori. Questi ultimi a loro volta avevano l’obbligo d’impegnarsi e dimostrarsi leali (Fraccaroli, 2005). Negli ultimi anni invece, si è parlato più frequentemente di precarietà lavorativa, di flessibilità nella carriera, di proattività, di auto-apprendimento e di auto-promozione; tutti questi concetti stanno acquisendo molta importanza per via del mutamento del mercato del lavoro, che non permette più, a differenza di prima, la possibilità di permanere nella stessa azienda per molti anni, ma che predilige rapporti di lavoro a breve termine. Questo è dovuto alla globalizzazione dell’ultimo secolo, con cui sono drasticamente aumentati scambi economici e rapporti internazionali, che vanno ad agire sulla competizione e sulla concorrenza; queste ultime a loro volta non permettono alle singole aziende di poter investire nel capitale umano a lungo termine, dunque per motivi puramente economici, si prediligono contratti brevi, aumentando la possibilità di sopravvivenza in un mercato competitivo e spietato, ove la parola d’ordine è “risparmio”.

BOUNDARYLESS E PROTEAN CAREER

A questo proposito, si possono presentare due nuovi costrutti di carriera: Boundaryless e Protean career (Hall, 2004). Boundaryless career o carriera senza confini è un concetto che si riferisce ai movimenti oggettivi che una persona compie all’interno degli stessi confini organizzativi o tra più posti di lavoro in diverse aziende (Hess, Jepsen & Dries, 2012). Queste transizioni non devono essere intese con un’accezione puramente negativa perché esse possono essere attraenti per tutti quei lavoratori che hanno acquisito, mediante tutte le varie esperienze (temporanee e non), una serie di competenze utili a mantenersi competitivi nel mercato del lavoro. A questo punto, l’idea secondo cui la carriera è delle persone assume sempre più importanza visto che, dal momento in cui essi escono dall’organizzazione, devono affrontare delle transizioni guidati dalle proprie aspettative e dalle proprie rappresentazioni. In secondo luogo, Protean career o carriera mutevole, al contrario del precedente costrutto, si riferisce alla parte soggettiva della carriera (Hall, 2004). Esso si concentra sulla necessità per il lavoratore di: ridefinire il Sé in risposta ai cambiamenti esterni; costruire il proprio capitale di carriera scegliendo le esperienze più significative; essere mutevoli per potersi adattare rapidamente all’uscita da un’azienda e all’ingresso in un’altra e di farsi personalmente carico della propria carriera.

CONCLUSIONE

Le carriere tradizionalmente erano lineari, ma stanno diventando sempre più spezzettate, visto che sono caratterizzate da ricollocamenti, mobilità, instabilità, contratti brevi e cambiamenti di lavoro. D’altro canto, gli stessi datori di lavoro non garantiscono stabilità dell’occupazione e sembrano aspettarsi lavoratori in grado di progettare e gestire autonomamente la propria vita personale e la propria carriera lavorativa; quest’ultima sarebbe caratterizzata dalla successione di contratti brevi e rinegoziabili. In questo contesto l’organizzazione non ha l’obbligo di prendersi cura delle singole carriere lavorative, che sono completamente nelle mani dei singoli lavoratori.

 

BIBLIOGRAFIA

  • Arthur. M. B., Hall. D. T. & Lawrence. B. S. (1989). Generating new directions in career theory: The case for a transdisciplinary approach. Handbook of career theory: 7–25.
  • Baruch. Y. (2006). Career development in organizations and beyond: Balancing traditional and contemporary viewpoints. Human Resource Management Review. 16(2):125-138.
  • Fraccaroli. F. (2005). Progettare la carriera. Milano. Cortina.
  • Hall. D. T. (2004). The protean career: A quarter-century journey. Journal of Vocational Behavior. 65: 1-13.
  • Hess. N., Jepsen. D. M. & Dries. N. (2012). Career and employer change in the age of the “boundaryless” career. Journal of Vocational Behavior. 81: 280-288.
  • Schein. E. H. (1971). The Individual. the Organization. and the Career: A Conceptual Scheme. The Journal of Applied Behavioral Science. 7(4): 401–426.
  • Super. D. E., Savickas. M. L. & Super. C.M. (1996). The Life-span. Life-space Approach to Careers. in D. Brown & L. Brooks (Eds) Career Choice and Development. III ed. San Francisco. CA. Jossey-Bass: 121-178.
  • Toderi. S. & Sarchielli. G. (2013). Sviluppare la carriera lavorativa. Il Mulino. Bologna.

