19 Dic 2018

Le nuove metodologie di recruiting che non penalizzano le donne

Le nuove metodologie di recruiting che non penalizzano le donne

Quando le donne entrano nel mondo del lavoro, sono preparate, motivate e ambiziose. Poi qualcosa cambia: in Italia le donne laureate sono più degli uomini, ma la percentuale di donne che lavorano è più bassa di quella dei loro colleghi maschi. Si può dire che buona parte non lavora, né cerca lavoro. Un problema culturale e sociale che diventa un danno sia per le donne stesse, sia per il Pil del nostro Paese, un danno che si quantifica con il 17% di donne laureate inattive. Il tutto poi precipita quando, fatti i primi passi, si bloccano. Così lasciano agli uomini il comando, stanche di lottare contro un modello di successo ancora maschile.

Donne e carriera, il tema. Era il 9 dicembre del 1977 quando il Parlamento italiano approvò la legge n. 903 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, oggi, passati oltre 40 anni, uomini e donne non sentono di avere le stesse possibilità di carriera. Sono alcuni aspetti emersi dal IV Rapporto Future Manager ‘Giovani laureati in cammino tra università e carriera’. Lo studio, curato da Future Manager Alliance, gruppo internazionale di professionisti delle risorse umane specializzati nel mercato del lavoro dei giovani laureati, nello specifico analizza aspirazioni e percezioni di un campione di 1.000 laureati italiani a distanza di 4 anni dal conseguimento del diploma universitario.

Le differenze iniziano a vedersi con le modalità di ingresso nel mondo del lavoro, soprattutto nelle forme contrattuali. Ad esempio, nei contratti a tempo indeterminato (è il primo contratto di lavoro per il 16% degli uomini e solo per il 9% delle donne) e nel contratto a progetto (il primo contratto per il 18% delle donne e solo per il 9% degli uomini). Ma il punto vero è che le donne sono minoritarie nel management (in Italia solo il 15% circa dei dirigenti e il 28% dei quadri è donna) e quasi assenti nei livelli apicali (9% del top management è donna).

Ricordate il famoso Principio di Peter? È quello che dice che, in una gerarchia, le persone salgono di grado fino al proprio livello di incompetenza e poi si fermano. Un principio non applicato, però, alle donne, visto che la maggior parte delle donne lavora sotto il proprio livello di competenza.

A questo punto si dovrebbe parlare di meritocrazia, tasto dolente del sistema italiano, e di talento sprecato. Da qui l’elaborazione di nuove tecniche di recruiting per favorire l’avanzamento di carriera per le donne all’interno delle realtà imprenditoriali.

