25 Set 2018

Il benessere psicologico in ambito lavorativo

Il benessere psicologico in ambito lavorativo

L’interesse del concetto di benessere, inteso come “funzionamento psicologico positivo” o “salute mentale positiva”, è sempre più crescente, soprattutto per il suo contributo a tutti gli aspetti della vita umana. Più comunemente, tra le persone, questi termini sono meglio conosciuti con il concetto di “felicità”.

Secondo Argyle (1987), la felicità è rappresentata da un senso generale di benessere complessivo che può essere scomposto in termini di appagamento in aree specifiche quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l’autorealizzazione e la salute. La felicità è anche legata al numero e all’intensità delle emozioni positive che la persona sperimenta. In questo caso è definibile come l’emozione che segue il soddisfacimento di un bisogno o la realizzazione di un desiderio e in essa, accanto all’esperienza del piacere, compaiono una certa dose di sorpresa e di attivazione (D’Urso & Trentin, 1992).

Waterman (1993) ha identificato due concezioni teoriche distinte: l’eudaimonia, che corrisponde ai sentimenti di espressività personale, alle funzioni psicologiche e alla realizzazione personale, e l’edonismo che si focalizza sull’esperienze soggettive di felicità e soddisfazione di vita.

Secondo l’autore queste componenti sono associate ad attività distinte e hanno coinvolgimenti diversi per i sentimenti di autorealizzazione. Le attività che fanno sorgere sentimenti di espressività personale sono quelle in cui il soggetto sperimenta stati di autorealizzazione grazie alla possibilità di poter esprimere e mostrare le proprie potenzialità e capacità, attraverso lo sviluppo delle abilità e dei talenti personali e il raggiungimento degli scopi.

L’edonismo si origina da una gamma di attività molto ampia; esso viene sperimentato ogni volta che si avvertono emozioni piacevoli come conseguenza del soddisfacimento di bisogni fisici, intellettuali e sociali.

L’autore ha trovato che questi due aspetti del benessere sono associati ad attività differenti; l’edonismo può originarsi da una varietà di fattori, i sentimenti di espressività personale sono invece collegati a un numero ridotto e specifico di azioni.

Vari studiosi hanno cercato di capire su quali elementi le persone si basano nel giudicare positivamente la propria vita; il benessere in questo senso è valutato secondo gli standard delle persone nel determinare ciò che è positivo nella vita, secondo quindi i propri criteri personali. Sono stati di conseguenza costruiti strumenti in grado di misurare il benessere nella sua componente cognitiva (ad esempio il Life Satisfaction Index di Neugarten, 1961; la Satisfaction With Life Scale di Diener et al., 1985; il singolo indice di felicità di Andrews, 1976).

Un’altra categoria di definizioni che si riferisce al concetto di benessere denota una prevalenza di affetti positivi su affetti negativi, enfatizzando la presenza di esperienze emotive piacevoli. Secondo Bradburn (1969), la felicità è un giudizio globale che le persone formulano comparando i loro affetti negativi con quelli positivi. Bradburn ha costruito uno strumento auto-valutativo, l’Affect Balance Scale (1969), che più tardi è stato ripreso da Watson creando le Positive and Negative Affect Scales con cui si possono quantificare gli stati emotivi sia positivi che negativi in un arco di tempo precisato. Altri studiosi hanno fatto corrispondere il concetto di benessere psicologico con quello di varie componenti: ad esempio l’autostima (Rosemberg, 1965), l’ottimismo (Scheier & Carver, 1993), gli stati d’umore positivi (Lawton, 1975), il locus di controllo (Levenson, 1974) e il senso di coerenza (Antonovsky, 1993).

In campo clinico il benessere è stato interpretato come assenza di sintomatologia legata a depressione, ansia ecc. Spesso si utilizza, per tale costrutto, il Sympton Questionnaire di Kellner (1978) che associa quattro scale sintomatologiche (ansia, depressione, somatizzazione ed ostilità) alle corrispondenti scale di benessere (rilassamento, contentezza, benessere fisico e buona disposizione). Nell’ambito della psicopatologia, appare fondamentale la valutazione della remissione e della guarigione da un disturbo affettivo (Ruini, Ottolini, Raffanelli, Conti & Fava, 2000).

