03 Mar 2021

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE E L’ENTUSIAMO A LAVORO

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE E L’ENTUSIAMO A LAVORO

Il lavoro occupa molte ore della nostra giornata, infatti, se consideriamo le ore da dedicare al sonno e quelle da dedicare al tempo libero, ci renderemmo facilmente conto della sua preponderanza nella nostra vita. Dunque, avere la giusta motivazione a lavoro è fondamentale per condurre una vita felice perché è strettamente correlata alla soddisfazione a livello personale.

Tra i sintomi della mancanza di motivazione possiamo annoverare: la difficoltà nel concentrarsi sul quello che si fa, la scarsa produttività e l’assenza di stimoli. Si tratta di una fase frequente lungo la carriera professionale dei lavoratori, che può essere considerata fisiologica. Le conseguenze di una mancanza di entusiasmo/motivazione a lavoro possono essere molto ampie, ripercuotendosi sull’intera azienda, oltre che sul singolo lavoratore (sulla sua soddisfazione personale).

COS’È LA MOTIVAZIONE A LAVORO

La motivazione a lavoro indica quella spinta interiore, che porta il lavoratore a svolgere la sue mansioni con tutte le risorse fisiche e mentali a sua disposizione per poter raggiungere gli obiettivi prefissati. Questo significa che tanto più questa spinta sarà maggiore, tanto più le mansioni di cui è responsabile saranno svolte nei migliori nei modi. Logicamente, questo porta vantaggi per l’azienda per cui lavora, in termini di produttività e di competitività; inoltre, il successo aziendale, derivante da motivazioni individuali, conduce al miglioramento del benessere generale per i lavoratori, in quanto permette di potenziare variabili individuali, come l’autostima, la sicurezza e i sentimenti legati all’autorealizzazione.

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE?

È importante per il singolo lavoratore affrontare il problema di una carenza di motivazione individualmente, lavorando su sé stesso. Di seguito ci sono quattro consigli per ritrovare la motivazione e l’entusiasmo sul lavoro.

  1. Formulare in modo funzionale gli obiettivi – la mera fissazione degli obiettivi non basta per ritrovare la motivazione perduta, infatti è necessario che questi siano formulati seguendo alcuni requisiti. Essi devono essere: specifici (bisognerebbe inserire quante più specifiche possibile per renderlo estremamente dettagliato); motivanti (non dovrebbe essere troppo facile per il lavoratore raggiungerli, ma allo stesso tempo non dovrebbero essere troppo difficili per non scoraggiarlo in partenza, quindi si deve trovare il giusto equilibrio lungo questo continuum); deve essere espresso in forma positiva; deve essere immaginabile mentalmente e deve essere suddivisibile in sottobiettivi.
  2. Concedersi una vacanza – se il lavoratore ha poche energie e se lo stress percepito supera il livello soglia, è fisiologico non riuscire a mantenere livelli elevati di motivazione ed entusiasmo. Dunque, in questi casi è indispensabile prendersi una pausa dal lavoro, che permetta di staccare completamente per un periodo di tempo, al fine di ricaricare le pile e tornare nuovamente a lavoro con le giuste forze e con il giusto entusiasmo. Se non ci si prende una pausa si può incorrere in patologie molto gravi come la sindrome di burnout.
  3. Implementare premi frequenti – è risaputo che i feedback e i premi per il raggiungimento di determinati obiettivi sono fondamentali per mantenere le motivazioni ad alti livelli. Inoltre, in alcuni studi è apparso chiaramente che i lavoratori che ricevono premi frequenti e immediati manifestino maggior entusiasmo per il proprio lavoro rispetto a chi ha ricevuto premi in ritardo o solo al termine di un determinato progetto.
  4. Aggiornarsi – per ritrovare le motivazioni sul lavoro è utile ampliare le proprie competenze, dunque è importante individuare un ambito pertinente alla propria professione su cui investire.
24 Feb 2021

REINVENTARSI NEL LAVORO

REINVENTARSI NEL LAVORO

Sempre più spesso si sente parlare dell’importanza della flessibilità per reinventarsi nel lavoro. Ci si potrebbe ritrovare in questa necessità per vari motivi, ad esempio: il fallimento dell’azienda, lo stress accumulato, la mancanza di opportunità, il bisogno di mobilità, etc. Tutte queste potrebbero essere delle situazioni che metterebbero una persona dinanzi alla necessità di reinventarsi nel lavoro e quindi di cambiare vita. Questa è una grande sfida che necessita però di un’adeguata preparazione mentale.

Cambiare lavoro può costituire per alcuni una complessa impresa, in quanto, nonostante il proprio mestiere non riesca più a dare soddisfazione e appagamento, si preferisce rimanere nella propria comfort zone, perché si ha paura di ciò che potrebbe accadere in futuro.

 

L’ESPERIENZA SPIACEVOLE DELL’INCERTEZZA

Il tratto distintivo del processo di cambiamento di carriera è l’esperienza emotiva dell’incertezza, sperimentata quando ci si trova nella terra di mezzo, tra un passato e un futuro ancora da scrivere. Questa condizione è sicuramente poco piacevole e le persone che la attraversano si sentono smarrite, perdono l’orientamento e oscillano tra il “tenere duro” e il “lasciarsi andare”. Ma questa fase di incertezza è fondamentale, perché permette di elaborare molte emozioni complesse e desideri contrastanti e, in ultima analisi, impedisce di fermarsi prematuramente.