 

 

 

 

13 Gen 2021

L’IMPORTANZA DEGLI OBIETTIVI NEL LAVORO

L’IMPORTANZA DEGLI OBIETTIVI NEL LAVORO

L’obiettivo è un traguardo da voler raggiungere e può anche essere visto come una nuova sfida che entra nella vita della persona, che a sua volta proverà a vincere. Attraverso la giusta formulazione dell’obiettivo si può arrivare a un’importante crescita personale e professionale, inoltre se si riesce a raggiungere il risultato sperato, si sarà inondati da una serie di emozioni e sensazioni positive, come ad esempio: orgoglio, senso di soddisfazione e benessere generale percepito.

LAVORARE PER OBIETTIVI

A proposito di ciò nel biennio 2020/21 si vedono sempre più spesso annunci lavorativi, in cui si richiede una “buona capacità di lavorare per obiettivi”. Quest’ultima è una soft skill (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo), attraverso cui la persona si pone una serie di traguardi da voler raggiungere nel breve e nel lungo periodo. Si è visto che questa competenza è positivamente correlata ad alta produttività del dipendente, che a sua volta permette un incremento del rendimento aziendale.

LE CARATTERISTICHE CHE DOVREBBERO AVERE GLI OBIETTIVI

La formulazione è forse il passaggio fondamentale per aumentare la probabilità di raggiungere quel determinato scopo finale, infatti se ciò che vorremmo raggiungere non ha delle caratteristiche prefissate, sarà difficile trarne uno giovamento.

Ecco quali sono le caratteristiche chiave:

  1. L’obiettivo deve essere SPECIFICO, DEFINITO e MISURABILE: più lo è più sarà raggiungibile. Per adempiere appieno a questo requisito, può essere utile rispondere a cinque domande:
    • Cosa vuoi fare?
    • Come?
    • Quando?
    • Dove?
    • Con chi?
  1. FISSARE UNA SCADENZA: è necessario stabilire un termine entro il quale dover raggiungere l’obiettivo, perché questo ci permetterà di essere più ansiosi e di converso più motivati.
  2. L’OBIETTIVO DEVE ESSERE ESPRESSO IN POSITIVO: perché esprimendolo in negativo, si tenderà a vedere ciò che non si vuole, dunque non bisogna dire ad esempio “Non voglio fare più questo lavoro”, ma bisognerebbe dire “Voglio fare ..”.
  3. FATTIBILE: deve essere raggiungibile, dunque non deve essere un obiettivo troppo ambizioso e quindi irraggiungibile, perché in questo caso si otterrebbe il risultato contrario, ovvero la demotivazione nel vedere il traguardo troppo lontano.
  4. MOTIVANTE: come si è visto prima, l’obiettivo deve essere fattibile, ma non deve essere troppo facile da raggiungere; bisognerebbe trovare il giusto equilibrio, affinché la motivazione nel perseguirlo possa salire.
  5. ESPRESSO IN FORMA SCRITTA: verba volant, scripta manent (lat. “le parole volano, gli scritti rimangono”), perché psicologicamente scrivere qualcosa è un impegno.
  6. NON DEVE ESSERE IN CONTRASTO CON I PROPRI VALORI: in questo caso bisognerebbe fare una lista dei propri valori per cercare, nella formulazione dell’obiettivo, di non andare in contrasto con alcuni di essi. Rispettare questo requisito è importante perché nel caso in cui si riuscisse ad arrivare al traguardo, ma senza rispettare un proprio valore, non si potrebbe godere appieno della felicità e del benessere.
  7. IMMAGINABILE: si dovrebbe riuscire a convertire l’obiettivo in un’immagine e avere quindi la possibilità di vederlo chiudendo gli occhi; si deve poter vedere e raccontare agli altri.
  8. SUDDIVISIBILE IN SOTTOBIETTIVI: è importante programmare vari step e sottobiettivi per arrivare al traguardo finale perché questo permette di stilare un piano d’azione e permette anche di alzare la motivazione progredendo tra i passi.

CONCLUSIONE

In conclusione, la corretta formulazione dell’obiettivo permette di avere maggiore motivazione e impegno nel cercare di raggiungerlo; questo influenza direttamente i risultati, aumentando la probabilità di raggiungerlo. Tutto questo significa, in un contesto lavorativo/aziendale, aumentare la produttività dei lavoratori e dunque aumentare il rendimento aziendale. Quindi, tutte le organizzazioni dovrebbero stilare correttamente obiettivi, per agire sulla propria produttività, che è influenzata da quella dei dipendenti.