Un’ampia letteratura mostra la presenza di sintomi residui in pazienti con disturbi ansiosi e depressivi al termine del trattamento farmacologico e/o psicoterapico (Fava, 1996). Questi sintomi implicano un esito prognostico negativo a lungo termine; nella valutazione della guarigione da un disturbo affettivo diventa essenziale non solo la completa remissione dei sintomi, ma anche il ripristino del benessere psicologico e del funzionamento ottimale dell’individuo.

18 Set 2018

Risorse umane e produttività

Risorse umane e produttività

Introdurre strumenti e tecniche per gestire il personale è diventata una necessità per molte aziende, affinchè sia garantita la propria competitività.

Tra gli obiettivi principali della “gestione del personale” molte aziende indicano:
• il controllo del costo del lavoro;
• un miglior processo decisionale grazie al supporto di dati sul personale;
• il rispetto delle normative, in particolare sugli orari e sulle pause di lavoro;
• una maggior flessibilità individuale.

È importante sottolineare che la tendenza di molte PMI di avvalersi di risorse esterne per l’elaborazione delle paghe e per la gestione degli aspetti specie contrattuali con i lavoratori, si conferma una scelta economicamente efficace e non impedisce assolutamente lo sviluppo di sistemi di gestione delle risorse umane interni all’azienda, volti ad un aumento di produttività e ad una gestione strategica delle competenze.

Utilizzare un sistema completo (software e hardware) per automatizzare i processi di rilevazione, controllo e gestione dei dati relativi alla presenze e assenze del personale, diventa il primo step per implementare una produttiva gestione del personale.

Queste informazioni devono essere completate con quelle fornite da chi elabora le paghe per arrivare a una gestione amministrativa del personale che comprenda la gestione dei dati anagrafici di dipendenti e collaboratori, della documentazione del personale, di ferie e permessi, dei turni lavorativi, delle informazioni contrattuali e materiali / benefit concessi con relative scadenze, delle note spese, dei provvedimenti disciplinari, della selezione personale e CV, ecc.

E’ dunque necessario valorizzare il capitale umano per promuovere la crescita dell’impresa ovvero impegnarsi quotidianamente per far convergere lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi aziendali.

Risulta così indispensabile l’introduzione di strumenti di gestione organizzativa e valorizzazione del personale: dalla definizione dell’organigramma alle politiche retributive, dall’analisi delle competenze alla corretta attribuzione e integrazione dei ruoli assegnati, dall’analisi dei bisogni formativi alla gestione della formazione, dalla simulazione di scenari organizzativi futuri alla valorizzazione delle persone.

11 Set 2018

Perchè è importante la formazione professionale

Perchè è importante la formazione professionale

La formazione professionale in Italia viene affidata alle regioni e agli enti privati. Le regioni organizzano corsi riconosciuti che consentono di ottenere punteggio ed esperienza per acquisire conoscenze professionali.

Le esigenze a cui risponde la formazione professionale sono di due tipi:

  • attraverso la formazione professionale si ottengono delle competenze che consentono di svolgere un lavoro. Ad esempio, quando la regione nota che in un dato settore mancano competenze e professionalità può indire dei corsi di formazione. Quindi la formazione professionale oltre a far acquisire competenze e immettere nel mercato del lavoro nuove professioni, occupa anche un ruolo strategico all’interno delle dinamiche del mercato del lavoro.
  • la formazione professionale, armonizzandosi alle richieste della domanda di lavoro, corregge l’offerta allineando le competenze richieste con quelle offerte. Questo fattore è decisivo sia nel caso si parli di conversione delle competenze di lavoratori precedentemente occupati, sia in risposta all’adeguamento professionale reso necessario dall’avanzamento tecnologico. Oggi molte professioni sono state travolte dalla rivoluzione informatica e digitale. I lavoratori di queste attività in crisi hanno poche alternative: la formazione professionale è la risposta migliore. Non è un caso che anche in casi in cui l’azienda non entri in crisi, essa organizzi dei corsi di formazione per mantenere intatta la sua presenza nel mercato.