Alcune ricerche suggeriscono di approfittare di questo periodo di mezzo sia per fare un lavoro interiore, utile per comprendere cosa in realtà vogliamo e cosa dobbiamo fare per raggiungerlo, sia per ricostituire le riserve di attenzione e di motivazione.

L’IMPORTANZA DEL CONFRONTO

Quando si è nel pieno della confusione e dell’incertezza, molti pensano che prima o poi arrivi un’intuizione improvvisa che risolva questa situazione emotivamente difficile. L’autoriflessione è sicuramente un passo importante, ma se non è accompagnata da una sperimentazione attiva della realtà può portare a restare bloccati nel regno dei sogni.

L’autoriflessione, però, è una pratica che può dare migliori risultati quando fatta ad alta voce negli scambi sociali, con altre persone che possono comprendere, provare empatia, leggere il linguaggio non verbale e rispondere.  Il semplice atto di creare e raccontare una storia su ciò che si vuole fare o sul perché si vuole un cambiamento può chiarire il proprio pensiero e può spingere in avanti, impegnandosi a fare un cambiamento.

Con il lockdown forzato, queste possibilità sono ridotte, ma con un po’ di inventiva e di organizzazione si può risolvere, ad esempio programmare delle passeggiate seguendo le regole di distanziamento sociale oppure creare un gruppo su Facebook o anche degli appuntamenti periodici su Zoom.

CONCLUSIONI

Reinventarsi dal punto di vista lavorativo è importante perché se si va avanti svolgendo una mansione che non piace o per la quale si è perso interesse nel tempo, non si fa altro che perdere altro tempo. Ricominciare fa paura, ma trovare la forza per farlo è il primo gradino nella scala che condurrà alla felicità. Quello che si può fare è partire dalle passioni, dal cercare di capire come trasformarle in un lavoro vero e proprio, che si vorrebbe fare per tutta la vita.

Infine, nonostante il periodo di difficoltà causato dal Covid, c’è da ricordarsi un punto critico: il momento di mettersi in gioco è adesso, ma fatelo interagendo e parlando con altri, non fate affidamento solo ed esclusivamente sull’autoriflessione.

 

24 Feb 2021

LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

La Sindrome dell’Impostore descrive una condizione psicologica tipica delle persone di successo, convinte di non meritare il successo ottenuto nella propria carriera. Essa è caratterizzata dall’incapacità di interiorizzare i propri successi e dal terrore persistente di essere esposti in quanto “impostori”.

Il successo ottenuto si pensa che sia collegato a fattori come la fortuna o il tempismo, oppure ritenuto frutto di un inganno o della sopravvalutazione degli altri. Inoltre, uno studio pubblicato su International Journal of Behavioural Science ha affermato che a soffrirne è circa il 70% delle persone, soprattutto donne. Inoltre, numerosi studi hanno individuato la prevalenza del fenomeno in coloro che hanno un’istruzione superiore, come studenti e docenti universitari.

CARATTERISTICHE DELLA PERSONA CHE SOFFRE DELLA SINDROME DELL’IMPOSTORE

Le caratteristiche chiave che permettono di individuare una persona che soffre di questa patologia sono le seguenti:

  • Non gode mai i risultati raggiunti.
  • Vive sempre con la paura di fallire;
  • Non ascolta i suoi bisogni e interessi, aderendo eccessivamente alle aspettative di altri;
  • Tende a rimuginare sulle cose, rischiando di procrastinare attività o rischiando di non accettarle per la paura di non essere all’altezza – a questo proposito, coloro che sono colpiti da questa problematica hanno pensieri ossessivi sulle eventuali conseguenze future, che causano la costante preoccupazione di voler dimostrare il proprio valore;
  • Si confronta costantemente con gli altri, che vede a sua volta come più bravi e più preparati;
  • Si giudica e si auto-punisce, mentre tende a vedere con uno sguardo più benevolo il prossimo;
  • Dà una importanza eccessiva a quello che pensano gli altri;
  • Non accetta i propri limiti;
  • Odia delegare perché cerca di avere tutto sotto il suo controllo, preferendo fare tutto in prima persona;
  • Ha una mania legata alla perfezione e si auto-pone obiettivi troppo ambiziosi.

Chi soffre della Sindrome dell’Impostore entra in un circolo vizioso in cui sente di non meritare i complimenti e i vari riconoscimenti, dunque aumenta il controllo e la perfezione sul lavoro, stabilendo obiettivi molto ambiziosi, molto difficili da raggiungere. Tutto questo porta il soggetto a provare ansia, sensi di colpa e un senso di inadeguatezza che alla fine farà aumentare anche la percezione di non essere all’altezza e quindi di non meritare il successo.

COME GESTIRE LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

Quelli che seguono sono solo dei suggerimenti atti a cercare di porre rimedio a questo circolo vizioso, per arrivare a godere appieno dei propri successi.

