25 Mar 2020

MANTENERE VIVI I RAPPORTI DURANTE LA QUARANTENA? È POSSIBILE!

MANTENERE VIVI I RAPPORTI DURANTE LA QUARANTENA?  È POSSIBILE!

Nelle ultime settimane la nostra vita è stata stravolta: abbiamo subito un cambiamento d’umore, di abitudini, di comportamenti. In Italia con l’epidemia niente è più lo stesso, e soprattutto con l’ultimo decreto legge, che impone spostamenti ridotti solo per necessità, si è costretti a stare a casa, con la propria famiglia.

E chi la propria famiglia non l’ha vicino? Tutte quelle coppie che stanno insieme, ma non sotto lo stesso tetto? Come si può affrontare questo distacco duro e improvviso?

Dal punto di vista psicologico, come per tutte le cose nuove a cui non siamo preparati, le reazioni sono di difficile adattamento, ansia, paura, sconcerto. Essere separati dai propri cari è sicuramente un evento difficile a cui ciascuno di noi reagisce con gli strumenti in possesso.  La separazione da Coronavirus funziona come ogni altra separazione, con la differenza che viene imposta dall’alto, da qualcosa al di fuori del proprio controllo, e questo può aumentare il senso di rabbia e frustrazione, l’idea di sentirsi vittime di qualcosa.

La separazione forzata: come reagiscono le coppie?

Come è dura vivere questa emergenza lontani dalle famiglie che ci trasmettono un senso di sicurezza a protezione, ancora più difficile è quando ad essere separate sono le coppie di fidanzati che magari vivono a pochi km di distanza ma per decreto non possono vedersi. Qui la separazione è provocata da una decisione obbligata ed estranea; la si subisce, non la si sceglie. Ci può volere più tempo, più pazienza e forza personale per farvi fronte.

relazioni a distanza

Analizziamo meglio questa situazione all’interno di due tipologie differenti di coppie:

  • Per le coppie stabili, solide, con un buon livello di autonomia personale, l’adattamento non dovrebbe essere troppo difficile (“So che tu ci sei, anche se non posso vederti”). In queste coppie, ciascuno dei due sa stare da solo e si fida del fatto che finito questo periodo potrà ritrovare l’altro. Si tratta di un profondo disagio ma senza conseguenze serie sulla coppia.
  • Per coppie più instabili, o formatisi recentemente, o soprattutto dove il legame è prevalentemente simbiotico, la situazione può invece farsi difficile. Può succedere che, coppie che percepiscono l’altro come una parte di sé, l’allontanamento dell’altro significa perdere una parte di sé. La persona può sentirsi non solo sola, ma del tutto smarrita, persa. In questi casi la separazione può causare stati d’ansia e di angoscia, o vissuti depressivi di perdita.

Mantenere vive le relazioni: consigli per famiglie e coppie

  • Non smettete di programmare insieme la giornata nonostante la distanza;
  • Affinate l’ascolto: Non avendo a disposizione il corpo, saper ascoltare è importantissimo quando non si è vicini. Ora la parola ha un potere diverso rispetto alla normale quotidianità: è l’unico strumento a disposizione e bisogna dargli il giusto valore;
  • Mantenete i contatti attraverso i mezzi di comunicazione tecnologici: (chiamate, videochiamate, sms) questo permette di salvaguardare la relazione. Sicuramente la distanza fisica e l’impossibilità di relazionarsi interamente con una persona cara possono generare difficoltà e sofferenza, ma è importante pensare che la situazione è temporanea e che il tempo perso potrà essere recuperato e apprezzato ulteriormente;
  • Cogliete il lato buono della separazione: le coppie possono approfittare di questo momento per riflettere: Aumenta o torna il desiderio? Scopro che mi sei mancato/a? Riesco a vederti in un’altra luce?
  • È importante mantenere le abitudini: sentirsi sempre a una certa ora, cenare insieme anche se attraverso lo schermo, guardare insieme lo stesso film e commentarlo;
  • Scriversi delle lettere (e-mail);
  • Non trascuratevi, non datevi per scontati: all’interno della coppia, non fate sentire all’altro che lo avete dimenticato, mantenete sempre il contatto nel modo più normale possibile; fate sentire all’altro che è nella vostra mente. Ovviamente vale anche il contrario: non invadete l’altro di lamenti, o accuse, dimenticandovi che anche lui, o lei, è nella vostra stessa difficoltà. Gli atteggiamenti narcisistici, in cui vediamo solo noi stessi e i nostri bisogni, danneggiano le relazioni, anche quelle a distanza;
  • Fate sport insieme in casa ma in videochiamata;
  • Non smettere di programmare insieme il futuro: un progetto di convivenza, un viaggio, la visita ad un museo ecc. ecc. Il futuro è lì che ci aspetta!

 

#restiamoumani #restiamouniti e #restiamoacasa

 

25 Mar 2020

CONSIGLI PER LAVORARE BENE DA CASA

CONSIGLI PER LAVORARE BENE DA CASA

Quarantena significa che più persone lavorano da casa. Se questo è una novità assoluta per voi, seguite questi suggerimenti e dovreste trovarvi bene tra le mura domestiche. Anzi, potrebbe persino piacervi.

William Castellano, docente alla Rutgers School of Management and Labor Relations, parlando con il New York Times, ha consigliato di iniziare la giornata di smart working «cercando di svegliarsi alla stessa ora e fare tutte le cose che si farebbero normalmente per prepararsi ad andare al lavoro». Fai qualche esercizio per restare in forma o per distendere mente e corpo, come lo  yoga, una doccia rilassante e una lunga colazione – non in fretta e furia come al solito – costituiscono già un ottimo inizio. Dovrai semplicemente stabilire un nuovo rituale quotidiano che sia differente rispetto a quello dei giorni festivi.

Su come vestirsi ci sono pareri discordanti, alcuni dicono che una comoda tuta va più che bene, altri che bisogna vestirsi come quando si va in ufficio, perché questo avrebbe ricadute anche sul nostro modo di “prendere sul serio” il lavoro. In ogni caso, il pigiama toglietelo.