16 Dic 2020

SOFT SKILL E HARD SKILL: QUALI SONO PIÙ IMPORTANTI NEL MERCATO DEL LAVORO ODIERNO?

SOFT SKILL E HARD SKILL: QUALI SONO PIÙ IMPORTANTI NEL MERCATO DEL LAVORO ODIERNO?

Questo articolo è importante perché cerca di far luce sul decennale dibattito tra le hard e le soft skill e su chi abbia maggiore influenza su un’ipotetica assunzione.

Distinzione tra soft skill e hard skill

Le hard skill sono delle competenze tecniche quantificabili e facilmente dimostrabili, che possono essere acquisite ad esempio a scuola, o durante i vari corsi di formazione o durante le varie esperienze lavorative. Esse sono il nostro bigliettino da visita, perché presenti nel curriculum che legge il selezionatore, il quale dovrà, attraverso una serie di screening curriculari, decidere chi chiamare per un colloquio di approfondimento.

Le soft skill sono delle competenze trasversali perché attraversano tutti gli ambiti lavorativi, dunque non sono competenze specifiche legate a un singolo compito o a una singola mansione (hard skill). Esse possono essere considerate delle caratteristiche personali che influenzano il modo in cui si affrontano le richieste dell’ambiente esterno (in questo specifico articolo ci si riferirà soprattutto all’ambito lavorativo, ma il discorso è facilmente espandibile a tutti i contesti della vita). Le principali soft skill, secondo il sito di AlmaLaurea sono: autonomia; fiducia in sé stessi; flessibilità/adattabilità; resistenza allo stress; capacità di pianificare e organizzare; precisione/attenzione ai dettagli; apprendere in maniera continuativa; conseguire obiettivi; gestire le informazioni; essere intraprendente/spirito d’iniziativa; capacità comunicativa; problem solving; team work e leadership.

Quando fare affidamento su di loro?

Come accennato in precedenza, le hard skill sono molto importanti soprattutto nella fase iniziale dell’iter di selezione, ovvero quando il selezionatore deve decidere chi è idoneo a ricoprire la posizione vacante all’interno dell’azienda; infatti, esse rappresentano i requisiti minimi che una persona deve avere per potersi candidare per l’offerta lavorativa. Le soft skill sono importanti nella fase centrale (presente soprattutto nelle grandi selezioni) e nella fase finale dell’iter di selezione, quando ad esempio si è convocati per un colloquio o per dei test. In questi ultimi due momenti si presuppone che tutti i candidati presenti abbiano i requisiti specifici (hard skill) per ricoprire al meglio la posizione, dunque si vuole verificare quali tra questi possiede competenze non strettamente legate al compito, ma che potrebbero portare a migliori performance.

Facciamo un esempio per capire meglio. Un’azienda cerca un nuovo collaboratore a cui affidare completamente sia la gestione di un punto vendita che la presentazione di nuovi prodotti in pubblico. Tra le hard skill troveremo ad esempio: capacità di gestire un punto vendita, con esperienza pregressa dimostrabile; conoscenza dei prodotti in vendita; padronanza dei principali sistemi informatici; etc. Mentre le soft skill potrebbero essere: autonomia (svolgere i compiti assegnati facendo affidamento solo alle proprie risorse, senza la necessità di essere affiancati da un supervisore); flessibilità/adattabilità (sapersi adattare facilmente a vari contesti e a differenti ambiti lavorativi); precisione (essere accurati e attenti a tutto ciò che si fa, curandone i dettagli); conseguire obiettivi (riuscire a raggiungere o a superare gli obiettivi prefissati); capacità comunicativa (trasmettere e condividere le informazioni con il proprio interlocutore in modo chiaro e sintetico, ma anche ascoltarli e confrontarsi con loro). Quindi, le prime hard skill saranno utili al selezionatore per scartare i candidati non idonei che non possono ricoprire la posizione lavorativa, mentre le soft skill sono importanti nel momento in cui si supera il primo step di selezione e si arriva a un colloquio o a un eventuale test. Dunque, entrambe sono molto importanti, ma in momenti differenti dell’iter selettivo.