  1. Evitare il confronto con gli altri – per cercare di uscire da questa sindrome è necessario evitare di confrontarsi continuamente con gli altri, infatti in questi ultimi si tende a vedere dei meriti che però non ci si riconosce, dunque si va a creare un disequilibrio che porta a un’ulteriore auto-svalutazione. Questo accade perché conosciamo bene noi stessi, ma conosciamo molto poco gli altri, in quanto sappiamo le nostre ansie, paure e dubbi, ma degli altri conosciamo solo ciò che mostrano e come desiderano voler apparire ai nostri occhi.
  2. Dimenticarsi della “perfezione” – non bisognerebbe essere ossessionati dalla voglia di perfezione perché questo porta solo a scontrarci con noi stessi. Il segreto è fissare obiettivi che siano realistici, ma allo stesso tempo stimolanti, infatti non si può rincorrere qualcosa di irraggiungibile. Nessuno è perfetto.
  3. Dare importanza alle proprie valutazioni – come accennato prima, solitamente diamo troppa importanza a ciò che pensano gli altri, mettendo in secondo piano i nostri pensieri e le nostre valutazioni. Si dovrebbe imparare ad accontentarsi delle proprie valutazioni, senza cercare continue conferme esterne. Il continuo rivolgersi verso l’esterno per chiedere pareri e valutazioni non porterà sempre e in ogni caso dei feedback positivi, perché è impossibile che a tutti piaccia quella specifica performance.
  4. Esporre le problematiche ai propri conoscenti e, se necessario, chiedere aiuto – condividere le problematiche con qualcuno di vicino, come amici o parenti, può alleggerire il peso da sostenere per l’individuo e questo può produrre delle rassicurazioni che potrebbero far migliorare la situazione. Se tutto questo non dovesse bastare, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad un professionista, un esperto che potrà ideare un percorso terapeutico adeguato.
17 Feb 2021

PSICOLOGIA DEL COLORE: lo studio degli effetti dei colori

PSICOLOGIA DEL COLORE: lo studio degli effetti dei colori

I colori in psicologia hanno sempre avuto un forte valore simbolico, che dipende in parte dalle sensazioni psichiche immediate, ma anche dal nostro vissuto e dal nostro carattere. Infatti, il significato dei colori a livello psicologico riguarda il campo delle emozioni, delle esperienze personali e passate.

Ogni colore stimola la mente umana producendo un determinato stato d’animo; in psicologia esiste una Teoria secondo la quale i colori assumono un significato e ci possono essere utili nella quotidianità.

Probabilmente è proprio il colore l’elemento che meglio rappresenta lo scambio di un messaggio dotato di significato: siamo noi, ad esempio, che nel momento in cui decidiamo di indossare una determinata tonalità di colori stiamo dicendo al mondo come ci sentiamo e che emozioni stiamo vivendo. Chi ci guarda recepisce questo messaggio, anche se inconsapevolmente. Proprio per questo, anche con i colori possiamo creare dei malintesi e trasmettere, involontariamente, un messaggio sbagliato a chi ci sta intorno.

MA, COS’È IL COLORE?

I colori non esistono in natura così come noi li vediamo.

È l’occhio umano che assorbe dalla luce una radiazione elettromagnetica e, a seconda della lunghezza d’onda e dell’intensità di questa radiazione, i fotorecettori della retina inviano un determinato stimolo al cervello che si trasforma nella percezione di un particolare colore.

Si distinguono colori primari, secondari e neutri, e sono varie le influenze dettate dalle sovrapposizioni:

  • Colori PrimariBlu, Rosso, Giallo;
  • Colori SecondariArancione (giallo con rosso), Viola/Lilla (blu con rosso), Verde (giallo con blu);
  • Colori NeutriBianco e Nero;
  • Colori Complementari – colori che uniti con un colore primario creano la Luce Bianca (arancione per il blu, viola per il giallo, verde per il rosso).

Dopo aver scoperto che ogni tinta innesca uno stimolo diverso nel cervello umano, molti studiosi si sono interessati alla “cromologia”, cioè l’analisi del colore e i suoi effetti sulle diverse aree del cervello.

I COLORI DELLE EMOZIONI

Quando si parla di psicologia dei colori si parla soprattutto di emozioni, infatti il significato dei colori è un linguaggio che cerca di evocare in noi sensazioni di un determinato tipo.

La psicologia del colore nasce perché i colori possono stimolare la mente umana provocando delle emozioni particolari. Ogni colore ha infatti il suo significato e la sua connessione precisa con una parte del cervello che determina emozioni o stati d’animo specifici. Essa è usata a livello di neuromarketing per creare ambienti, pubblicità e cultura in grado di impattare sulle nostre emozioni.

La psicologia dei colori viene usata anche come terapia per determinati disturbi – è la cosiddetta Cromoterapia. Essa s’inserisce tra le medicine alternative ed è definita come terapia integrativa, di supporto alle altre medicine più invasive. Il colore viene visto come arte, forma, vita, terapia.