Wyser, società internazionale di Gi Group che si occupa di ricerca e selezione di profili manageriali, ha elaborato 8 punti chiave su cui focalizzarsi per abbattere il cosiddetto soffitto di cristallo. Il primo è la cultura aziendale, cioè valorizzare, a livello dirigenziale, la diversità delle risorse umane e promuovere un cambiamento di prospettiva e cultura anche nei middle-manager e i quadri.; il secondo è il work-life balance: adottare misure orientate alla conciliazione vita-lavoro e misure family friendly rendendo attrattiva l’azienda per lavoratrici e lavoratori; il monitoraggio è il terzo punto, definire i comportamenti virtuosi e misurare quelli reali adottando degli indicatori specifici (come, la percentuale di donne presenti in azienda, il rapporto tra le donne che presentano la propria candidatura e quelle assunte per la medesima posizione, la percentuale di donne che lasciano l’azienda rispetto al totale degli uscenti…). Il quarto è flessibilità e smart working, il quinto l’approccio tecnologico, il sesto i pregiudizi: affrontare le selezioni di nuove figure manageriali evitando di cadere nei più comuni pregiudizi e adattando il processo di recruiting per coinvolgere anche talenti femminili in aree specifiche, come quelle ingegneristiche (ad esempio, uso di un linguaggio orientato alle donne; selezionatrici donne…); il settimo, la selezione del personale valutando sistematicamente per posizioni manageriali anche profili femminili spingendo per avere short list di candidati che rispettino la gender diversity. L’ultimo: gestire la carriera di una donna manager anche nei periodi di discontinuità, come il rientro dalla maternità o il cambio di ruolo, un cambiamento che ha investito anche il mercato italiano, infatti in Italia sempre più aziende (ancora troppo poche però) si affidano al ‘blind recruitment’. Si tratta della pratica di cancellare volontariamente dal CV dei candidati informazioni come nome, genere, età ed educazione, per eliminare così ogni possibile pregiudizio. Qualche anno fa fu usato anche dal Comune di Bologna, che doveva scegliere i cinque componenti del Comitato dei garanti. Un altro esempio è invece oltreoceano e riguarda la terza società finanziaria più grande al mondo. Lori Heinel, una delle tre donne nel consiglio di amministrazione di State Street ha adottato un modello di colloqui con i candidati basato sui fatti e condotto da intervistatori anche loro diversi. Inoltre in State Street usano uno strumento (Textio) per scrivere gli annunci di ricerca del personale in modo che siano neutri, cioè usano parole e descrizioni del lavoro che non scoraggino i candidati donne. Per esempio, se si annuncia di volere qualcuno con dieci anni di esperienza in finanza, si attirano solo uomini. Se invece si cerca una persona con capacità analitiche o abituata a lavorare in ambienti complessi, si avrà un pool molto più ampio.

Ma c’è tra gli addetti ai lavori chi storce il naso e che definisce queste azioni, azioni di puro marketing. “Non vorrei essere eccessivo, ma credo che la maggior parte delle volte, queste siano azioni finalizzate ad aumentare la propria visibilità e a migliorare la propria reputazione”, interviene William Griffini, Ceo di Carter & Benson Executive Search, operante nella ricerca diretta e selezione di top manager, e C&B Middle Management, specializzata nella ricerca diretta e selezione di quadri, neo dirigenti e figure manageriali middle. “Bisognerebbe capire i numeri, cifre alla mano: quante donne hanno in azienda, quante ricoprono ruoli dirigenziali? In questo Winning Women Institute ha dato una svolta sul metodo di lavoro un metodo volto a intervenire sulla gender equality: lavora sui dati, dati alla mano”.

25 Set 2018

Il benessere psicologico in ambito lavorativo

Il benessere psicologico in ambito lavorativo

L’interesse del concetto di benessere, inteso come “funzionamento psicologico positivo” o “salute mentale positiva”, è sempre più crescente, soprattutto per il suo contributo a tutti gli aspetti della vita umana. Più comunemente, tra le persone, questi termini sono meglio conosciuti con il concetto di “felicità”.

Secondo Argyle (1987), la felicità è rappresentata da un senso generale di benessere complessivo che può essere scomposto in termini di appagamento in aree specifiche quali ad esempio il matrimonio, il lavoro, il tempo libero, i rapporti sociali, l’autorealizzazione e la salute. La felicità è anche legata al numero e all’intensità delle emozioni positive che la persona sperimenta. In questo caso è definibile come l’emozione che segue il soddisfacimento di un bisogno o la realizzazione di un desiderio e in essa, accanto all’esperienza del piacere, compaiono una certa dose di sorpresa e di attivazione (D’Urso & Trentin, 1992).

Waterman (1993) ha identificato due concezioni teoriche distinte: l’eudaimonia, che corrisponde ai sentimenti di espressività personale, alle funzioni psicologiche e alla realizzazione personale, e l’edonismo che si focalizza sull’esperienze soggettive di felicità e soddisfazione di vita.

