17 Lug 2018

Il feedback nelle organizzazioni

Il feedback nelle organizzazioni

In generale la parola Feedback rimanda alla conclusione di una riunione, di una formazione, o anche  alla fine di una settimana lavorativa tra capo e collaboratore. E’ sicuramente un elemento positivo nell’ambito di un’organizzazione quando entra a far parte di un processo culturale che coinvolge tutte le risorse umane presenti nell’azienda.

Quando viene introdotto per la prima volta all’interno di un’organizzazione può essere considerato un processo inutile e generare sconcerto, diffidenza e scetticismo.

Per gestire l’introduzione del feedback all’interno di un’organizzazione possono essere intraprese tre strade. 

  • Ottenere il consenso. E’ essenziale che chi ricopre un ruolo decisionale all’interno dell’azienda consideri il feedback fondamentale alla crescita dell’organizzazione e mostri questa sua opinione perchè altrimenti rischia di essere visto come un puro capriccio di qualche HR manager.
  • Evidenziare i benefici. La mancanza del feedback può riscontrarsi nel clima aziendale, nella poca fiducia tra i collaboratori o nel turnover. Tali elementi permettono di quantificare come il feedback possa avere un beneficio economico che sia anche calcolabile.
  • Non avere fretta. E’ impossibile innescare in maniera immediata tale processo in modo uniforme in un’organizzazione, ma bisogna partire dai soggetti più predisposti fino a che ogni elemento possa essere influenzato.
10 Lug 2018

Lifelong learning

Lifelong learning

Il lifelong learning è un approccio che ha come obiettivo quello di rimodellare e arricchire le conoscenze acquisite in passato attraverso se stessi. Nello specifico si tratta di un processo di auto-orientamento ed auto-formazione che adatta le competenze della persona a seconda dei nuovi bisogni, sia personali che sociali.

Parliamo, quindi, di una formazione ad personam che mira a migliorare la qualità della vita di un soggetto. Non interessa quindi competenze valide in modo universale, bensì un apprendimento continuo in linea con i cambiamenti del contesto sociale.

Differentemente dall’apprendimento tradizionale, nel lifelong learning l’individuo è l’unico responsabile di ciò che apprende, degli strumenti utilizzati e del contesto in cui sceglie di utilizzare le competenze.

Tre sono i processi implicati in questo particolare approccio:

  • l’apprendimento formale: percorsi d’istruzione e formazione che avvengono in appositi istituti e rilasciano diplomi/attestati;
  • l’apprendimento non formale: tutte quelle conoscenze e competenze apprese al di fuori di istituti formativi, ovvero all’interno di luoghi di associazione come aziende, sindacati, ecc.
  • l’apprendimento informale: quelle conoscenze e competenze apprese durante le proprie esperienze nel corso della vita.
26 Giu 2018

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva

Un costrutto che suscita sempre più l’attenzione dei ricercatori all’interno dei contesti organizzativi è quello dell’intelligenza emotiva.

Nonostante il termine sia apparso in letteratura sin dagli anni ’60, il costrutto ha iniziato ad essere definito solo in tempi recenti. Già Thorndike sosteneva l’esistenza di un’intelligenza sociale che coincideva con la capacità di capire e dirigere le persone ed agire saggiamente nelle relazioni interpersonali. Abbastanza simile a questa intelligenza è quella proposta da Gardner, ovvero l’intelligenza interpersonale, che coincide con la capacità di riconoscere e fare distinzioni riguardo i sentimenti, le intenzioni e le credenze altrui.

A questo tipo d’intelligenza Gardner ne affiancava una seconda: l’intelligenza intrapersonale, ovvero la capacità di riconoscere i propri sentimenti. Questi due tipi di intelligenza, insieme,  formano l’intelligenza personale. Secondo Gardner, infatti, intelligenza intrapersonale e interpersonale sono strettamente collegate e per questo motivo è difficile distinguerle. Tuttavia, una prova della loro autonomia sarebbero, ad esempio, i bambini autistici in cui è compromessa l’intelligenza interpersonale ma non quella intrapersonale.

Gardner includeva queste due tipologie di intelligenza insieme ad altre cinque all’interno del modello delle intelligenze multiple. Nello specifico, questo studioso criticava la visione predominante della sua epoca, secondo la quale l’intelligenza coincideva con una capacità unitaria di ragionamento logico.

La prima definizione di intelligenza emotiva si deve al lavoro di Salovey e Mayer (1990) che la definiscono come “l’abilità di monitorare le emozioni e i sentimenti propri e altrui, distinguere tra questi ed usare le informazioni per guidare il pensiero e le azioni di qualcuno”. In particolare, l’intelligenza emotiva viene intesa come un sottoinsieme dell’intelligenza intrapersonale ed intrapsichica di Gardner. Gli stessi considerano l’intelligenza emotiva “come l’abilità di processare l’informazione affettiva”. Quest’abilità “comporterebbe in particolar modo il coinvolgimento di tre processi differenti: valutazione ed espressione delle emozioni in se stessi e negli altri,  regolazione delle emozioni in se stessi e negli altri, uso delle emozioni in modo adattivo”.

Successivamente, “Intelligenza Emotiva” di Goleman è stato fondamentale affinchè il concetto assumesse popolarità anche al di fuori del campo della ricerca psicologica.

Negli anni successivi l’attenzione sull’intelligenza emotiva ha preso sempre più il sopravvento sia nel mondo scientifico che in quello popolare. Per questo sono state proposte numerose definizioni e tanti altri strumenti di misura del fenomeno, a volte anche contrastanti tra loro.

L’intelligenza emotiva nelle organizzazioni

Oggi possiamo affermare che per la maggior parte delle organizzazioni il vantaggio competitivo è legato alle persone. Nei prossimi decenni le persone diventeranno l’unica fonte di vantaggio competitivo realmente sostenibile.

Chi si occupa dell’impatto delle persone sulle performance organizzative sa bene come ad esempio un buon clima lavorativo sia in grado di spiegare migliori performance economiche e finanziarie. Coinvolgere le persone nei processi di cambiamento, risolvere i problemi in maniera proattiva, creare il contesto favorevole alla performance, sviluppare la collaborazione: sono tutte capacità di una leadership realmente efficace che lo sviluppo delle competenze emotive supporta.

Attraverso gli strumenti di assessment e sviluppo dell’intelligenza emotiva è possibile per esempio creare una strategia di risorse umane basata su indicatori di perfomance misurabili, focalizzare i processi di selezione sui fattori più significativi per il successo, sviluppare training sulle competenze ritenute più importanti per la performance dell’azienda.

Un altro ambito di applicazione e d’intervento attraverso l’intelligenza emotiva è il cambiamento organizzativo: chiunque sia stato coinvolto in cambiamenti organizzativi, ha sperimentato come la parte più complessa sia legata alle persone.

Le competenze emotive costruiscono fiducia, favoriscono la comunicazione e l’impegno tra le risorse umane, tre aspetti essenziali per il cambiamento organizzativo.