La psicologia dei colori viene usata anche per alcuni test di personalità durante i test di selezione lavorativi. Per esempio, il Test Dei Colori di Lüscher è un test, inventato nel 1947, che permette di analizzare, con metodo scientifico, lo stato psicofisico di una persona in base alla sua preferenza per i colori. Secondo la psicologia autoregolativa, lo scopo della terapia è quello di individuare tali disturbi e di ripristinare l’armonia perduta.

Questo test è molto utile per studiare più a fondo la personalità degli adulti, ma anche e soprattutto per analizzare i bambini che non hanno molta famigliarità con la scrittura o il disegno, dal momento che permette di poter studiare anche gli scarabocchi basandosi sulla scelta dei colori.

Secondo Lüscher, ogni colore ha un significato universale ed obiettivo, cioè la percezione cromatica è esattamente la stessa per tutti e tutte le culture; ciò che varia nella percezione del colore è la valutazione data dal singolo alla percezione stessa, il suo accettarla o rifiutarla: la percezione potrà dunque risultare, a seconda della valutazione data dal soggetto, simpatica, indifferente o antipatica.

SIMBOLOGIA E SIGNIFICATO DEI COLORI

Così come nelle tradizioni del passato, anche nella più moderna cromoterapia i colori sono associati ad alcune proprietà particolari. Dunque, in questo paragrafo, vedremo come la Simbologia dei Colori, unita alla Psicologia dei Colori, possa spiegare la nostra personalità a partire dagli stimoli delle onde elettromagnetiche che, attraverso i nostri occhi, stimolano diverse aree del cervello:

  • Il BLU ha effetto calmante, tranquillizzante e rinfrescante, e favorisce la meditazione e il fluire dell’energia

– a livello economico, è utilizzato perché non è invasivo e porta alla produttività;

– a livello psicologico, è associato alla spiritualità ed alla sensibilità, infatti chi ama questo colore è generalmente una persona tranquilla, riservata e meditativa, che preferisce contesti esclusivi ed eleganti; secondo la Psicologia del Colore, questa tinta rilassa perché comunica un senso di pace, stabilità e armonia; è anche il colore delle relazioni, della fedeltà a diversi gradi, che designa un rapporto stabile e privo di tensioni, caratterizzato da sentimenti profondi;

– la Cromoterapia utilizza il blu nelle pareti per far dimenticare lo stress e tutti i problemi ad esso annessi come ansia e insonnia.

  • Il ROSSO è tradizionalmente associato all’amore, è anche il colore del calore e dell’energia; è il simbolo del fuoco, del sangue e dell’eccitazione sessuale

– a livello psicologico, è collegato alla forza, al potere e all’attività nervosa e vitale; è il colore della passione e del desiderio sotto tutte le sue forme, non solo il desiderio amoroso ma anche quello economico o del successo; è una spinta all’azione verso un cambiamento rivoluzionario; trasmette sicurezza ed è indossato per lo più da chi vuole essere al centro dell’attenzione;

– il rosso tende anche ad identificare il presente a livello temporale, è tipico di una persona che vive nel qui e nell’ora;

– per la Cromoterapia, una parete dipinta di rosso può incrementare la pressione del sangue ed accelerare il polso, sembra essere utile contro depressione, asma, tosse e impotenza;

– a livello di marketing, viene usato per attirare l’attenzione, comunicare una sensazione di urgenza o pericolo o per stimolare l’impulsività.

  • Il GIALLO trasmette felicità e buon umore, raffigura la parte intellettuale del cervello

– nella Psicologia del Colore, è considerato un colore molto forte; è luminoso ed evocativo e nella gamma dei colori primari è quello che richiama più leggerezza; indica una personalità aperta, rilassata e potente, è il colore del sole, dell’estate, della felicità momentanea; è il colore del sole e per questo è simbolo di vitalità, di ottimismo e di rinascita, chi lo indossa ha una personalità forte e ama stare in mezzo alla gente, è un vortice di energia, ma non costante come chi preferisce il rosso; il giallo è simbolo di cambiamento, a volte anche in modo superficiale, il soggetto che preferisce il giallo non si riposa mai ma è sempre in movimento verso nuove ambizioni;

– a livello temporale, il giallo rappresenta il futuro, un’attesa di qualcosa o di una felicità più grande, o la risoluzione di un conflitto interno;

– secondo i Cromatisti, funge d’aiuto allo studio per favorire la concentrazione, infonde felicità, gioia e protezione;

– a livello gastrico, il giallo simboleggia l’eliminazione delle tossine;

– nel marketing viene usato per identificare l’ottimismo e la giovinezza, ma è un colore che può generare pesantezza e sensazioni negative a lungo andare, ciò lo porta ad essere considerato un colore ambivalente.

  • L’ARANCIONE unisce i due colori dell’energia, è il colore della pace interiore e della trasformazione e viene spesso utilizzato dal buddismo

– a livello psicologico, questo colore trasmette sensazioni positive, di serenità e ottimismo; vestirsi con questa tonalità indica entusiasmo per la vita, allegria e socievolezza;

– a livello di marketing viene utilizzato per indurre all’acquisto, soprattutto nelle sfumature più tenui perché sennò potrebbe risultare troppo pesante.