Ecco alcuni semplici consigli su come lavorare bene anche da casa:

STABILIRE UNA POSTAZIONE

Probabilmente, questa è la tentazione più grande dello Smart Working: lavorare a letto. Se scegli di lavorare nel caldo di lenzuola e coperte, il problema è che alle 11 c’è il rischio di un primo riposino e di un’altra pausa alle 14, subito dopo pranzo. Inoltre, la posizione allungata in questo caso fa male alla schiena. Avere uno spazio dedicato interamente al lavoro, per permette a voi di dividere i momenti dedicati al lavoro da quelli dedicati ad altre attività e per permettere a chi vive con voi di sapere quando siete disponibili e quando non potete essere disturbati.

L’ideale per chi lavora a una scrivania è avere lo schermo all’altezza degli occhi, in modo da tenere il collo dritto. Quindi, se non avete un monitor ma lavorate al computer portatile, potreste avere bisogno di un “rialzo”.

FATE CAPIRE ALLA VOSTRA FAMIGLIA CHE LAVORI IN CASA

Fate capire alla vostra famiglia e ai vostri coinquilini che quando siete al lavoro… siete al lavoro, anche quando siete a casa. Impostate dei limiti, ma fate comunque attenzione agli altri in casa. Dopotutto, parlate anche con altre persone in ufficio, giusto?

MANTIENI I CONTATTI CON IL COLLEGHI

In questi tempi di Smart Working forzato causa Coronavirus, la comunicazione è fondamentale! È importante continuare a dialogare con i colleghi durante il corso della giornata. Attraverso le chat e tutte le piattaforme dedicate alle videochiamate e alle videoconferenze, le riunioni e le altre decisioni da prendere sono abbastanza semplici da organizzare e programmare. La gestione dei compiti di ciascuno resta individuale, dato che a casa si svolge lo stesso ruolo che si ha in ufficio, ma è sempre bene mantenere un contatto con il resto del team per sapersi coordinare per qualche strategia o lavoro importante. Se vivete da soli, le videochiamate con amici e colleghi potete anche farle senza cuffie, ma, se in casa vostra abitano altre persone, un paio di auricolari dotati di microfono sono necessari.

MANTENERE ORARI DI LAVORO REGOLARI

Ci sono due problemi di tempo davvero comuni con il lavoro da casa. Il primo funziona in questo modo: “Sono a casa, quindi posso guardare la TV, posso giocare , posso … ” L’altro funziona in questo modo: “Sono al lavoro e devo lavorare sempre. Non devo rilassarmi. Devo … ” Se lavorate dalle 9 alle 5 in ufficio, provate a lavorare dalle 9 alle 5 a casa. Non dimenticarti di fare le stesse pause di una classica giornata lavorativa – 15 minuti di break ogni due ore -, di pranzare intorno alle 13, esattamente come fai sul luogo di lavoro, e di evita di protrarre troppo a lungo l’orario d’ufficio. Allo stesso modo, però, non cedere a qualche distrazione mentre stai lavorando: lavorare da casa è anche un atto di fiducia da parte dell’azienda e devi portare a termine al meglio tutti i tuoi compiti. Per aiutarti, metti un po’ di musica di sottofondo che ti aiuti a mantenere la concentrazione e che ti isoli dal mondo esterno.

18 Mar 2020

#iorestoacasa: Consigli utili per trascorrere al meglio il vostro tempo

#iorestoacasa: Consigli utili per trascorrere al meglio il vostro tempo

Abituati a vivere in una società fondata sulla produttività e sul consumo sfrenato, la richiesta di cambiare il nostro stile di vita, risulta molto difficile soprattutto se il cambiamento deve essere repentino e non graduale come accade, per esempio, quando si tenta di smettere di fumare o di dimagrire.

È difficile modificare la propria “normalità” sia perché l’essere umano è abitudinario anche nelle cattive abitudini, sia perché interviene il fattore motivazione: le persone che stanno bene sono scarsamente motivate a fare questi cambiamenti, non ne percepiscono la necessità a livello personale e quindi sono più restie a farli.

Psicologicamente, la situazione non è facile.

Le fasi della metabolizzazione di una novità come l’epidemia che, come abbiamo detto, comporta una “sospensione della normalità”, sono diverse:

  1. Negazione: non si riesce a capacitarsi di quanto viene comunicato (la gravità del virus, il bisogno assoluto di rimanere a casa), si pensa che la situazione sia gonfiata rispetto alla realtà, e che in fondo non c’è niente di male a uscire per fare un po’ di jogging.
  2. Rabbia: l’imposizione di una restrizione non voluta da un lato, e il contatto prolungato tra le mura di casa con figli iperattivi o coniugi in ansia dall’altro, può far sorgere dell’aggressività in noi verso la situazione.
  3. Negoziazione: si cerca di scendere a patti, e ci si immagina scenari alternativi (“ah, se si fosse fatto in questo o quel modo”).
  4. Rassegnazione: ci si “rassegna” al fatto che bisognerà portare pazienza, osservare le norme igieniche e di comportamento e aspettare che il periodo di quarantena passi.
  5. Accettazione: ovvero il momento in cui si inizierà a convivere in maniera serena e costruttiva con le nuove condizioni.

Ora siamo (nella maggior parte) in una fase di rassegnazione/ accettazione. Siamo tutti a casa a rispettare le norme emanate dal decreto? Bene. Ma precisamente come possiamo trascorrere intere giornate a casa? Cosa possiamo fare per rendere più “piacevoli” questi momenti?

Cosa possiamo fare a casa: consigli utili

Con l’Italia bloccata per il coronavirus, le famiglie devono fare i conti con una situazione distante dalla loro quotidianità: genitori che lavorano a casa e figli che non vanno a scuola. Bisogna stare fermi a casa per giorni interi. È giunto il momento di sfruttare con intelligenza il proprio tempo. In casa ci sono decine di cose da fare: sistemare armadi, leggere libri non ancora sfogliati, guardare film mai visti. Non siamo confinati in un bunker sotterraneo né tanto meno in una trincea militare. Possiamo impiegare bene il nostro tempo e fare qualcosa di costruttivo.

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Lasciamo per qualche ora smartphone e tablet e iniziamo a dedicare tempo a noi stessi, e agli altri. Di seguito alcuni consigli per aiutarvi a gestire meglio l’isolamento e a combattere l’ansia in questi giorni.