Concezione passata delle competenze

Non sempre però la concezione di queste due macro-aree di competenze è stata la stessa, perché fino a qualche decennio fa, quando c’erano molte più possibilità lavorative rispetto ad adesso, si valutavano solo ed esclusivamente le cosiddette hard skill, dunque ai fini dell’assunzione si dava importanza alle competenze attinenti al lavoro che si sarebbe dovuto andare a svolgere. Con il passare del tempo, però, le soft skill sono divenute sempre più importanti, fino a ottenere una valenza di primissima fascia. Infatti, chi padroneggia queste ultime dispone di uno strumento utile a valorizzare le proprie competenze tecniche.

Conclusione

Non è possibile risolvere la diatriba tra coloro che sostengono le hard skill e coloro che sostengono le soft skill, perché sono entrambe molto importanti a seconda del momento di selezione in cui ci si trova.

Piccolo appunto però va fatto per i neolaureati, perché loro non hanno tante esperienze lavorative, dunque non potranno vantare, nel momento in cui mandano varie candidature per posizioni lavorative, un curriculum ricco di competenze tecniche. A questo proposito, per loro riveste particolare importanza riuscire, attraverso il proprio curriculum o il colloquio conoscitivo, a far emergere le competenze trasversali possedute.

02 Set 2020

Consigli per un metodo materno Montessoriano

Consigli per un metodo materno Montessoriano

Maria Montessori credeva nel valore e nelle capacità di ogni singolo bambino. Il metodo Montessori, infatti, riesce a rispettare l’individualità di ogni bambino e non è paragonabile a nessuna tecnica d’insegnamento standard.

Il metodo Montessori trascende dai sistemi educativi tradizionali e si fonda sulla convinzione che i bambino dovrebbero essere liberi di imparare senza restrizioni o critiche.

Questo approccio “alla formazione” prende a cuore le necessità, i talenti, i doni, le capacità individuali di ogni bambino. Un processo che aiuta i bambini a imparare con tutto l’entusiasmo di cui sono capaci. Al contrario, i bambini ai quali viene imposto un programma di apprendimento con traguardi da raggiungere, possono essere messi sotto pressione, senza la possibilità di accedere a pieno alle proprie reali capacità. Non solo a scuola, il metodo Montessori può essere applicato anche tra le mura domestiche così da promuovere la gioia di imparare sempre: in termini di educazione domestica, in termini di rapporti in famiglia e nello spazio dei compiti a casa.

  1. Gli spazi del bambino e la casa

La cameretta del tuo bambino deve rappresentare uno spazio sicuro dove tuo figlio può muoversi ed esplorare in libertà. Crea uno spazio a misura di bambino. Ecco come puoi fare:

  • Scegli un letto basso, più vivibile per un bambino.
  • Fissa uno specchio alla parete accanto al letto.
  • Metti scaffali bassi, appendi foto al muro all’altezza del bambino.
  • Inserisci mobili di facile accesso, altezza bambino.
  • Se la cameretta è piccola, meglio se dotata di porta scorrevole così potrà essere aperta senza creare ingombri o fastidi nelle fasi di gioco.

Nel soggiorno o in veranda non dovrà mancare uno spazio dedicato alle attività manuali del bambino. Poggia un tappeto molto morbido sul pavimento, un materassino da campeggio o di spugna. Il bambino dovrà essere comodo. Non lesinare sulle dimensioni, i bambini hanno bisogno di spazio. Su questo tappeto il bambino sarà libero di riversare tutti i suoi giochi. In questa zona potete disporre un tavolo da lavoro per fare lavoretti fai da te o giochi di apprendimento.

L’intera casa non deve essere un percorso a ostacoli. L’organizzazione intelligente degli spazi sarà la migliore alleata e consentirà a te e al tuo bambino di vivere al meglio qualsiasi attività.

  1. Organizzazione e ordine

Insegna a tuo figlio che può passare da un’attività all’altra solo quando avrà messo a posto i pezzi dell’attività precedente. Insegna a tuo figlio di rispettare gli spazi del gioco, senza sconfinare.

E’ vero che la casa deve essere a prova di bambino ma è anche vero che il bambino dovrà rispettare gli spazi di gioco senza sparpagliare le sue cose nel resto della casa.

Per invogliare il bambino all’ordine, le prime volte posate i giochi insieme. Nel caso del tappeto, al fine dei giochi, il bambino potrà arrotolarlo autonomamente.