  • Il VIOLA o LILLA tende in qualche modo a unire la calma e sottomissione del blu all’impulsività del rosso, creando una fusione, un’identificazione del soggetto con l’oggetto

– a livello psicologico, è il colore della magia; l’unione di rosso e blu crea una forza intuitiva e fantastica che può portare il soggetto a pensare che i suoi desideri possano essere realizzati; i giovanissimi preferiscono questo colore, proprio perché ciò significa credere ancora che il mondo sia magico e che tutto sia possibile; è un colore che può portare ispirazione ma anche ambivalenza, dovuto proprio a queste spinte di forza e di calma insite nella sua composizione;

– il ROSA, una sua sfumatura, è tradizionalmente associato alla femminilità, alla dolcezza e al romanticismo; le donne adulte ricorrono a questo colore proprio per recuperare questa dimensione di purezza e ingenuità tipica dell’infanzia, che in qualche modo le fa sentire al sicuro, è una scelta che indica la volontà di rimarcare la propria femminilità.

  • Il VERDE simboleggia l’armonia, la natura, l’equilibrio e la speranza

– in base alla Cromoterapia, sembra agire a livello del sistema nervoso calmando emicrania e patologie ai nervi; contribuisce a diffondere armonia e calma, ed è molto utile per chi soffre di ansia e depressione; è il colore della natura e trasmette sensazioni di pace, è un inno alla vita, alla rinascita;

– a livello psicologico è la resistenza al cambiamento, mentre a livello fisiologico è la tensione elastica; chi predilige il verde tende ad avere opinioni chiare e decise mettendosi solitamente su un piedistallo, è una persona fiera ed equilibrata, che riesce a creare una barriera verso gli stimoli esterni in modo tale da controllarli e dirigerli; in questo senso il verde ricerca condizioni di vita migliori sia a livello di salute che pratiche.

  • Il BIANCO è il colore della purezza, dell’innocenza e della sensibilità, è associato al bon ton e all’eleganza semplice ma raffinata; in un ambiente apporta sensazioni di pace, guarigione e tranquillità; rappresenta l’inizio di qualcosa, una pagina bianca su cui iniziare a scrivere una nuova storia.
  • Il NERO, come il bianco, è una tinta totalizzante, è un colore forte e autoritario, un must have perfetto per ogni situazione, che non impone di dover scegliere; in un certo senso è un colore che non prende posizione, che non racconta troppo di chi lo indossa; è il classico colore formale dell’eleganza, è minimalista ma fondamentalmente misterioso; inoltre, può rappresentare la fine, la negazione del colore, e quindi la morte, la perdita; proprio per questo ha sempre avuto una connotazione negativa e malvagia per la sua caratteristica fisica di assorbire la luce al 100% e di intrappolarla.
  • Anche il GRIGIO è un colore neutro; è un colore privo di stimoli e di tendenze psicologiche; in questo senso, chi sceglie questo colore normalmente non vuole compromessi, responsabilità o coinvolgimenti; a livello psicologico è il colore dell’immobilità della giustificazione, senza prendere realmente parte a nessun evento o influenza esterna.

Diversi studi hanno determinato che il colore più apprezzato è il BLU.

17 Feb 2021

WORK ENGAGEMENT

WORK ENGAGEMENT

Maslach eLeiter(1997) considerano il “Work Engagement” e il “Burnout” due estremi dello stesso continuum. Il burnout è una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e scarsa realizzazione professionale. Invece, l’engagement si manifesta attraverso il coinvolgimento, l’impegno, l’efficienza e l’elevata energia e quindi si identifica con l’assenza di burnout.

Work engagement è un concetto associato a uno stato di benessere e a una relazione positiva tra le persone e il proprio lavoro. Con questa espressione si fa riferimento alla propensione del lavoratore a essere pienamente presente nell’organizzazione e alla disponibilità degli individui ad agire in modo da seguire gli interessi della struttura per la quale si lavora sentendosi attratti, dediti ed entusiasti. Il lavoratore, dunque, prova uno stretto legame affettivo nei confronti delle sue attività lavorative e si sente capace di occuparsi delle richieste del suo lavoro.

COME MISURARE IL WORK ENGAGEMENT

La principale scala per misurarlo è la UWES (Utrecht Work Engagement Scale). Il coinvolgimento lavorativo è caratterizzato da tre aspetti: vigore, dedizione e assorbimento.

  • Il vigore consiste nell’impiego di alti livelli di energia e di resilienza mentale durante l’attività lavorativa, essenziali per incanalare ogni sforzo anche di fronte ad eventuali difficoltà.
  • La dedizione è il grado di coinvolgimento nel proprio lavoro, che si esprime in significatività, entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida.
  • L’assorbimento, infine, rappresenta la condizione di pieno coinvolgimento nel proprio lavoro, dal quale ci si distacca malvolentieri.

Esistono diverse versioni di questo questionario, con un numero variabile di item, a partire da quella originale che ne presentava 24.

Uno strumento alternativo per la misurazione del work engagement è l’OLBI (Oldenburg Burnout Inventory), utilizzato primariamente per la misurazione del burnout e consiste in due dimensioni: esaurimento-vigore e cinismo-dedizione.