  • Guardate e cercate informazioni sul coronavirus con parsimonia: per raccogliere informazioni sul virus potete isolare 3 momenti della giornata per pochi minuti. Mattino, pomeriggio e sera sono più che sufficienti. Fuori da questi 3 momenti, evitare di farvi risucchiare da ricerche ossessive su quello che accade.
  • Leggere e studiare: per gli studenti e universitari che devono preparare qualche esame è questo il momento giusto! Per chi invece non lo dovesse fare, potrebbe approfittare nel dedicarsi ad imparare una nuova lingua o ancora a riscoprire la bellezza della lettura: se non si può viaggiare con il corpo, lo si può fare con l’intelletto.
  • Organizzate la giornata come se lavoraste, con un tabellino di marcia ben preciso: alzatevi, fate colazione e vestitevi come se doveste uscire e poi mettetevi a lavorare al pc o a dedicarvi alle varie attività casalinghe. Questo può aiutare il vostro benessere psichico.
  • Cucinare e imparare nuove ricette: l’importante è che sia una cucina sana e che dia spazio alla vostra creatività! Coinvolgete telefonicamente mamme, nonne, zie e preparate “insieme” qualcosa che potrà allietarvi palato e umore.
  • Fare un po’ di movimento: se anche siamo costretti in casa, è bene non smettere di muoversi: i fortunati potranno sfruttare i tapis roulante le cyclette che avevano riposto in cantina. Gli altri potranno improvvisare, dalle camminate in giardino fino ad esercitarsi con le flessioni, i moderni squat, o l’antica arte dello yoga.

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  • Fai da te e bricolage: se dovete decorare la vostra casa o il vostro giardino questo è il momento giusto per dedicarvi a lavoretti che andranno a stimolare la vostra creatività e perché no anche quella dei vostri bambini.
  • Meditate. Prendere un momento di tempo per praticare la meditazione: ha un effetto calmante e ci permette di essere più centrati su noi stessi. Esistono decine di metodi per meditare, nessuno è giusto e nessuno è sbagliato, un esempio è:
    • la meditazione dinamica, che se svolta nella sua interezza impiega un’ora del nostro tempo. La prima fase dura 10 minuti e prevede una respirazione caotica espirando velocemente con il naso. La seconda fase di catarsi, sempre di 10 minuti, consiste nel liberarsi da qualsiasi freno ballando, urlando, ridendo, piangendo, facendo linguacce. La terza fase, ancora 10 minuti, è caratterizzata da salti ritmici tenendo le braccia alzate e pronunciare il mantra “Hu!” lasciandolo risuonare dentro di voi. Seguono 15 minuti della fase dell’immobilità (mettete un timer all’inizio e quando suona fermatevi nella posizione in cui vi trovate) per percepire tutta l’energia dentro di voi. Si chiude con la danza libera di 15 minuti lasciandovi andare completamente. Questa meditazione dinamica deve essere accompagnata da una musica che faciliti le rispettive fasi e (potete consultare le innumerevoli proposte online).

Come abbiamo visto ci sono molte cose da fare in casa. Basta avere voglia di cimentarsi e di viaggiare con la testa. Solo così possiamo superare questi giorni lontani dalla nostra normalità. Bisogna avere forza e tanta pazienza.

Andrà tutto bene!

#restiamoumani #restiamouniti e #restiamoacasa

18 Mar 2020

CORONAVIRUS: COME PROTEGGERCI A LAVORO. ALCUNE INDICAZIONE DELL’OMS.

CORONAVIRUS: COME PROTEGGERCI A LAVORO. ALCUNE INDICAZIONE DELL’OMS.

La nuova malattia infettiva Coronavirus (“COVID-19”) è attualmente in una fase di espansione sul nostro territorio nazionale e sta sollevando molteplici interrogativi connessi al tema della gestione del personale, oltre che della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Per chi non può fare Smart working, l’Oms ha diffuso alcuni semplici consigli e raccomandazioni da seguire sul posto di lavoro, per evitare l’ulteriore diffusione del Coronavirus. “Tutte le diverse sezioni della nostra società, comprese le aziende e i datori di lavoro, devono avere un ruolo se vogliamo fermare la diffusione di questa malattia”, si legge nel documento dell’Oms, che sottolinea come seguire semplici misure potranno fare la differenza e aiutare a prevenire e contenere la diffusione della virus, anche sul posto di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., ha il dovere di apprestare tutte le misure di sicurezza al fine di garantire l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti; e ai sensi del d.lgs. n. 81/2008, ha la responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione a “rischio biologico”, con la collaborazione del medico competente, ove presente.

Ecco alcune linee guida dell’OMS su come prevenire il Coronavirus nei luoghi lavoro

– Bisogna assicurarsi che i luoghi di lavoro siano puliti e che le superfici di scrivanie e oggetti, come telefoni e tastiere, siano puliti e disinfettati regolarmente. La contaminazione delle superfici è uno dei modi principali con cui il coronavirus si diffonde”, precisa l’Oms. Inoltre, è necessaria promuovere il lavaggio regolare e accurato delle mani, attraverso distributori di disinfettanti, che devono essere regolarmente ricaricati e assicurarsi che il personale abbia sempre la possibilità di lavarsi le mani con acqua e sapone o con soluzioni alcoliche. Sarà cura del responsabile della sicurezza assicurarsi che tali detergenti e disinfettanti non manchino nei bagni e nei lavandini dell’azienda.

– Nella mensa aziendale si evitino carne cruda o poco cotta, frutta o verdura non lavate e le bevande non imbottigliate.

Evitare le strette di mano o e mantenere dai colleghi la distanza di almeno 1 metro. Ovviamente anche in ufficio vale la regola di non toccarsi naso, bocca ed occhi.

I lavoratori siano formati e informati sul comportamento da tenere, in particolare evitino il contatto ravvicinato, ove possibile, con chiunque mostri sintomi di malattie respiratorie come tosse e starnuti, nonché starnutiscano o tossiscano in un fazzoletto o con il gomito flesso, utilizzino una mascherina e gettare i fazzoletti usati in un cestino chiuso immediatamente dopo l’uso e si lavino le mani. Se il coronavirus comincia a diffondersi anche nelle aree in cui si lavora, chiunque abbia tosse o febbre bassa (poco superiore ai 37 gradi) deve rimanere a casa. Dovrebbero lavorare da casa anche chi ha assunto farmaci come il paracetamolo, ibuprofene o aspirina, che possono nascondere i sintomi dell’infezione.