  1. Aiuti in casa

Dalle faccende domestiche alla preparazione del pranzo. Rendi partecipe il bambino che potrà aiutarti a pulire (a suo modo! Non aspettarti superfici brillanti!). Magari prendi una piccola scopa con la quale ti aiuterà a pulire i pavimenti o uno straccio con il quale potrà spolverare le superfici dei mobili bassi e altri scaffali a misura di bimbo.

  1. Ricordalo, non sei un maggiordomo

Non ci sono campanelli da suonare o comandi da urlare. Quando un bambino vuole qualcosa bisognerà insegnargli l’autonomia. Se il bambino ha sete, può versarsi dell’acqua e poi mettere il bicchiere nella lavastoviglie. Ovviamente solo se ha l’età per farlo, anche in questo caso è sempre bene svolgere le mansioni insieme alla mamma per le prime volte.

  1. Nessuno urla al mattino

Alcuni bambini, appena svegli, hanno l’abitudine di urlare o piangere per richiamare l’attenzione della mamma. Se i bambini Montessori dormono su letti bassi, possono benissimo scendere dal letto in autonomia senza dover urlare… Se la casa è stata realizzata a misura di bambino, tale norma vale anche quando il bimbo è molto piccolo, gli basterà avere l’età per camminare.

  1. La pulizia dei giocattoli

Da quanto tempo non lavi i giocattoli del tuo bambino? Moltissimo vero? La pulizia è una cosa importante e per un bambino sarà spassoso e divertente apprenderlo lavando i suoi giocattoli preferiti. Il bambino apprenderà i principi di una sana igiene senza neanche accorgersene.

Fornisci al bambino una piccola bacinella con dell’acqua, qualche goccia di sapone di Marsiglia e una spazzola. I bambini adorano lavare i giocattoli!

  1. Obiettivi e ricompense, zero punizioni

Impartire la disciplina è giusto ma non quando questa prevede un metodo basato sulle punizioni. Anche se la Montessori assimilava i premi proprio alle punizioni (nel suo metodo, premi e punizioni vanno messi al bando e sono posti allo stesso livello), la moderna pedagogia ha dimostrato che un premio può essere molto più costruttivo di qualsiasi punizione: insegna ai bambini che con l’impegno e la costanza, i risultati arrivano davvero.

I metodi educativi basati sui premi e incentivi, sono più costruttivi e riescono a motivare i bambini, un imprinting che i bambini porteranno anche nella vita da adulti.

Obiettivi con ricompense: utilizza un elenco degli obiettivi e osserva i comportamenti positivi, per poi premiare il bambino per i suoi sforzi. Assicurati che gli obiettivi siano realistici (si pensi a poco a poco, piuttosto che un immediato successo).

Il bambino deve sapere se sta progredendo bene, quindi potrebbe essere utile realizzare una tabella da esporre in casa, magari attaccata al frigorifero così per ogni buona condotta potrà essere segnato un “smile”, al raggiungimento di un certo numero di “smile“, il bambino potrà ottenere la sua gratificazione, il suo premio.

  1. Non dire bugie al bambino

Qualche volta una bugia a fin di bene con un bambino può essere opportuna. Per esempio, elogiare quello scarabocchio fatto da nostro figlio è un modo di incoraggiare il piccolo a disegnare. Parliamo di bugia pedagogica, quella da raccontare ai bambini per gratificarli: “Mamma, ti piace il mio disegno?”, “Certo, è meraviglioso”.

Tuttavia ci sono bugie molto dannose che minano lo sviluppo ottimale delle capacità cognitive del bambino. Si tratta di un tema molto complesso che vi invito ad approfondire con l’articolo Ogni bugia che dici a tuo figlio lo condanni all’insicurezza

Il metodo Montessori mira a crescere figli sicuri e in grado di esplorare il mondo con un bagaglio di potenzialità personali. Le bugie, anche se in apparenza innocue (“sì, lo facciamo domani a mamma…” oppure “non lo posso comprare perché ho dimenticato il portafogli a casa”) possono minare fortemente la sicurezza del nostro bambino. E’ inutile educare un bambino con il metodo Montessori se poi per praticità gli mentiamo minando il suo intero mondo.

  1. Attenzioni alle lodi

Chi segue i principi di Maria Montessori, in buona fede e al fine di valorizzare le propensioni naturali del bambino, può finire per fare dei complimenti di troppo.