Secondo l’autore queste componenti sono associate ad attività distinte e hanno coinvolgimenti diversi per i sentimenti di autorealizzazione. Le attività che fanno sorgere sentimenti di espressività personale sono quelle in cui il soggetto sperimenta stati di autorealizzazione grazie alla possibilità di poter esprimere e mostrare le proprie potenzialità e capacità, attraverso lo sviluppo delle abilità e dei talenti personali e il raggiungimento degli scopi.

L’edonismo si origina da una gamma di attività molto ampia; esso viene sperimentato ogni volta che si avvertono emozioni piacevoli come conseguenza del soddisfacimento di bisogni fisici, intellettuali e sociali.

L’autore ha trovato che questi due aspetti del benessere sono associati ad attività differenti; l’edonismo può originarsi da una varietà di fattori, i sentimenti di espressività personale sono invece collegati a un numero ridotto e specifico di azioni.

Vari studiosi hanno cercato di capire su quali elementi le persone si basano nel giudicare positivamente la propria vita; il benessere in questo senso è valutato secondo gli standard delle persone nel determinare ciò che è positivo nella vita, secondo quindi i propri criteri personali. Sono stati di conseguenza costruiti strumenti in grado di misurare il benessere nella sua componente cognitiva (ad esempio il Life Satisfaction Index di Neugarten, 1961; la Satisfaction With Life Scale di Diener et al., 1985; il singolo indice di felicità di Andrews, 1976).

Un’altra categoria di definizioni che si riferisce al concetto di benessere denota una prevalenza di affetti positivi su affetti negativi, enfatizzando la presenza di esperienze emotive piacevoli. Secondo Bradburn (1969), la felicità è un giudizio globale che le persone formulano comparando i loro affetti negativi con quelli positivi. Bradburn ha costruito uno strumento auto-valutativo, l’Affect Balance Scale (1969), che più tardi è stato ripreso da Watson creando le Positive and Negative Affect Scales con cui si possono quantificare gli stati emotivi sia positivi che negativi in un arco di tempo precisato. Altri studiosi hanno fatto corrispondere il concetto di benessere psicologico con quello di varie componenti: ad esempio l’autostima (Rosemberg, 1965), l’ottimismo (Scheier & Carver, 1993), gli stati d’umore positivi (Lawton, 1975), il locus di controllo (Levenson, 1974) e il senso di coerenza (Antonovsky, 1993).

In campo clinico il benessere è stato interpretato come assenza di sintomatologia legata a depressione, ansia ecc. Spesso si utilizza, per tale costrutto, il Sympton Questionnaire di Kellner (1978) che associa quattro scale sintomatologiche (ansia, depressione, somatizzazione ed ostilità) alle corrispondenti scale di benessere (rilassamento, contentezza, benessere fisico e buona disposizione). Nell’ambito della psicopatologia, appare fondamentale la valutazione della remissione e della guarigione da un disturbo affettivo (Ruini, Ottolini, Raffanelli, Conti & Fava, 2000).

Un’ampia letteratura mostra la presenza di sintomi residui in pazienti con disturbi ansiosi e depressivi al termine del trattamento farmacologico e/o psicoterapico (Fava, 1996). Questi sintomi implicano un esito prognostico negativo a lungo termine; nella valutazione della guarigione da un disturbo affettivo diventa essenziale non solo la completa remissione dei sintomi, ma anche il ripristino del benessere psicologico e del funzionamento ottimale dell’individuo.

12 Giu 2018

La valutazione del personale

La valutazione del personale

Per gestire in modo strategico un’impresa la Direzione Risorse Umane può utilizzare la valutazione del personale. Grazie ai sistemi di valutazione è infatti possibile definire tutti quegli interventi (formazione, benefit, riorganizzazione) necessari al raggiungimento degli obiettivi di medio e lungo termine previsti dalla strategia aziendale. 
La valutazione del personale è però un sistema che necessità di alcune attività preliminari. 