Un aspetto sottovalutato riguarda la formazione dei professionisti. Questi devono agire secondo il proprio impulso: aggiornarsi o rimanere indietro fidandosi del proprio sapere? In realtà la formazione professionale per questa tipologia di lavoratori potrebbe essere una svolta decisiva.

professionisti naturalmente possono affinare le loro competenze acquisendo le abilità richieste per stare sul mercato.

Inoltre, i corsi di formazione, tanto in azienda, quanto nella logica della professione, sono importanti perché rappresentano un momento di pausa con il quale si stacca dalla routine giornaliera. Si conoscono nuove persone, si capisce come funziona il mercato, si frequenta un ambiente stimolante, che aiuta a crescere e quindi in definitiva ad avanzare nella propria professione.

04 Set 2018

Comunicazione empatica a lavoro

Comunicazione empatica a lavoro

La comunicazione empatica

La comunicazione empatica è uno strumento prezioso in ogni ambito della nostra vita, dall’ambiente di lavoro alla sfera sociale. Il termine empatia deriva dal greco en-pathos “sentire dentro” e fa riferimento alla capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona senza ricorrere alla comunicazione verbale, cercando di comprenderne affetti, pensieri ed emozioni.

Se non si possiede già, l’empatia si può acquisire adottando alcuni accorgimenti, cercando di evitare tutti quei possibili errori che potrebbero interrompere la comunicazione.

GLI OSTACOLI ALL’EMPATIA

  • Avere un atteggiamento indagatore concentrato più sui particolari che su ciò che sta vivendo l’altro;
  • La tendenza ad offrire soluzioni ai problemi altrui basandosi sulla propria esperienza;
  • Utilizzare frasi consolatorie generaliste che non considerano la specificità della situazione;
  • Esprimere giudizi personali su cosa sia accaduto;
  • Impostare il discorso su di sé, riportando le proprie esperienze;
  • Trarre conclusioni affrettate.

ATTIVARE UNA RELAZIONE EMPATICA: COMPRENSIONE E ASCOLTO ATTIVO

Attraverso lo sviluppo dell’empatia possiamo accrescere la nostra consapevolezza e individuare strategie comportamentali nuove e maggiormente efficaci. Per fare ciò è necessario sviluppare le competenze emotive, gestire positivamente le emozioni, tanto interiormente, quanto nelle nostre relazioni.

I veri elementi chiave per una comunicazione empatica sono la comprensione e l’ascolto attivo.

Per comprendere davvero l’altro, non dobbiamo puntare la nostra attenzione semplicemente sul racconto del nostro interlocutore, ma dobbiamo spostare il focus sul come questi sta raccontando, sulle sfumature emotive della narrazione. È proprio attraverso tali sfumature che riusciamo a cogliere le informazioni sullo stato d’animo del narratore. Tuttavia, affinché l’altro si apra e ci dia l’opportunità di comprenderlo è necessario dare dimostrazione di saper ascoltare.

L’ascolto, infatti, rappresenta una componente fondamentale della comunicazione verbale. Saper ascoltare significa essere aperti allo scambio, all’interazione e alla crescita personale, ma ciò richiede la messa in campo di tutta l’attenzione, la sensibilità, la comprensione, l’intelligenza, l’empatia di cui siamo capaci. Quando ci relazioniamo con gli altri, infatti, il più delle volte ci limitiamo a “sentire” i loro discorsi ma in realtà non stiamo ascoltando attivamente. Chi ascolta attivamente non è più un ricevente passivo ma qualcuno che agisce per facilitare la comunicazione e che invia continuamente feedback. L’ascolto attivo può rivelarsi un vero alleato anche nelle relazioni quotidiane di ognuno di noi, in quanto permette di instaurare un contatto autentico con l’altro e quindi di avviare un tipo di comunicazione più efficace e proficua.

COME AVERE UN ASCOLTO ATTIVO

Quando ascoltiamo attivamente è fondamentale essere in grado di leggere i segnali inviati dall’interlocutore e controllare quelli da noi emessi. Per questo motivo bisogna sempre tener a mente che non si ascoltano solo i contenuti espressi attraverso le parole, ma si può “ascoltare” anche attraverso la comunicazione non verbale e l’osservazione di come questi contenuti sono trasmessi.