I datori di lavoro dovrebbero cominciare a fare tutte queste cose ora, anche se la Covid-19 non è ancora arrivata nelle comunità in cui si lavora”.

11 Mar 2020

L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE SOCIAL OGGI

L’IMPORTANZA DELLA COMUNICAZIONE SOCIAL OGGI

Da un punto di vista psicosociale nell’ambito delle relazioni sociali, si sviluppano sempre e comunque fenomeni di influenza. Ogni interazione o comunicazione tra gli individui riflette sempre un’influenza, nonostante la maggior parte delle volte questo non sia un processo volontario. Il primo paradigma della pragmatica della comunicazione umana asserisce che è impossibile non comunicare (Watzlawick, 1967). Da questo ne deriva che non è possibile non influenzare (Smiraglia 2009).

Nella rete di questa influenza rientrano anche i fattori di suscettibilità che dal mondo reale a quello virtuale si sono amplificati: si pensi alle catene di sant’Antonio, alle fake news che agiscono facendo leva per le debolezze cognitive degli attori sociali.

Le caratteristiche della contagiosità di un’informazione

Perché la gente crede ad un’informazione? Quali sono le caratteristiche della contagiosità di una informazione? Secondo Berger (2013) sono sei e sono semplici ed in questo momento le ritroviamo protagoniste della comunicazione associata all’epidemia in atto.

  • Valuta sociale – Attraverso le informazioni che creiamo e condividiamo offriamo agli altri una certa immagine di noi stessi. Per capirci meglio: se condividiamo un articolo interessante, altri commenteranno e condivideranno a loro volta. Questo ci renderà agli occhi dei nostri interlocutori come persone informate ed interessanti, nonché aumenterà i nostri contatti e gli apprezzamenti. Per il singolo avere molti apprezzamenti è fonte di benessere, aumenta l’autostima e l’immagine percepita; nel caso di un personaggio pubblico, influencer o azienda, oltre a questo interviene anche un vantaggio oggettivo: più follower e più traffico hanno un risvolto economicamente vantaggioso.
  • Stimoli – Un’informazione sarà tanto più contagiosa quanto riesce ad essere correlata ad aspetti diffusi nel contesto quotidiano. Il nuovo concetto se sarà associato a molti aspetti che coinvolgono quotidianamente la nostra mente (famiglia, cibo, attività quotidiane), si configurerà uno stimolo “memorabile” ossia facilmente recuperabile dal nostro sistema cognitivo. Finché il coronavirus era in Cina il mio quotidiano era meno invaso dalla sua presenza, per quanto potesse interessarmi; ora il virus è entrato nel nostro quotidiano e lo associamo ad ogni aspetto della nostra vita.
  • Reazioni emotive –  Le informazioni che attirano la nostra attenzione e che condividiamo durante la nostra giornata, con più probabilità sono cose che hanno su di noi un forte impatto emozionale. Non importa se siano informazioni positive o negative, quanto argomenti che inneschino l’arousal del soggetto. A volte però, quando si supera il limite di tolleranza, lo stimolo può generare reattanza: il rifiuto di accettare l’informazione. Da qui le posizioni estreme su un tema così delicato come la salute: dal “è solo un’influenza” all’allarme pandemia, rimanere neutrali è realmente difficile.
  • Visibilità pubblica –  Più un meme sarà diffuso e visibile più sarà facile replicarlo. Va da sé che nel momento in cui un argomento è molto dibattuto nella nostra rete, ci saranno molte probabilità che anche noi emuleremo questo comportamento. La conformità ci porta a lasciarci guidare dall’influenza informazionale e ad essere orientati sul comportamento da seguire: se nella nostra rete la maggior parte delle persone sta mettendo in atto comportamenti allarmistici saremo portati a replicarli o viceversa.
  • Valore pratico –  I contenuti che più hanno presa nella massa sono quelli che possono avere un riscontro pratico sui nostri interlocutori ed essere percepiti come un “comportamento altruistico”, ancora meglio se vissuto come disinteressato. Istruzioni per l’uso, sintesi, schematizzazioni, aggiornamenti e tutto quello che abbia un risvolto in apparenza utile per i nostri interlocutori sarà molto più virale di un approfondimento teorico o di qualcosa che non possiamo “spenderci” in termini di comportamento altruistico.
  • Storie – Le persone amano raccontare ed ascoltare le storie. Se un’informazione riesce ad inserirsi in una vera e propria storia, con tutte le caratteristiche che un buon racconto richiede allora aumentano proporzionalmente le sue potenzialità di contagio: ad esempio, adattare la storia al pubblico rendendola qualcosa di personale e familiare, utilizzare dettagli che facilitino l’immaginazione di chi ascolta, caricare emotivamente la narrazione, creare protagonisti ed antagonisti (nel caso “inventare un nemico”), utilizzare il più possibile stereotipi diffusi che facilitino la comprensione a vari livelli. Non ci basta sapere che c’è un nuovo caso, vogliamo sapere con precisione la sua storia. Ci troviamo così a fare la caccia all’untore, a mappare la vita e le abitudini dei contagiati, a cercare dettagli sulle vite personali degli infelici protagonisti di questa vicenda.

L’utilizzo dei social oggi: aspetti positivi

L’utilizzo dei social in momenti come quello che stiamo vivendo ora può avere anche un risvolto positivo. In queste ore drammatiche, infatti, viene sottolineata l’importanza della comunicazione come leva di gestione della emergenza attraverso una corretta informazione dell’opinione pubblica. Campagne di informazione e di sensibilizzazione sono trasmesse su tutti i canali.

Secondo una recente analisi Facebook e Youtube evidenziano un forte utilizzo per finalità informative e livelli di visualizzazioni molto elevati mentre su Twitter è prevalente il dibattito di commenti (spesso polemici) di giornalisti ed Instagram svolge un ruolo informativo piuttosto marginale sulla crisi in corso.

Inoltre, di fronte al crescere di fake news e teorie infondate sull’epidemia di coronavirus, i social network e le grandi aziende tecnologiche corrono ai ripari, per contenere gli effetti dannosi sulla popolazione. Obiettivo: ripulire la piazza da cattiva informazione e indirizzare gli utenti a fonti affidabili.