Le lodi inappropriate, proprio come le bugie dette con leggerezza, finiscono per creare dei bambini eccessivamente insicuri, piuttosto che sviluppare dei bambini capaci, sicuri ed empatici.

Il metodo Montessori tende a valorizzare le capacità e propensioni naturali del bambino ma ciò non significa dover osannare ogni respiro del bimbo. Si tratta di un discorso molto complesso che potete approfondire con la lettura della pagina: le lodi che rovinano completamente l’autostima dei bambini.

  1. Tieni a freno la lingua

Se un eccesso di lodi può rovinare la capacità che ha il bambino di esplorare l’ambiente esterno con sicurezza, anche le critiche non sono d’aiuto.

Non criticate il bambino in modo gratuito. Se sbaglia qualche inerzia, non partite con il classico “ma sei scemo?!”, il bambino che sbaglia non si rende neanche conto di ciò che sta facendo!

Se sei la prima a giudicare tuo figlio, lui, crescendo, imparerà a fare lo stesso con sé stesso diventando un giudice ancora più severo. Sostituisci frasi come “guarda che hai combinato!” contestualizzando il problema e coinvolgendo il bambino a porre rimedio.

Il bambino imparerà a credere nelle sue risorse e saprà che potrà contare sulla mamma in caso di problemi futuri.

Il bambino tende a vivere le tue opinioni in modo assolutistico. Se tu condanni un suo atteggiamento, lui crederà che stai condannando l’intera persona: attenta alle tue reazioni e attenta a come ti esprimi.

22 Lug 2020

Saper ascoltare. Tutti ora vogliono solo parlare.

Saper ascoltare. Tutti ora vogliono solo parlare.

Viviamo nell’era della comunicazione veloce, trasversale, ma una breve osservazione ci basta a capire che la velocità non è sinonimo di genuinità. A volte la colpa di una cattiva comunicazione è da imputare ad un messaggio formulato male, carico di emozioni approssimative, di idee confuse o di pensieri indefiniti, altre volte siamo noi a peccare di superficialità sia nel parlare che nell’ascoltare. Perché anche l’ascolto è parte integrante del processo comunicativo. Senza l’ascolto, il dialogo diventa monologo. E se in questi tempi possiamo parlare di tutto con tutti, sono pochi quelli che sono ancora in grado di ascoltare veramente. L’ascolto autentico non è un processo passivo, è attivamente ricettivo: accogliamo e processiamo le informazioni ricevute dal nostro interlocutore (e non quelle prodotte dal nostro chiacchiericcio mentale), poniamo attenzione alle parole e ai silenzi, a ciò che viene detto e non detto e come queste cose non dette vengono espresse attraverso la posizione del corpo, le mimiche facciali, i sospiri.

L’ascolto è una parte importante dell’interazione tra due persone. Se nessuno ascolta, la parola non ha nessuna utilità. Se nessuno accoglie l’informazione, quest’ultima perde di valore, di significato, perché ha senso solo se il messaggio crea un ponte tra le persone, un ponte tra me e l’altro. Se manca questo ponte, o se una “riva” viene a mancare, non c’è comunicazione, ecco perché saper ascoltare è importante tanto quanto sapersi esprimere.

L’ascolto può essere passivo, come quando ci limitiamo a sentire la voce dell’altro senza prestargli una reale attenzione, oppure può essere attivo, come quando accogliamo le informazioni ricevute dall’altro nella loro complessità, facendo attenzione all’intero spettro comunicativo del messaggio che ci viene dato: ascoltiamo la voce e le sue intonazioni, ascoltiamo le parole e anche le pause, i silenzi, ascoltiamo il corpo con i suoi gesti, le sue posizioni.