Ma un ascolto attivo, per essere veramente efficace deve essere empatico; la tecnica del rispecchiamento empatico ci consente di comunicare all’altro la nostra presenza nella relazione dandogli la sensazione di essere ascoltato e compreso, in modo che si instauri un clima di fiducia. Ciò può avvenire solo attraverso l’attenzione ai contenuti e la comprensione degli stati d’animo, evitando di ricorrere a interpretazioni. L’utilizzo di segnali di contatto è un’altra tecnica per promuovere un ascolto di tipo attivo: sguardi benevoli, sorrisi, cenni di assenso con il capo o con il viso.

31 Lug 2018

La leadership nelle organizzazioni

La leadership nelle organizzazioni
Tutte le ricerche portate avanti negli anni indicano che nella leadership sono essenziali competenze personali unite a competenze ambientali. 
Le principali caratteristiche personali per la leadership sono:

  • Tolleranza allo stress;
  • Maturità emozionale (atteggiamento non difensivo, stabilità emotiva, autocontrollo, empatia, persuasione);
  • Integrità dei comportamenti rispetto ai valori proclamati;
  • Fiducia in se stessi;
  • Competenze tecniche sul lavoro;
  • Abilità concettuali (capacità di analizzare e identificare soluzioni a problemi complessi tramite l’utilizzo di modelli astratti);
  • Abilità gestionali (pianificare, delegare, supervisionare).

Le principali caratteristiche ambientali sono:

  • Tipologia del compito da svolgere (nuovo / sconosciuto, sequenziale / parallelo, prevedibile / imprevedibile, ecc.);
  • Caratteristiche del gruppo di lavoro (esperto / inesperto, conflittuale / cooperativo, strutturato / informale);
  • Ambiente organizzativo (prevedibile / imprevedibile, complesso / semplice, esigente / indifferente, ecc.).

Stili di Leadership

  • Autoritario: esercita il potere in modo dispotico. Non fornisce spiegazioni e la rete di comunicazione è centralizzata. Le decisioni sono prese senza alcuna consultazione del gruppo di lavoro. Può funzionare in situazioni di emergenza. Non funziona in presenza di persone competenti ed esperte;
  • Democratico: si caratterizza per la struttura comunicativa aperta che favorisce la partecipazione e il confronto. Sono accettate le critiche e viene utilizzato un sistema di deleghe e di condivisione delle responsabilità. Può funzionare in situazioni non emergenziali e dove viene data priorità al clima aziendale piuttosto che alla produttività;
  • Lassista: la presenza o assenza del leader non comportano differenze significative nell’organizzazione. Non fornisce regole e non effettua la supervisione dei lavori. Può funzionare in situazioni stabili in un gruppo di lavoro formato da persone competenti ed esperte;
  • Transazionale: il leader e i follower sono agenti di negoziazione che trattano per massimizzare la propria posizione relativa. La motivazione del collaboratore è dovuta alla possibilità del leader di erogare forme di ricompensa, sia di tipo economico sia psicologico. Il leader agisce anticipando le deviazioni della performance dallo standard e adotta lo stile laissez-faire, evitando di assumersi responsabilità. Può funzionare quando il leader non deve collaborare a lungo con i followers e in contesti nei quali si lavora su standard e obiettivi precisi;
  • Trasformazionale: il leader ottiene la collaborazione ponendosi come esempio per i collaboratori. il rapporto che si instaura si basa sulla condivisione dei valori organizzativi con lo scopo di spingere i collaboratori ad andare oltre i propri interessi individuali e a privilegiare il team. Può funzionare in presenza di obiettivi da raggiungere sul lungo termine e con collaboratori pronti a sposare una causa.
24 Lug 2018

Tecniche e strumenti di selezione del personale

Tecniche e strumenti di selezione del personale

La selezione del personale è un processo che ha come obiettivo la ricerca della persona che abbia le caratteristiche corrispondenti alla posizione disponibile. Non consiste nel semplice “avere fiuto”, ma richiede che siano seguite diverse fasi.

Il primo passo è la job analysis, costituita da due aspetti fondamentali:

job description: una descrizione dettagliata delle attività relative alla mansione;

job specification: la descrizione dei requisiti delle persone, che comprende le conoscenze, le abilità e le competenze ritenute necessarie per eseguire una certa professione.