1. Mappatura dei ruoli
E’ necessario mappare i ruoli e le posizioni presenti nei processi lavorativi aziendali.
I questionari per le Job Analysis sono gli strumenti più utilizzati per questa esigenza, insieme ad una Valutazione a 360°. In alcune aziende sono coinvolte nella definizione e revisione dei ruoli anche figure esterne come i clienti e i fornitori.
La raccolta delle informazioni è finalizzata alla Job Description ed alla definizione degli obiettivi delle posizioni.

2. Creazione del Dizionario delle competenze
La Job Description ha una funzione strumentale alla definizione delle competenze necessarie per coprire un determinato ruolo e alla creazione del dizionario delle competenze aziendali.
Per l’associazione delle competenze ai ruoli è possibile seguire due processi differenti:

– processo top-down: la Direzione Risorse Umane, dopo aver effettuato la Job Analysis con i responsabili ed i collaboratori, definisce le competenze e gli obiettivi per ogni ruolo, le descrizioni delle competenze e gli indicatori comportamentali per facilitare la valutazione del personale;
– processo bottom-up: i responsabili sono coinvolti nell’assegnazione delle competenze e degli obiettivi, nella definizione delle definizioni e degli indicatori comportamentali.
3. Prima valutazione del personale
A questo punto è possibile procedere con la valutazione delle competenze e degli obiettivi del personale.

4. Analisi dei risultati e definizione degli interventi
La Direzione delle Risorse Umane, insieme ai responsabili, analizzerà i risultati e, se necessario, valuterà gli interventi formativi e gli incentivi economici per migliorare le performance del personale. In questa fase viene anche valutata la possibilità di inserire in organico personale in grado di ampliare il know-how aziendale.

5. Ridefinizione dei ruoli e delle posizioni
Nel momento in cui la Direzione Aziendale elabora una strategia e nuovi obiettivi a medio-lungo termine, la Direzione delle Risorse Umane può effettuare un’analisi e definire nuove competenze o ruoli, oppure valutare l’inserimento di personale qualificato.
La valutazione del personale servirà per valutare l’impatto delle decisioni prese dalla Direzione delle Risorse Umane ed eventualmente procedere con una revisione dell’impianto generale.
20 Feb 2018

Welfare aziendale: in cosa consiste e a cosa serve?

Welfare aziendale: in cosa consiste e a cosa serve?

Per Welfare Aziendale solitamente si intende l’insieme delle iniziative volte ad incrementare il benessere a tutto tondo dei dipendenti di un’azienda attraverso servizi e incentivi volti a fornire benefici non solo di natura monetaria ma anche in ottica psico-sociale.

Possiamo definire questo nuovo sistema di retribuzione un bisogno universale, che sta diventando sempre più importante in diverse realtà lavorative, senza sostanziali differenze tra diversi settori di riferimento.

Quando si parla di Welfare Aziendale molto spesso ci si concentra, purtroppo, solo sul versante economico di tali servizi, che solitamente prevedono incentivi e aiuti ai lavoratori mirati ed individualizzati alla soddisfazione delle diverse esigenze di ognuno.

Un buon piano di Welfare Aziendale prevede, senza dubbio, l’erogazione di contributi aziendali, sconti, promozioni, convenzioni per accedere a beni e servizi. Tuttavia, sempre più studi scientifici dimostrano come l’incentivo economico, per quanto importante e fondamentale, non rappresenti l’unica spinta alla produttività e al benessere dei dipendenti, ma rappresenti solo un contorno che, privato della componente umana della vita lavorativa, la rende pressoché sterile.

Spesso infatti le aziende trascurano l’importanza del benessere psicofisico dei loro dipendenti, una scelta discutibile non solo da un punto di vista etico, ma anche nell’ottica di una buona produttività aziendale.

Negli ultimi anni, tuttavia, da parte delle imprese, è cresciuto l’interesse nei confronti della qualità del lavoro e della vita dei lavoratori: un approccio che, nel concreto, si è tradotto in una maggiore flessibilità e nell’offerta di benefici e servizi di vario genere.