Ascoltare è un’arte che s’impara col tempo, che si perfeziona grazie all’esperienza. Ci permette non solo di diventare dei buoni ascoltatori ma dei migliori comunicatori. Ogni volta che prestiamo davvero attenzione all’altro e ci permettiamo di accogliere dentro di noi le informazioni che ci manda, il nostro mondo si arricchisce. Essere in posizione di ascolto rappresenta una grande opportunità di crescita: l’attenzione volta al nostro interlocutore ci permette di cogliere le sfumature che un ascoltatore superficiale avrebbe bellamente ignorato cogliendo un messaggio parziale, approssimativo e forse falsato del tutto. Ascoltando con attenzione l’altro si colgono con più facilità le diverse gradazioni emotive che si manifestano nell’esperienza della vita umana, si scopre l’altro facendo la differenza tra la persona reale che si esprime a noi e l’immagine mentale, statica, che abbiamo di lei. Ascoltare ci permette di rompere l’immagine e cogliere il costante cambiamento della persona che abbiamo di fronte a noi. l primo passo da compiere per mettersi in ascolto dell’altro è essere presente, con consapevolezza. Questo tipo di presenza richiede di calarsi nel momento, di scendere dalla mente al corpo, di attivare i propri sensi in quanto la comunicazione non si basa esclusivamente sulla parola detta, ma anche sul linguaggio del corpo e sul come si esprime questo messaggio, perciò non basterà aprire le orecchie e “stare a sentire” (basterebbe semmai ad un ascolto superficiale e passivo), bisognerà aprire anche gli occhi e il proprio essere all’altro, esserci; a volte, occorrerà anche aprire le proprie braccia per permettere all’altro di schiudersi, senza la paura di essere giudicato, o ferito.

È vero, può sembrare difficile mettersi in ascolto, e lo è ancora di più se non ci siamo mai messi in ascolto di noi stessi, se non ci siamo mai fermati a fare chiarezza sulle nostre emozioni, se non siamo mai riusciti a cogliere le sfumature tra le sensazioni, le emozioni, i sentimenti. Saper ascoltare è un’arte che si affina col tempo perché più siamo in grado di ascoltarsi e più riusciamo ad ascoltarci.

Più siamo in grado di creare spazio dentro di noi, per noi stessi e più saremo in grado di farlo anche per gli altri, perché non avremo la necessità di occupare spazio in continuazione come se non ci sentissimo ascoltati, accolti da nessuno (nemmeno da noi). Se sappiamo che ogni volta che ne abbiamo bisogno, siamo in grado di crearci una stanza interiore dove poter esprimerci senza la paura di sentirsi giudicati, o feriti , allora saremo in grado di non occupare con avidità lo spazio tra noi e l’altro con le nostre parole, di non riversarci in disordine tutti i nostri pensieri repressi come se fossero un fiume in piena: dopo esserci messi in ascolto di noi stessi, saremo in grado di accogliere il nostro silenzio per fare posto all’altro. Ed è in questo spazio che nasce il dialogo.

15 Lug 2020

L’autostima: un nutrimento fondamentale per la nostra psiche

L’autostima: un nutrimento fondamentale per la nostra psiche

Il benessere psicologico trova, un fondamentale nutrimento, nell’autostima, profonda e potente necessità umana che salvaguarda la salute e la funzionalità della mente in quanto genera la musica di sottofondo che va ad influenzare ogni nostra emozione, pensiero, scelta e comportamento e così la nostra vita e la possibilità di goderne.

L’autostima risiede nell’intimo del nostro essere, rappresenta molto di più del senso innato del valore di sé, è sentirsi adeguati alla vita a e alle sue richieste e si regge su due pilastri: il senso di efficacia, un senso basilare di fiducia nelle nostre capacità di pensare, capire, scegliere, imparare, prendere decisioni e di superare le sfide fondamentali della vita, e il rispetto di sé, la convinzione di avere il diritto di affermare le nostre opinioni, bisogni e desideri, di meritare la felicità, l’amore e di sentirci giusti come persone al di là dei nostri successi.

Essa diventa il nostro sistema guida, un nucleo che si annida nella nostra mente, con cui filtriamo, leggiamo quello che ci succede o che programmiamo di fare, che può esserci amico o nemico.

Ecco che una bassa autostima non solo inibisce il pensiero ma tende a distorcerlo così che utilizzeremo le nostre energie per criticarci, giudicarci, limitarci e saremo condizionati dalla paura in tutto quello che facciamo, vivremo per evitare il dolore più che per sperimentare la gioia e agiremo per dimostrare di essere “abbastanza”, per ricevere approvazioni e non per vivere le nostre possibilità, minando la possibilità di provare soddisfazioni, piacere e felicità.

Affrontare la vita con bassa autostima significa trovarsi in grave svantaggio e possederla nel tempo non è un dono ma una conquista. Nella vita nessuno ci fa più male di quanto ce ne facciamo da soli, sviluppare un buon sistema di sostegno interno, accettare le proprie debolezze, coccolarsi e perdonarsi, è essenziale per la maturità umana e il benessere fisico e psichico. Perché il dolore non può essere evitato ma la sofferenza inutile sì.