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  • Facebook e Instagram: rimandano gli utenti che cercano informazioni sul coronavirs a un pop-up educativo sull’epidemia, collegato al sito dell’Organizzazione mondiale della sanità e, in Italia, al ministero della Salute. Le due piattaforme hanno messo un freno agli annunci e alle fake news sul coronavius rimuovendo “i contenuti con false affermazioni o teorie del complotto, che sono state contrassegnate da importanti organizzazioni sanitarie globali e autorità sanitarie locali e potrebbero causare danni alle persone che ci credono”.
  • WhatsApp: qui la situazione è diversa: un’inchiesta del Washington Post ha dimostrato come la crittografia delle conversazioni renda impossibile arginare la divulgazione di false notizie nei gruppi.
  • Twitter: reindirizza gli utenti che effettuano una ricerca inerente al coronavirus a una pagina con dati raccolti da organizzazioni di sanità pubblica e fonti di notizie verificate.
  • Google: Big G ha agito su due fronti. Da un lato ha offerto, ai suoi utenti di G Suite, gli strumenti necessari per effettuare lo smart working da casa, dall’altro lato ha agito su YouTube. Sulla piattaforma Google ha aggiunto, all’inizio dei suoi risultati di ricerca, un collegamento alla pagina dell’Oms dedicata all’epidemia in corso. Inoltre ha fatto lavorare a pieno regime i suoi algoritmi, in modo che premino i video di fonti attendibili a scapito di quelli di natura complottistica e cospiratrice.
  • Microsoft: Il colosso di Redmond ha offerto sei mesi di prova gratuita dei suoi strumenti per lavorare a distanza. In Italia il gruppo fa parte del pool di aziende che sta offrendo sistemi digitali a supporto delle popolazioni confinate nella zona rossa, all’interno del programma di “solidarietà digitale” voluto dal governo.

Un ulteriore aspetto positivo dell’utilizzo dei social oggi non riguarda solo informare la gente su ciò che bisogna fare o non fare. Grazie all’impatto che ai giorni d’oggi hanno gli influencer, si può utilizzare un social come Instagram per divulgare un appello alla solidarietà. Sono tante le aziende che hanno risposto all’appello “Solidarietà digitale” lanciato dal Ministero per l’Innovazione tecnologica e la digitalizzazione, mettendo a disposizione, gratuitamente, i propri servizi. Ma non solo: qualche giorno fa il web ha dato una grande prova di solidarietà: gli utenti, rispondendo all’ appello lanciato da Chiara Ferragni e Fedez, subito seguiti da altri personaggi pubblici, hanno raccolto 3 milioni di euro da donare all’Ospedale San Raffaele. E da quel momento sono partite campagne di raccolta fondi per tutti gli ospedali d’Italia.

Ma non solo, i personaggi più “social” stanno dando il loro buon esempio lanciando messaggi sulle norme da seguire e soprattutto video in cui spingono tutti i cittadini a stare a casa, tanto da lanciare l’ hashtag #iorestoacasa. Ricordiamoci che se la massa segue un comportamento corretto, il singolo (anche quello più restio ad attuare tale comportamento) tenderà ad uniformarsi.

È questo il vero potere (positivo) dei social: il potere della condivisione che in momenti come quello che stiamo vivendo permette di informarsi sulle giuste misure da prendere e permette di attuare il comportamento più giusto per la propria salute e per quella degli altri.

#restiamouniti e #restiamoacasa

11 Mar 2020

Cos’è lo smart working?

Cos’è lo smart working?

Chiuse le università, sospesi gli eventi pubblici, rinviate le partite di Serie A: l’emergenza Coronavirus  paralizza la società, ma non il lavoro, che laddove è possibile, prosegue da casa. Sono molte le aziende che stanno ricorrendo alla pratica dello smart working, ma chiariamo meglio di cosa si tratta.


Lo smart working è una modalità già molto utilizzata all’estero, ma che negli ultimi anni ha visto un netto aumento anche in Italia. Sempre più aziende hanno infatti abbracciato questa forma di lavoro flessibile che permette di migliorare la qualità della vita del dipendente (soprattutto per i pendolari) e di risparmiare sui consumi e sulle esigenze di spazio delle imprese.

Secondo la Legge 81/2017 il lavoro agile (in inglese smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e, senza una postazione fissa, in parte all’esterno entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa e che gli incentivi fiscali e contributivi eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile. Lo stipendio e il trattamento normativo del lavoratore agile fanno riferimento al contratto collettivo e, quindi, non a quello aziendale.

VANTAGGI SMART WORKING

I vantaggi ottenibili dall’introduzione dello Smart Working da parte delle aziende e dei lavoratori sono rilevanti e si possono misurare in termini di miglioramento della produttività, riduzione dell’assenteismo e riduzione dei costi per gli spazi fisici.

Utilizzando le evidenze raccolte dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano attraverso survey e casi pilota, si può stimare l’incremento di produttività per un lavoratore derivante dall’adozione di un modello “maturo” di Smart Working nell’ordine del 15%.

I benefici, tuttavia, non sono soltanto per le aziende. Altrettanto concreti sono quelli per i lavoratori:

  • riduzione dei tempi e costi di trasferimento;

  • miglioramento del work-life balance;

  • aumento della motivazione e della soddisfazione.

Lo Smart Working, infine, consente di produrre benefici misurabili anche per l’ambiente ad esempio in termini di:

  • riduzione delle emissioni di CO2;
  • riduzione del traffico;
  • migliore utilizzo dei trasporti pubblici.

COME RICHIEDERE L’ACCESSO ALLO SMART WORKING?

Con un nuovo Decreto emanato l’1 Marzo 2020 in tema di contenimento e gestione dell’emergenza Coronavirus, il Presidente del Consiglio dei ministri interviene anche sulle modalità di accesso allo smart working, semplificando la procedura di richiesta. Il ministero del lavoro fornisce un manuale per l’utente per l’accesso allo Smart Working in cui si definisce il lavoro agile o smart working una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e al contempo favorire la crescita della sua produttività.