La job analysis può essere effettuata attraverso quattro tecniche:

1. l’osservazione diretta: osservare la persona nel ruolo che andrebbe a ricoprire. E’ utilizzata per mansioni semplici, ha un costo elevato ma fornisce molte informazioni;

2. l’intervista: può accompagnare l’osservazione diretta o essere indipendente. Può essere strutturata, con domande predefinite, o semi-strutturata, con maggiore libertà di interazione;

3. episodi critici: consiste nell’identificare gli aspetti critici del comportamento e della prestazione;

4. il questionario: è costituito da un elenco di compiti, di responsabilità, a cui attribuire un punteggio ponderato. Ha un basso  costo.

Fatto ciò, occorre definire il profilo ideale, che comprende sia caratteristiche oggettive, come l’età, che caratteristiche psicologiche, come la motivazione; queste ultime, però, richiedono strumenti più specifici, utilizzabili solo da psicologi.

Dopo la job analysis, la selezione del personale procede con il reclutamento:

1. raccogliere le candidature potenzialmente interessanti. I candidati possono essere esterni all’azienda, oppure interni;

2. fare uno screening dei candidati e rimuovere i profili meno adeguati;

3. convocare i partecipanti ad un primo contatto con l’azienda.

A seguire c’è la selezione: permette al selezionatore di individuare le caratteristiche del candidato e viene fatta attraverso cinque tipologie di strumenti.

1. Intervista individuale: si divide in strutturata e non strutturata. L’intervista strutturata possiede maggiore attendibilità e validità predittiva rispetto alla non strutturata.

2. Intervista situazionale: si chiede al candidato di descrivere come si comporterebbe in una ipotetica situazione lavorativa.

3. Assessment Center: sono utili per comprendere lo stile di comportamento del candidato in gruppo.

4. Prove pratiche: consentono di mettere alla prova la persona non solo dal punto di vista delle dichiarazioni, ma anche della pratica della mansione.

5. Test psicometrici. 

Dopo aver redatto i profili di ogni candidato, il consulente presenta una lista di candidati alla committenza affinché questa possa operare la scelta finale di assunzione del candidato.

17 Lug 2018

Il feedback nelle organizzazioni

Il feedback nelle organizzazioni

In generale la parola Feedback rimanda alla conclusione di una riunione, di una formazione, o anche  alla fine di una settimana lavorativa tra capo e collaboratore. E’ sicuramente un elemento positivo nell’ambito di un’organizzazione quando entra a far parte di un processo culturale che coinvolge tutte le risorse umane presenti nell’azienda.

Quando viene introdotto per la prima volta all’interno di un’organizzazione può essere considerato un processo inutile e generare sconcerto, diffidenza e scetticismo.

Per gestire l’introduzione del feedback all’interno di un’organizzazione possono essere intraprese tre strade. 

  • Ottenere il consenso. E’ essenziale che chi ricopre un ruolo decisionale all’interno dell’azienda consideri il feedback fondamentale alla crescita dell’organizzazione e mostri questa sua opinione perchè altrimenti rischia di essere visto come un puro capriccio di qualche HR manager.
  • Evidenziare i benefici. La mancanza del feedback può riscontrarsi nel clima aziendale, nella poca fiducia tra i collaboratori o nel turnover. Tali elementi permettono di quantificare come il feedback possa avere un beneficio economico che sia anche calcolabile.
  • Non avere fretta. E’ impossibile innescare in maniera immediata tale processo in modo uniforme in un’organizzazione, ma bisogna partire dai soggetti più predisposti fino a che ogni elemento possa essere influenzato.
10 Lug 2018

Lifelong learning

Lifelong learning

Il lifelong learning è un approccio che ha come obiettivo quello di rimodellare e arricchire le conoscenze acquisite in passato attraverso se stessi. Nello specifico si tratta di un processo di auto-orientamento ed auto-formazione che adatta le competenze della persona a seconda dei nuovi bisogni, sia personali che sociali.