CONSEGUENZE DEL WORK ENGAGEMENT

Il work engagement strettamente correlato a una serie di esiti positivi, tra cui una performance di livello elevato. I lavoratori con alti livelli di engagement conseguono prestazioni superiori grazie alla disponibilità di maggiori risorse personali e lavorative, soprattutto nelle situazioni ad alta richiesta lavorativa. Avendo prestazioni migliori, tali lavoratori ottengono risultati più importanti sia nella performance legate alla propria mansione, che in quelle extra-role (compiti che sono fuori dai confini formali del proprio lavoro). Questi lavoratori investono le proprie energie con maggiore intensità e tenacia rispetto agli altri e sono più propensi a mettere in atto comportamenti di cittadinanza organizzativa. Il coinvolgimento lavorativo, che va di pari passo con l’identificazione del lavoratore con la propria azienda e con la propria mansione, è associato a:

  • Minori intenzioni di turnover;
  • Basso assenteismo;
  • Maggiore soddisfazione;
  • Maggior commitment organizzativo;
  • Migliore tolleranza allo stress.

Inoltre, questi lavoratori sperimentano emozioni positive, utili a stimolare lo sviluppo delle risorse personali e lavorative, promuovendo la salute psicologica e alimentando il futuro impegno. Infine, l’engagement è contagioso nei confronti di altri colleghi,  stimolando un miglioramento della performance del team e dell’organizzazione in generale.

10 Feb 2021

METEREOPATIA: lo stretto legame fra clima e benessere

METEREOPATIA: lo stretto legame fra clima e benessere

La meteoropatia è un disturbo che colpisce moltissime persone, è l’insieme di alcuni disturbi di natura fisica e psichica che si manifestano a seconda delle variazioni del tempo meteorologico o dei cambi di clima stagionali.

In genere un meteoropatico tende a manifestare alcuni sintomi tipici, soprattutto durante l’inverno, quando il clima è grigio e freddo (spesso viene anche detto depressione invernale), o ai cambi di stagione.

La meteoropatia non sembra avere una causa ben precisa, potrebbe essere il risultato di una combinazione di diversi fattori. Anche se una causa certa è l’effetto della diminuzione delle ore di luce sul nostro organismo; essa altera il livello di serotonina e melatonina, gli ormoni che influenzano l’umore.

SINTOMI DELLA METEREOPATIA

Il clima influenza inevitabilmente sia il nostro corpo sia la nostra mente e a questo legame nessuno può sottrarsi. Come già detto, i cambiamenti climatici possono alterare la produzione di alcuni ormoni che controllano il nostro umore.

Piove, umore grigio. C’è il sole, festa grande. Il vento o la pressione atmosferica possono essere la causa di una giornata storta. Le persone tendono ad essere più aggressive, irritate, e anche meno altruiste. L’elemento climatico più stressante in assoluto è il freddo, ha un aspetto ossessivo!

Gli effetti del clima si manifestano attraverso reazioni molto contenute e lievi, che si avvertono nei 2-3 giorni prima del cambiamento atmosferico. Uno sbalzo climatico può acuire dolori già esistenti oppure dare vita ad una serie di malesseri temporanei.

I sintomi potrebbero essere:

  • Stress;
  • Irritabilità;
  • Aumento dei disturbi cardiovascolari (palpitazioni e tachicardia);
  • Malinconia ed apatia;
  • Cefalea;
  • Insonnia o Desiderio costante di dormire;
  • Calo del desiderio sessuale;
  • Debolezza;
  • Sbalzi d’umore;
  • Dolori articolari.

Siamo tutti un po’ meteoropatici e sensibili alle variazioni ambientali, anche se con le dovute differenze soggettive. Sono maggiormente influenzati gli ansiosi e coloro che mal tollerano i rumori, e tutti coloro suscettibili alle variazioni ambientali. Inoltre, colpisce soprattutto i soggetti fisicamente più deboli, come bambini ed anziani, chi fa abuso di alcolici e di farmaci, chi si trova in un periodo particolarmente stressante ed i pazienti debilitati da disfunzioni psichiatriche o neurolabili.

TRE DIVERSI TIPI DI METEOROPATIA

Il clima può causare più di un semplice malumore. Siamo nel campo del disturbo affettivo stagionale, dove un ruolo fondamentale lo gioca l’esposizione alla luce naturale. C’è un legame consolidato e scientificamente molto forte fra quantità di luce e umore.

I medici distinguono tre diversi tipi di meteoropatia:

  • la prima causa mal di testa, difficoltà di concentrazione, insonnia notturna, difficoltà di respirazione;
  • la seconda riguarda solo coloro che soffrono di malattie (asma o i dolori cronici), che tendono a peggiorare al cambio del clima;
  • la terza, detta anche da scirocco, è correlata all’aumento dell’elettricità statica causata dai forti venti, che rendono le persone più irritabili.