Questa definizione di smart working, che si rifà alla Legge n. 81 del 2017, prevede la volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto, come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone. Le aziende intenzionate a sottoscrivere gli accordi individuali di smart working possono procedere alla richiesta accedendo, tramite SPID o i dati di registrazione, alla piattaforma messa a disposizione dal Ministero del Lavoro in cui è possibile inviare comunicazioni sia in modalità singola che massiva. Esiste inoltre la possibilità di modificare e annullare, sia singolarmente che massivamente, comunicazioni precedentemente inserite. L’accordo individuale prevede l’inserimento dei dati del datore di lavoro, del lavoratore, della tipologia di lavoro agile (tempo determinato o indeterminato) e della sua durata. Sarà, inoltre, possibile modificare i dati già inseriti a sistema o procedere all’annullamento dell’invio.

04 Mar 2020

IL GASLIGHTING

IL GASLIGHTING

Il gaslighting è una tecnica con cui una persona o un gruppo di persone cercano di avere più potere. Per farlo si sceglie una vittima e si cerca di manipolarla, tanto da portarla a dubitare della sua realtà.

Il gaslighting è lento, quindi la vittima non si rende conto di essere sottoposta a un lavaggio del cervello. Ad esempio, nel film Gaslight (da cui deriva il termine), un uomo manipola sua moglie così tanto che lei pensa di aver perso la testa. Le persone che usano questa tecnica di manipolazione mentale distorcono volontariamente le informazioni per affermarsi o per mettere in dubbio la salute mentale della vittima, la sua memoria o la sua percezione della realtà.

I processi utilizzati dal gaslighter sono i seguenti:

  • Dicono bugie senza alcun tipo di vergogna: Qualcuno ti dice, ad esempio, una bugia. Sai benissimo che si tratta di una bugia. Questa bugia ti viene comunicata con un’aria molto seria. Perché è così palese? Questo è il primo passo, è la base del gaslighting. Una volta che ti è stata detta una bugia enorme, non puoi essere sicuro di nulla, soprattutto se in seguito ti viene detta la verità. L’obiettivo? Destabilizzare e disturbare.
  • Negano di aver detto qualcosa, anche se ne hai le prove: Sai che ti hanno detto qualcosa e sei certo di averlo sentito. Ma quando ricordi loro ciò che hanno detto, negano ancora e ancora, all’infinito. Questo ti porta a mettere in discussione i fatti e a dubitare di te stesso: forse è vero che non l’hanno mai detto? Più lo fanno, più dubiti di te stesso, della tua realtà, iniziando così ad accettare la loro.
  • Usano ciò che ti è vicino e caro come mezzo per raggiungerti: Sanno quanto siano importanti i tuoi figli e quanto sia importante la tua identità per te, ed è proprio lì che inizieranno ad attaccarti. Ad esempio, se hai figli, ti diranno che non dovresti averne, o che sarebbe meglio se non avessi quei tratti negativi che ti caratterizzano. In altre parole, le persone che si servono gaslighting attaccano le basi del tuo essere.
  • Ti portano all’usura: Questa è uno degli aspetti più insidiosi del gaslighting: si fa gradualmente, con il tempo. Una bugia qui, una bugia lì, un commento tagliente ogni volta… E le manipolazioni iniziano a creare dei dubbi in te. Anche le persone più intelligenti e più consapevoli possono essere intrappolate nel gaslighting.
  • Le loro azioni non seguono le loro parole: Quando si ha a che fare con una persona che pratica il gaslighting, è meglio tener conto delle loro azioni piuttosto che delle loro parole. Le loro parole non hanno significato, sono solo parole. Il problema sta, infatti, nelle loro azioni (cosa fanno o non fanno).
  • Ti offrono rinforzi positivi per manipolarti: La persona che ti manipola ieri ti ha detto che sei inutile e che non servi a niente, ma oggi si congratula con te per qualcosa che hai fatto. Questo aggiunge un senso di disagio perché penserai: “bene, finalmente le cose non vanno poi così male! “. È una tecnica sottile e pensata nel dettaglio per destabilizzarti e, ancora una volta, farti dubitare della tua realtà. Stai bene attento a ciò per cui sei stato elogiato: questo è probabilmente qualcosa che serve allo scopo del gaslighter.
  • Sanno che la confusione indebolisce le persone: I gaslighter sanno che tutti amano sentirsi stabili ed equilibrati. Il loro obiettivo è distruggere il tuo equilibrio e farti dubitare continuamente.
  • Tentano di mettere le altre persone contro di te: I gaslighter sono maestri nell’arte di manipolare le persone e di servirsi di coloro che ti stanno accanto, per metterli contro di te. Faranno commenti come: “questa persona sa che hai torto”, o “questa persona pensa che tu sia inutile”. Tieni presente che ciò non significa che queste persone abbiano effettivamente detto queste cose: un gaslighter mente costantemente. Usa questa tecnica in modo che tu non sappia a chi rivolgersi né a chi credere. Lo sanno bene: isolarti dagli altri dà loro più potere.
  • Dirà agli altri che stai perdendo la testa: Ecco uno delle tattiche più efficaci del gaslighter: quest’ultimo sa benissimo che, se dice a tutti che hai perso la testa, gli altri probabilmente non ti crederanno quando proverai a giustificarti evocando la sua personalità.
  • Ti dirà che tutti mentono: Dicendoti che tutti mentono (la tua famiglia, i tuoi amici, i media), ti farà dubitare ancora una volta della tua realtà e delle persone che ti circondano. Non hai mai conosciuto qualcuno capace di tanta audacia e sicurezza. Quindi molto probabilmente sta dicendo la verità, giusto? No, è una tecnica manipolatoria che induce le persone a rivolgersi al gaslighter per ottenere le informazioni “giuste”.

È importante conoscere le tecniche utilizzate dai gaslighter per proteggersi al meglio!

Il Gaslighter: personalità e tipologie

La personalità del gaslighter può essere descritta come una sorta di mosaico di disturbi, dei quali nessuno predomina, tranne l’inclinazione a fingere, a mentire, ad ingannare. Ma il gaslighter è molto di più; è senza alcun dubbio una persona disturbata, che ha bisogno di frustrare ed umiliare l’altro per sentirsi qualcuno. Non possedendo delle qualità che lo soddisfino proietta sulla sua vittima) le proprie mancanze e la propria inadeguatezza, riuscendo così a sopravvivere. Il fatto che un gaslighter non sia consapevole del suo comportamento manipolatorio non rende accettabili le sue azioni. Infatti, anche se qualcuno non lo fa consapevolmente, può comunque approfittare dei benefici ottenuti quando la sua vittima diventa dipendente da lui.

