
Il femminicidio è l’omicidio di donne in nome di sovrastrutture ideologiche di matrice patriarcale. Si riferisce all’uccisione di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, come conseguenza del mancato assoggettamento fisico e psicologico della vittima. Il femminicidio differisce dal generico omicidio, definito come “qualsiasi azione che abbia come conseguenza la morte di un soggetto da parte di un altro soggetto”.
La violenza che non sfocia in un gesto che provochi l’uccisione della vittima può, all’interno del rapporto personale o familiare, essere traumatica e dare l’avvio a disturbi post-traumatici da stress.
Sono state individuate due tipologie di sindromi conseguenti a maltrattamenti:
- La sindrome di Stoccoloma domestica (Domestic Stockholm Syndrome, DDS) – è una condizione psicologica in cui una persona, vittima di un sequestro o di una condizione di restrizione della propria libertà, può manifestare sentimenti positivi nei confronti del proprio abusatore. Nelle donne maltrattate, tale sindrome si realizza come meccanismo di coping per fronteggiare le violenze intime. Le vittime credono che la propria sopravvivenza sia completamente nelle mani del suo abusante e che l’unico modo per sopravvivere sia di essergli fedele.
- La sindrome della donna maltrattata (Battered Woman Syndrome, BWS) – è simile alla sindrome di Stoccolma, ma si iscrive all’interno di un “ciclo della violenza” che si articola in una prima fase di accumulo della tensione, una seconda fase di aggressioni e percosse, ed una terza fase di cosiddetta “luna di miele” (una fase “amorosa” di sollievo, che in realtà amplifica il disagio, creando nella vittima speranze illusorie sul fatto che il partner possa cambiare e la violenza possa cessare).
LE RICADUTE SULLA SALUTE
Le conseguenze sulle donne vittime delle violenze sono devastanti.
Un atto di violenza, fisico, psicologico o sessuale cambia una donna per sempre. Può colpire la sua salute fisica, distruggere la sua salute mentale e provocare danni e sofferenze che porterà con sé per il resto della sua vita. Spesso le vittime riportano:
- lividi e contusioni;
- gravi infortuni;
- problemi ginecologici e riproduttivi;
- gravidanze indesiderate e aborti;
- malattie sessualmente trasmissibili, come l’HIV;
- depressione e ansia;
- disturbi alimentari;
- disturbi del sonno;
- dipendenze da alcol, fumo o droghe.
Nel peggiore dei casi arrivano al suicidio.
Quando la violenza è vissuta nell’infanzia le conseguenze sono ancor più drammatiche e irreversibili.
IL PROFILO DEL FEMMINICIDA
L’aggressore domestico secondo quattro tipologie:
- Il controllatore – colui che teme che il proprio dominio e la propria autorità siano messi in discussione e che pretende un controllo totale sugli altri familiari;
- Il difensore – che non concepisce l’altrui autonomia, vissuta perciò come una minaccia di abbandono, e sceglie quindi donne in condizione di dipendenza;
- Colui che è in cerca di approvazione e deve continuamente ricevere dall’esterno una conferma per la propria autostima, mentre qualsiasi critica scatena una reazione aggressiva;
- L’incorporatore – colui che tende ad un rapporto totalizzante e fusionale con la partner, e la cui violenza è proporzionale alla minaccia reale o alla sensazione di perdita dell’oggetto d’amore vissuta come catastrofica perdita di sé.
Isabella Betsos distingue alcune tipologie di uomo abusante:
- I narcisisti – hanno necessità di continua ammirazione, sono insofferenti alle critiche, indifferenti alle esigenze altrui, risultano inclini a sfruttare gli altri e hanno la tendenza ad attribuire a questi ultimi la responsabilità di quanto di negativo capita loro.
- I soggetti con “disturbo antisociale di personalità”, in passato denominati psicopatici e sociopatici – non riescono a conformarsi né alla legge, per cui compiono atti illegali, né alle norme sociali, per cui attuano comportamenti immorali e manipolativi. Elemento distintivo del disturbo è lo scarso rimorso mostrato per le conseguenze delle proprie azioni. Altre caratteristiche rilevanti sono l’impulsività e l’aggressività.
- Gli individui che presentano un “disturbo borderline di personalità” (DBP) – caratterizzati da repentini cambiamenti di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri, marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri. Possono esperire sensazioni di vuoto interiore, elevata irritabilità e attacchi di collera; vi può essere il ricorso ad alcol e droghe o a comportamenti autolesivi per ridurre la tensione emotiva. Essi presentano, inoltre, relazioni con gli altri tumultuose, intense e coinvolgenti, ma ancora una volta estremamente instabili e caotiche. Non hanno vie di mezzo, sono per il “tutto o nulla”, per cui oscillano rapidamente tra l’idealizzazione dell’altro e la sua svalutazione. In molti casi le due immagini dell’altro, quella “buona” e quella “cattiva,” sono presenti contemporaneamente nella mente del soggetto borderline.