RIMEDI PER LA METEOROPATIA

Il suggerimento dei medici consiste nell’assumere un corretto stile di vita, per modificare la visione dell’inverno e dell’autunno. Spesso le persone che soffrono di meteoropatia tendono ad assumere sonniferi ed ansiolitici, che possono anche peggiorare la situazione, soprattutto se utilizzati in modo ricorrente nel tempo.

I consigli da seguire sono molti:

  • Uno stile di vita più attivo, che allontani la depressione e l’ansia, e che aiuti a migliorare la coscienza di sé e il rapporto con la propria psiche: aumentare le attività all’aria aperta, iscriversi ad un corso di yoga o di meditazione.
  • La fitoterapia, attraverso l’uso dei fiori di Bach, oppure di erbe riequilibranti (biancospino, angelica, ginseng, il ribes nero).
  • Una cura a base di idroterapia o di agopuntura, entrambe volte a regolare gli ormoni che vengono prodotti in modo alterato quando cambia il tempo.
  • È molto utile anche evitare di vivere in ambienti scuri e bui, o insalubri: fumosi o con aria eccessivamente secca o umida.
  • Evitare di lasciare campo libero allo stress, che aiuta anche nel caso in cui la meteoropatia porta ad un’elevata irritabilità, al calo del desiderio sessuale o all’apatia. Alcune tisane di piante officinali possono essere utili (valeriana, tiglio, biancospino).
10 Feb 2021

CAREER RESILIENCE

CAREER RESILIENCE

Come sottolineano Lyons, Schweitzer e Ng (2015), la resilienza è un termine che inizialmente si riferiva alla capacità umana di superare eventi estremamente avversi o traumatici, come la morte di un parente stretto o una situazione violenta o pericolosa per la vita (Bonanno 2004). Da allora, essa è diventata una parola molto utilizzata nella quotidianità, per indicare la capacità di mantenere un equilibrio in diverse circostanze avverse, incluso il posto di lavoro.

La Career Resilience o resilienza professionale (di carriera) include la capacità dell’individuo di adattarsi alle mutevoli circostanze e far fronte a situazioni lavorative negative (Noe, Noe & Bachhuber, 1990); essa può essere considerata una componente di mantenimento della motivazione professionale. La resilienza di carriera implica il tentativo, da parte del lavoratore, di mantenere livelli di prestazione ottimi di fronte a vincoli situazionali come pressioni di tempo, mancanza di risorse o indicazioni inadeguate da parte di colleghi e subordinati.

Le avversità sul posto di lavoro possono essere viste come qualsiasi evento o periodo negativo, stressante, impegnativo, difficile o addirittura traumatico che si incontra nell’esercizio della propria professione (Jackson, Firtko & Edenborough, 2007). Può riguardare ad esempio la necessità di far fronte al rifiuto che nell’attuale mercato del lavoro, sempre più competitivo dove c’è molta concorrenza per le posizioni in particolare per i neolaureati, ha un tasso di presenza estremamente elevato.

L’IMPORTANZA DELLA RESILIENZA NEL LAVORO

A questo proposito, per esempio, Waterman et al. (1994) hanno sostenuto che i lavoratori resilienti nella propria carriera, quindi focalizzati sull’apprendimento continuo, sull’adattamento al cambiamento, sull’autogestione della carriera e sulla soddisfazione delle esigenze in evoluzione del mercato, sono una fonte di vantaggio competitivo per le aziende che competono nell’economia globale. Inoltre, Noe et al. (1990) hanno dimostrato che le persone più resilienti nella loro carriera dimostrano maggiore: senso d’iniziativa, fiducia in sé stessi, creatività, assunzione di rischi, qualità del lavoro, sviluppo personale, prestazioni positive. Oltre a questo, essi hanno bassi livelli di assenteismo di fronte a vincoli situazionali come pressioni di tempo, risorse insufficienti e ambiguità di ruolo.

Uno dei primi riferimenti alla resilienza di carriera (CR) è stato fatto da London (1983) che lo ha identificato come uno dei tre domini della motivazione di carriera (gli altri due sono Career Identity e Career Insight). London (1983) ha definito la Career Resilience come “a person’sresistance to career disruption in a lessthanoptimalenvironment” e ha indicato come suo contrario la Career Vulnerability che ha descritto come “the extent of psychologicalfragility [. . .] whenconfronted by lessthanoptimal career conditions” (p. 621). Secondo London, ci sono tre sottodomini di CR: self-efficacy (autoefficacia), risk taking (assunzione di rischi) e dependency (dipendenza). È probabile che gli individui con un’elevata autoefficacia, una disponibilità a correre rischi e una minore dipendenza (in particolare in termini di necessità di approvazione) abbiano elevati livelli di Career Resilience.

Dagli anni Novanta, c’è stato un aumento delle pubblicazioni accademiche sulla resilienza di carriera dovuto al continuo cambiamento in atto nei contesti delle carriere (Baruch, Szűcs e Gunz, 2015). Nello specifico in alcune professioni è importante possedere una buona resilienza di carriera, soprattutto per le cosiddette “professioni di aiuto”, come l’insegnante (ad esempio, Gu, 2014; Mackenzie, 2012) o l’infermiere (ad esempio Hodges, Keeley, &Troyan, 2008; Ngoasong & Groves, 2016).