Parliamo, quindi, di una formazione ad personam che mira a migliorare la qualità della vita di un soggetto. Non interessa quindi competenze valide in modo universale, bensì un apprendimento continuo in linea con i cambiamenti del contesto sociale.

Differentemente dall’apprendimento tradizionale, nel lifelong learning l’individuo è l’unico responsabile di ciò che apprende, degli strumenti utilizzati e del contesto in cui sceglie di utilizzare le competenze.

Tre sono i processi implicati in questo particolare approccio:

  • l’apprendimento formale: percorsi d’istruzione e formazione che avvengono in appositi istituti e rilasciano diplomi/attestati;
  • l’apprendimento non formale: tutte quelle conoscenze e competenze apprese al di fuori di istituti formativi, ovvero all’interno di luoghi di associazione come aziende, sindacati, ecc.
  • l’apprendimento informale: quelle conoscenze e competenze apprese durante le proprie esperienze nel corso della vita.
03 Lug 2018

L’empowerment delle risorse umane

L’empowerment delle risorse umane

Per empowerment si intende il processo con cui viene sviluppata la capacità di singoli individui o di gruppi di compiere delle scelte e trasformarle in azioni. Fondamentali sono le capacità individuali e collettive che incrementano l’efficienza e l’equità del contesto organizzativo.

Questo concetto applicato al mondo del lavoro implica che ogni membro all’interno dell’azienda possa essere messo nelle condizioni di svolgere il proprio lavoro al meglio delle proprie possibilità, poiché è il lavoratore stesso che sa meglio di chiunque altro cosa gli sia necessario per raggiungere l’optimum.

Come è possibile applicare l’empowerment in un contesto aziendale, trasformandolo in un un concetto concreto che porti valore aggiunto all’intera azienda e non rimanga un termine sospeso?

Ogni manager dovrebbe domandarsi come fare per creare le condizioni ideali per la crescita dei propri subordinati. La soluzione migliore consisterebbe nel lasciare che i dipendenti elaborino insieme una soluzione e decidano da soli. L’azienda può definire dei confini che aiutino a sapere entro quale limite ciascuno può prendere decisioni autonomamente senza interpellare un superiore.

I principali ostacoli al processo di empowerment di un gruppo di lavoro sono:

  1. Assenza di limiti: se le persone non sanno fino a che punto possono prendere decisioni autonomamente, sicuramente non ne prenderanno alcuna.
  2. Micromanagement: se un manager sminuisce una decisione presa da un suo sottoposto, distrugge ogni tipo di motivazione. Se la decisione è sbagliata, il manager dovrebbe semplicemente spiegare come fare a non sbagliare la volta successiva.
  3. Mancanza di spiegazioni e formazione: se lo staff non ha ben chiari i termini della strategia di empowerment, si sentirà insicuro e avrà paura di prendere decisioni. O saranno maggiori i rischi di compiere errori.
  4. Mancanza di follow-up: è compito di un manager indirizzare e seguire il suo team, rivederne le decisioni e aiutarlo a raggiungere una maggiore autonomia, con adeguati feedback da entrambe le parti.
  5. Mancanza di responsabilità: se il manager non fa proprie le decisioni prese dai suoi collaboratori, questi si sentiranno abbandonati e non supportati, perdendo fiducia in lui.

Questi ostacoli possono essere superati attraverso misure appropriate da parte del management:

  • Chiara definizione della strategia: obiettivi e compiti definiti per ciascun lavoratore.
  • Formazione del management: insegnare ai manager come lasciare autonomia ai membri del team e fidarsi di loro.
  • Uso di supporti appropriati (ad esempio, social network aziendali): per aiutare a costruire collaborazione.
  • Sviluppo di sistemi di revisione e valutazione a 360 gradi: per incoraggiare il dialogo tra un manager e la sua squadra e sviluppare strategie di formazione legate alle performance.

Un efficace empowerment delle risorse umane può portare l’azienda a livelli più elevati di innovazione e reattività alle richieste dei clienti, di motivazione e di soddisfazione del personale.

In conclusione, l’empowerment comporta un aumento della fiducia e delle competenze del personale, comunicando visione e obiettivi chiari.

26 Giu 2018

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva

Un costrutto che suscita sempre più l’attenzione dei ricercatori all’interno dei contesti organizzativi è quello dell’intelligenza emotiva.