Esistono tre tipologie di gaslighter:

  • L’Affascinante: ossia colui che utilizza come strumento manipolativo le lusinghe e le attenzioni, con lo scopo di avvicinare emotivamente la vittima che inizierà totalmente a fidarsi. È difficile da identificare come manipolatore, questo perché all’inizio sembrerà essere l’uomo perfetto. È importante sottolineare che i suoi comportamenti non sono messi in atto per i reali bisogni della compagna ma sono diretti unicamente a soddisfare se stesso e le proprie aspettative. Attraverso l’adulazione tenderà a scusare le sue mancanze e le sue critiche nei confronti della donna.
  • Bravo ragazzo: ovvero colui che apparentemente sembra interessarsi solo ed esclusivamente al bene della vittima, sostenendola ed incoraggiandola. In realtà tutto ciò è fatto per soddisfare le proprie necessità, interponendo i propri bisogni a quelli della compagna, riuscendo comunque a dare un’impressione opposta. Anche questa figura disorienta la vittima poiché si presenta in maniera impeccabile, è innamorato, affidabile e disponibile; la violenza che mette in atto è subdola e difficile da identificare in breve tempo, quindi sarà accondiscendente con la vittima a parole ma, in realtà, metterà in atto comportamenti freddi e scarsa partecipazione.
  • Intimidatore: è antitetico ai manipolatori precedentemente descritti in quanto mancano le caratteristiche di base quali l’attenzione e il romanticismo. Egli esprime esplicitamente la violenza con un’aggressività diretta, con continue critiche e sarcasmo. Rimprovera quindi la vittima apertamente, la maltratta e cerca di farla sentire in colpa in quanto non si comporta come lui vorrebbe. La sua intimidazione si basa sull’apocalisse emotiva, quindi urla, offese, minacce di abbandono, tutto ciò per creare insicurezze nella vittima. Molto spesso approfittano di situazioni in cui la vittima non può controbattere, ad esempio durante una cena con amici, così da rendere il tutto ancora più orribile e terrificante.

Il gaslighting nell’amore

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Molte volte la vittima del manipolatore è proprio la/il partner. La trappola, infatti, scatta quasi sempre all’interno di relazioni o rapporti coniugali malati e si caratterizza da quell’incastro vittima-carnefice nel quale persone gelose o ossessionate dal controllo, isolano il proprio partner, condannandolo a una perenne situazione di depressione e insicurezza. Si tratta di un atteggiamento di manipolazione per confondere la compagna (o il compagno) e portarla a credere ciò che è più conveniente farle credere. Ovviamente, il quadro generale è quello di una relazione tossica e il gaslighting è uno dei suoi principali ingredienti.

Questa forma di violenza psicologica è molto più diffusa di quanto si possa immaginare!

Il problema principale è che viene “somministrata” gradualmente, come un veleno, proprio per fare in modo che la compagna (o il compagno) si abitui e impari a convivere con questi dubbi e sensazioni.

La vittima: caratteristiche principali

Non è solo il gaslighter a possedere determinate caratteristiche di personalità, infatti è necessario che anche la vittima presenti specifiche peculiarità soggettive:

  • scarsa autostima;
  • vissuti di insicurezza;
  • una propensione alla dipendenza e alla fusione;
  • molto empatica, vicina ai bisogni degli altri;
  • teme la solitudine;
  • idealizza facilmente l’altro e non vuole deluderlo;
  • ha bisogno di dare un’immagine di sé sempre positiva e di essere approvata;
  • ha paura dell’apocalisse emotiva e molto spesso è riscontrabile il disturbo dipendente di personalità.

Questi elementi possono favorire l’instaurarsi di una relazione affettiva malata, a tal punto da verificarsi una situazione paradossale: la vittima ormai deumanizzata e spogliata di ogni sua consapevolezza e capacità di resistenza riconosce come suo unico sostegno e fonte di protezione il suo carnefice.

In particolare, sono tre caratteristiche principali della vittima:

  • Paura dell’apocalisse emotiva: paura della vittima di essere preda di una forte esplosione emotiva da parte del gaslighter, caratterizzata da insulti, grida, aggressività manifestata con lancio di oggetti, offese e critiche distruttive.
  • Desiderio fusionale: alcune persone tendono a vivere le relazioni amorose in un modo definito “fusionale”, ovvero il partner viene considerato indispensabile. Si tende a condurre una vita di coppia in cui ogni attività viene svolta insieme all’altro. Inoltre queste persone hanno un forte bisogno di approvazione da parte del partner, arrivando al punto di idealizzarlo. Così la vittima, pur di non contraddire il suo manipolatore, arriva a mettere in discussione la propria percezione della realtà.
  • Eccessiva empatia: è una sorta di trappola in cui la vittima può cadere. Mettersi nei panni dell’altro porterà la persona a sentire profondamente le sofferenze del partner, con il solo desiderio che queste cessino. Caduti in questo vortice inevitabilmente si tenderà a salvaguardare più l’altro che se stessi, quindi è necessario distaccarsi da questo meccanismo per prendersi cura del proprio bene.

Come affrontare il gaslighting?

Proprio per quanto detto finora, è difficile rendersi conto della situazione perversa che si vive; difficilmente si chiede aiuto, cosa ancor più vera se si pensa che diventiamo così dipendenti da isolarci anche a livello sociale per la paura di essere inadeguati o giudicati pazzi.

Difendersi da una “manipolazione” è un compito molto tortuoso e complesso, per questo motivo può rivelarsi efficace farsi aiutare da un professionista. Solo iniziando un percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sé, è possibile liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.

Nel gaslighting, il carnefice perde qualsiasi forma di potere nel momento in cui la vittima si rende conto dell’inganno e della distorsione della realtà a cui è stata sottoposta fino a quel momento.

 

04 Mar 2020

COME RENDERE EFFICACE LA STRATEGIA DI SELEZIONE DEL PERSONALE.

COME RENDERE EFFICACE LA STRATEGIA DI SELEZIONE DEL PERSONALE.