- I perversi narcisisti – allo stesso tempo più controllati e controllori, ma il controllo non è esercitato attraverso la violenza brutale, bensì per mezzo del plagio e della menzogna. Si nutrono dell’energia di quelli che subiscono il loro fascino ed è l’invidia a guidarli nella scelta del partner.
- Le personalità paranoiche – coloro che hanno una visione rigida del mondo in generale, e dei ruoli dell’uomo e della donna in particolare, fino ad essere veri e propri tiranni domestici secondo i quali la donna dev’essere sottomessa, non deve prendere decisioni, né essere autonoma, coltivare interessi, tanto meno frequentare altre persone, magari neppure i familiari. Il loro atteggiamento allontana la partner, cosicché essi si sentono autorizzati a ritenersi nel giusto lamentando il disamore di questa.
Combinando le dimensioni delle caratteristiche di personalità e della gravità delle violenze, si distinguono:
- l’aggressore dominante-narcisista – per il quale la violenza è al servizio del controllo sulla partner al fine di affermare la propria fragile autostima;
- il geloso-dipendente – che utilizza la violenza sempre in funzione del controllo, ma soprattutto nel timore dell’abbandono da parte della compagna;
- gli aggressori antisociali – caratterizzati in realtà da diversi livelli di gravità, ma accomunati dalla caratteristica di praticare la violenza dentro e fuori le mura domestiche, come pattern generale di violazione dei diritti altrui.
IDENTIKIT PSICOLOGICO DELLE VITTIME DI FEMMINICIDIO
Si è osservato come la determinazione familiare e culturale della violenza possa innescare quel meccanismo di “propensione alla vittimizzazione” che le vittime presentano. Tra le dinamiche individuate nella “passività” delle vittime di fronte ad aggressioni anche ripetute, è spesso citato il concetto di “incapacità appresa”, secondo cui chi è ripetutamente esposto a una punizione da cui non ha vie di fuga sviluppa la tendenza a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando tale controllo sarebbe possibile.
Tra i motivi per cui queste donne non sanno sottrarsi alla violenza (che sfocia spesso in femminicidio) c’è quello del mantenimento della credenza che vi sia mancanza di alternative, e gli abusanti lo sanno bene, tant’è vero che l’isolamento e la violenza economica sono forme di abuso abitualmente praticate: in questi casi, scomodare il “masochismo” o parlare di collusione per donne prive di alternative sociali ed economiche è solo aggiungere ingiustizia all’ingiustizia.
Un altro fenomeno che occorre considerare nell’illustrare le dinamiche di comportamento delle vittime di femminicidio è il “legame traumatico”, potente e distruttivo, che è talvolta osservato tra le donne maltrattate e i loro abusanti.
COSA FARE?
In primo luogo, è necessaria la valutazione del rischio; successivamente si agisce sulla riduzione del rischio, facendo leva, quando possibile, sulle possibilità di autoprotezione e sulle risorse della persona. Per capire se questo è attuabile, è necessaria una precoce valutazione degli aspetti dissociativi, che comprometterebbero chiaramente le azioni autoprotettive, rendendo quindi necessario l’allontanamento immediato da casa.
Nei casi in cui questo non avviene, si può iniziare a lavorare con la vittima perché incominci a ritagliare un piccolo spazio fisico e mentale in cui stare senza il persecutore, in cui possa incominciare a riappropriarsi di sé, ad avere dei segreti, piccoli momenti in cui ciò che domina dentro di lei non è la mente dell’altro.
Il percorso procede poi con lo svelamento del gioco relazionale dell’aggressore: la vittima deve poterlo comprendere e pian piano acquisire un punto di vista esterno alla dinamica relazionale che la domina. Grazie a questa presa di coscienza, poi, incominciare il distanziamento emotivo dal persecutore; questo apre alla possibilità di ricominciare a fare scelte autonome.
Una volta costruita l’alleanza, il lavoro psicoterapeutico che segue procede per fasi e obiettivi:
- Ricostruzione della storia personale
- Affrontare le memorie traumatiche
- Elaborazione del lutto
- Ricostruzione di legami affettivi
- Imparare a combattere
- Riconciliarsi con sé stessi.