Nonostante il termine sia apparso in letteratura sin dagli anni ’60, il costrutto ha iniziato ad essere definito solo in tempi recenti. Già Thorndike sosteneva l’esistenza di un’intelligenza sociale che coincideva con la capacità di capire e dirigere le persone ed agire saggiamente nelle relazioni interpersonali. Abbastanza simile a questa intelligenza è quella proposta da Gardner, ovvero l’intelligenza interpersonale, che coincide con la capacità di riconoscere e fare distinzioni riguardo i sentimenti, le intenzioni e le credenze altrui.

A questo tipo d’intelligenza Gardner ne affiancava una seconda: l’intelligenza intrapersonale, ovvero la capacità di riconoscere i propri sentimenti. Questi due tipi di intelligenza, insieme,  formano l’intelligenza personale. Secondo Gardner, infatti, intelligenza intrapersonale e interpersonale sono strettamente collegate e per questo motivo è difficile distinguerle. Tuttavia, una prova della loro autonomia sarebbero, ad esempio, i bambini autistici in cui è compromessa l’intelligenza interpersonale ma non quella intrapersonale.

Gardner includeva queste due tipologie di intelligenza insieme ad altre cinque all’interno del modello delle intelligenze multiple. Nello specifico, questo studioso criticava la visione predominante della sua epoca, secondo la quale l’intelligenza coincideva con una capacità unitaria di ragionamento logico.

La prima definizione di intelligenza emotiva si deve al lavoro di Salovey e Mayer (1990) che la definiscono come “l’abilità di monitorare le emozioni e i sentimenti propri e altrui, distinguere tra questi ed usare le informazioni per guidare il pensiero e le azioni di qualcuno”. In particolare, l’intelligenza emotiva viene intesa come un sottoinsieme dell’intelligenza intrapersonale ed intrapsichica di Gardner. Gli stessi considerano l’intelligenza emotiva “come l’abilità di processare l’informazione affettiva”. Quest’abilità “comporterebbe in particolar modo il coinvolgimento di tre processi differenti: valutazione ed espressione delle emozioni in se stessi e negli altri,  regolazione delle emozioni in se stessi e negli altri, uso delle emozioni in modo adattivo”.

Successivamente, “Intelligenza Emotiva” di Goleman è stato fondamentale affinchè il concetto assumesse popolarità anche al di fuori del campo della ricerca psicologica.

Negli anni successivi l’attenzione sull’intelligenza emotiva ha preso sempre più il sopravvento sia nel mondo scientifico che in quello popolare. Per questo sono state proposte numerose definizioni e tanti altri strumenti di misura del fenomeno, a volte anche contrastanti tra loro.

L’intelligenza emotiva nelle organizzazioni

Oggi possiamo affermare che per la maggior parte delle organizzazioni il vantaggio competitivo è legato alle persone. Nei prossimi decenni le persone diventeranno l’unica fonte di vantaggio competitivo realmente sostenibile.

Chi si occupa dell’impatto delle persone sulle performance organizzative sa bene come ad esempio un buon clima lavorativo sia in grado di spiegare migliori performance economiche e finanziarie. Coinvolgere le persone nei processi di cambiamento, risolvere i problemi in maniera proattiva, creare il contesto favorevole alla performance, sviluppare la collaborazione: sono tutte capacità di una leadership realmente efficace che lo sviluppo delle competenze emotive supporta.

Attraverso gli strumenti di assessment e sviluppo dell’intelligenza emotiva è possibile per esempio creare una strategia di risorse umane basata su indicatori di perfomance misurabili, focalizzare i processi di selezione sui fattori più significativi per il successo, sviluppare training sulle competenze ritenute più importanti per la performance dell’azienda.

Un altro ambito di applicazione e d’intervento attraverso l’intelligenza emotiva è il cambiamento organizzativo: chiunque sia stato coinvolto in cambiamenti organizzativi, ha sperimentato come la parte più complessa sia legata alle persone.

Le competenze emotive costruiscono fiducia, favoriscono la comunicazione e l’impegno tra le risorse umane, tre aspetti essenziali per il cambiamento organizzativo.