Se in molti Stati europei questa è già una realtà da molti anni, lentamente lo sta diventando anche nel nostro paese dove, a partire dalla Legge di stabilità 2016, è cresciuta la sensibilità in merito.

L’insieme di queste pratiche e politiche organizzativo porta infatti a diversi benefici, tra cui:

  • L’ aumento della produttività aziendale, attraverso il miglioramento del clima organizzativo e alla conseguente diminuzione di fenomeni quali turnover e assenteismo;
  • Risparmi sul costo del personale, ottimizzando il vantaggio fiscale;
  • Il miglioramento del clima aziendale e del benessere del lavoratore;
  • Una migliore conciliazione tra vita privata e professionale.

Il welfare aziendale sembra rappresentare, quindi, un interessante caso di strategia win-win che porta vantaggi sia al datore di lavoro che ai dipendenti, che non si limiti al premio di produttività in denaro. Se da un lato, infatti, il lavoratore riceve un servizio utile a condizioni vantaggiose anche dal punto di vista della tassazione, dall’altro l’azienda può sfruttare le agevolazioni fiscali promosse dallo stato. Usufruire di questi benefits, inoltre, non avrà alcun impatto economico sulla futura pensione del lavoratore.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

13 Feb 2018

COSA SONO ESATTAMENTE LE RISORSE UMANE?

COSA SONO ESATTAMENTE LE RISORSE UMANE?

Il termine “Risorse Umane” (in inglese, Human Resources, HR) è usato per indicare sia le persone che lavorano per un’azienda o per un organizzazione sia il dipartimento responsabile della gestione delle risorse legate ai dipendenti.

Questo termine ombrello, largamente usato al giorno d’oggi, comprende tutto ciò che ha a che fare con la gestione del capitale umano all’interno di un’organizzazione.

La gestione delle risorse umane si focalizza su alcune aree particolare, ovvero:

  • reclutamento e selezione del personale
  • compensazione e benessere organizzativo
  • training e formazione
  • relazioni lavorative e tra i membri dell’organizzazione
  • sviluppo aziendale

La gestione delle risorse umane coinvolge, dunque, lo sviluppo e l’amministrazione di programmi designati ad incrementare l’efficienza di un organizzazione o del suo business.

Essa include uno spettro molto ampio in cui la creazione, la gestione e la crescita delle relazioni tra i membri di un’organizzazione hanno un ruolo centrale.

Le risorse umane, al giorno d’oggi, sono una vera e proprio valore aggiunto all’interno dell’azienda, in grado di avere un impatto positivo e concreto anche sui guadagni dell’azienda.

Gli specialisti in risorse umane attualmente devono focalizzare il loro lavoro su 3 aree critiche:

Definire e allineare i propositi organizzativi: i dipendenti di un’azienda devono essere coscienti del perché l’azienda esiste per poter essere parte dell’organizzazione focalizzandosi sugli obiettivi dell’azienda e dunque sostenendola e migliorando le proprie performance per il bene comune. I dipendenti devono comprendere quanto i loro sforzi siano connessi o allineati con gli obiettivi finali dell’organizzazione.

Assumere dipendenti talentuosi creando, negoziando e puntando tutto sul valore di ogni singolo dipendente: il valore del capitale umano deve essere assunto come punto di forza e garanzia della qualità, umana in particolare, della propria azienda, focalizzandosi sui punti di forza di ognuno e dando ad ogni dipendente il ruolo che meglio si addice alle sue potenzialità.

Creare un allineamento organizzativo: i miglioramenti devono essere lineari per tutti i settori e per tutti i dipendenti di un organizzazione per costruire un’azienda di successo.

Psyche at Work si occupa di gestione delle risorse umane, grazie ad un team di esperti nel settore e ad un ampio ventaglio di servizi e opportunità.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.