Sono le risorse umane che fanno la differenza ai fini del risultato aziendale: sono le persone con la loro unicità e talento che, combinate con il know-how aziendale, creano quel mix virtuosamente esplosivo che porta l’azienda a competere efficacemente in un mercato agguerrito ed in continua evoluzione. Centinaia di curricula, mucchietti di lettere di presentazione sparsi in ogni dove, lettere di referenze che fanno capolino sulla scrivania come bucaneve sul finire dell’inverno: chi si è ancora ritrovato a cercare un nuovo collaboratore per la propria azienda sa benissimo quanto il processo di ricerca e selezione di personale sia complesso e pieno di ostacoli. Quella di cui si sobbarca un recruiter non è del resto una responsabilità di poco conto, in quanto trovare il dipendente perfetto per un dato posto di lavoro è difficile quanto cruciale: il manager brillante, il collaboratore fedele, il venditore scatenato, sono tutti elementi che possono dare nuovo slancio ad un business.

UN LAVORO DA RECRUITER

Il Recruiter è il responsabile della ricerca e selezione del personale. Ciò include la gestione dell’intero processo di reclutamento, dalla creazione di annunci di lavoro all’assunzione del candidato migliore, con la firma del contratto di lavoro.

Ma cosa fa esattamente un HR recruiter?

Quando un’azienda cerca personale, incarica il Recruiter per trovare candidati idonei a ricoprire le posizioni vacanti. Definite con i responsabili di linea o con il management aziendale le competenze del candidato, il selezionatore redige l’annuncio di lavoro per le posizioni aperte: l’offerta deve essere scritta in modo completo ma sintetico, e contenere sia le competenze e i requisiti che vengono richiesti al candidato ideale, sia ciò che l’azienda può offrire in cambio di queste capacità (stipendio, ambiente di lavoro, benefits, possibilità di carriera ecc.). A questo punto, il Recruiter usa tutte le risorse a sua disposizione per trovare potenziali candidati e attrarre i talenti migliori: ad esempio, diffonde l’offerta sulle piattaforme di ricerca lavoro, la pubblica sui canali social (social recruiting), la mette in evidenza sul sito aziendale – le aziende medio-grandi solitamente hanno una pagina web dedicata alle ricerche in corso e alla raccolta dei CV.  Una volta che l’annuncio di lavoro è stato pubblicato e diffuso, il Recruiter inizia a raccogliere e valutare i curriculum vitae pervenuti: la fase di screening dei CV serve per sfoltire i candidati, selezionando solo coloro che soddisfano i requisiti minimi stabiliti per la posizione aperta. Viene creata quindi una prima rosa di candidati, detta short-list, che il Recruiter provvede a selezionare ulteriormente, tramite uno o più colloqui, a seconda della complessità del ruolo da ricoprire.  Spesso e volentieri un recruiter si ritrova davanti decine e decine di curricula che dipingono altrettanti collaboratori perfetti per il ruolo richiesto: ci sono i titoli di studio richiesti, c’è l’esperienza lavorativa, ci sono tutte le competenze necessarie… se tutto questo bastasse, quello del selezionatore sarebbe un lavoro liscio come l’olio. In quattro e quattr’otto la ricerca e selezione di personale di un’azienda sarebbe infatti conclusa. Ovviamente, però, le cose non stanno così: il candidato migliore non è sempre quello che sfoggia il curriculum vitae perfetto, anzi. Non bastano le competenze tecniche e professionali giuste! Ma allora, come si fa a selezionare il candidato migliore? 

I DIECI PASSI PER ATTRARRE CANDIDATI MIGLIORI

Cornerstone OnDemand, il provider di soluzioni cloud-based per la formazione e il talent management, traccia i 10 passi da compiere per rendere efficace la strategia di selezione del personale.

1. Ragionare da candidato non da selezionatore. È fondamentale “mettersi dall’altra parte”, perché l’esperienza che vivono i candidati è la cosa più importante (anche in termini di immagine dell’azienda). Partire dalla semplicità è sempre vincente: i selezionatori devono rendere il processo facile e immediato.

2. Puntare sul Mobile. Chi cerca lavoro lo fa da tablet o smartphone.

3.Collegare le tattiche ai risultati strategici.
Spesso la selezione si concentra su coprire certe posizioni senza comprendere l’impatto delle performance. Fare un passo indietro per capire come le performance nel processo di selezione siano legate alla strategia aziendale può contribuire a rendere più efficace ed efficiente il recruiting.

4. Coinvolgere i manager di linea e definire le aspettative prima di comporre la short-list.
Per contribuire al successo dell’azienda è importante comprendere pienamente le sue esigenze e per farlo è necessario condividere con i responsabili di linea quali sono le competenze di cui hanno bisogno: questo approccio è win-win per i selezionatori e per l’organizzazione stessa.

5. Sfruttare l’immagine dell’azienda per costruire l’employer branding.
Generalmente i candidati conoscono l’azienda più per i suoi prodotti che per la sua reputazione come datore di lavoro. Per questo punto è strategico convincere il marketing a supportare il recruiting con azioni
mirate: l’obiettivo è accedere a un bacino enorme di candidati a costo quasi zero.

6. Automatizzare le attività ripetitive per dare spazio ad attività ad alto valore.
Molte delle attività svolte dai recruiter sono necessarie, ma non aggiungono alcun valore. Per questo è importante capire cosa può essere automatizzato con la tecnologia.

7. Iniziare la selezione dall’interno.
Bisogna evitare di perdere i talenti già presenti in azienda, anche se la
selezione interna è spesso vista con sospetto dai manager di linea che non vogliono perdere le loro persone migliori.

8. Sapere cosa conta di più.
Bisogna comprendere e trasferire il valore del cambiamento e rimanere fedeli al piano originario, perché per cogliere il primo vero impatto sul business si deve pazientare e, agli inizi, i risultati possono talvolta essere deludenti.

9. Usare la tecnologia per migliorare le performance.
Non esiste il sistema perfetto, e capita spesso di accusare la tecnologia e non chi la usa. Diventando esperti sarà possibile sfruttare al massimo quel che abbiamo e fornire risultati migliori.

10. Essere proattivi, pianificare il futuro, anticipare la mancanza di competenze
I selezionatori sono abituati a lavorare per riempire rapidamente e in modo efficiente una posizione, spesso con poco preavviso. Ai team dedicati all’acquisizione dei talenti è invece richiesto di utilizzare un approccio strategico, cercando di rimanere al passo con i fattori interni ed esterni che influiscono sulle performance.