Tra gli studi che hanno approfondito la relazione tra la Career Resilience e i suoi esiti (come ad esempio Subjective Career Success e Job Satisfaction), ci sono quelli di Wei e Taormina (2014) e di Lyons, Schweitzer e Ng (2015). I primi hanno trovato una relazione positiva tra la resilienza di carriera e la percezione degli infermieri del proprio successo professionale. I secondi hanno visto che la Career Resilience media le relazioni tra personality (personalità), career self-evaluation (autovalutazione professionale) e modern career orientation (orientamento professionale moderno) con la soddisfazione professionale (career satisfaction).

BIBLIOGRAFIA

  • Baruch. Y.,Szűcs. N.,&Gunz. H. (2015). Career studies in search of theory: The rise and rise of concepts. Career Development International. 20: 3-20.
  • Bonanno. G.A. (2004). “Loss. trauma and human resilience: have we underestimated the human capacity to thrive after extremely aversive events?”. American Psychologist. 59 (1): 20-28.
  • Gu. Q. (2014). The role of relational resilience in teachers’ career-long commitment and effectiveness. Teachers and Teaching: Theory and Practice. 20: 502-529.
  • Hodges. H. F., Keeley. A. C.,&Troyan. P. J. (2008). Professional resilience in baccalaureate-prepared acute care nurses: First steps. Nursing Education Perspectives. 29: 80-89.
  • Jackson. D.,Firtko. A.,& Edenborough. M. (2007). Personal resilience as a strategy for surviving and thriving in the face of workplace adversity: A literature review. Journal of Advanced Nursing. 60: 1-9.
  • London. M. (1983). Toward a theory of career motivation. Academy of Management Review. 8: 620-630.
  • Mackenzie. S. (2012). I can’t imagine doing anything else: Why do teachers of children with SEN remain in the profession? Resilience. rewards and realism over time. Journal of Research in Special Educational Needs. 12: 151-161.
  • Ngoasong. M. Z.,& Groves. W. N. (2016). Determinants of personal resilience in the workplace: Nurse prescribing in an African work context. Human Resource Development International. 19: 229-244.
  • Noe. A., Noe. A. W. &Bachhuber. J. A. (1990). An Investigation of the Correlates of Career Motivation. Journal of Vocational Behavior. 37: 340:356.
  • Waterman. R. H., Jr., Waterman. J. A. & Collard. B. A. (1994). Toward a career-resilient  workforce. Harvard Business Review. 72(4): 87-95.
  • Wei. W. & Taormina. R. J. (2014). A new multidimensional measure of personal resilience and its use: Chinese nurse resilience. organizational socialization and career success. Nursing Inquiry. 21: 346-357.

 

 

03 Feb 2021

ANTECEDENTI DEL SUCCESSO DI CARRIERA

ANTECEDENTI DEL SUCCESSO DI CARRIERA

Negli anni ci sono stati numerosi studi che si sono focalizzati sugli antecedenti o sui predittori del successo di carriera, e nello specifico, su tutti quei fattori che potrebbero favorire o limitare la possibilità di raggiungere determinati obiettivi di carriera da parte dei lavoratori.

MODELLO CONCETTUALE DEL SUCCESSO DI CARRIERA DI JUDGE, CABLE, BOUDREAU E BRETZ (1995)

Secondo questo modello, tra i predittori del successo di carriera oggettivo ci sono:

  • Le variabili demografiche – ad esempio l’età predice positivamente il successo di carriera oggettivo (Cox & Nkomo, 1991) e gli individui sposati raggiungono livelli di successo oggettivo più elevati rispetto agli individui non sposati (Judge & Bretz, 1994).
  • Le variabili di capitale umano – la teoria del capitale umano postula che il mercato del lavoro premi gli investimenti che gli individui fanno in sé stessi e che questi investimenti portino a tassi di promozioni e salari più elevati (Becker, 1964). Il capitale umano include le esperienze formative, personali e professionali che fa un lavoratore.
  • Le variabili motivazionali – come, ad esempio, le ore di lavoro settimanali, la centralità del lavoro per la persona e l’ambizione (ovvero il desiderio di progredire nel proprio lavoro).
  • Le variabili organizzative, di settore e regionali – tra le variabili organizzative troviamo ad esempio la dimensione dell’organizzazione, il suo successo e la sua visibilità, ma visto che le organizzazioni operano in un ampio mercato del lavoro, che riflette differenze geografiche e settoriali, è necessario considerare anche questi aspetti.

Infine, in questo studio, Judge, Cable, Boudreau and Bretz (1995) hanno legato il successo di carriera oggettivo (predittore) a quello soggettivo.

LO STUDIO DI RASDI, ISMAIL E GARAVAN (2011)

Gli autori individuarono tre tipologie di approcci che possono influenzare il successo di carriera.

  • L’approccio individuale – simile a quello adottato da Judge et al. (1995), si basa su teorie demografiche, del capitale umano, dell’apprendimento sociale e della motivazione che enfatizzano il ruolo degli attributi individuali nel raggiungimento del successo di carriera.
  • L’approccio strutturale – esso tiene conto di tutte quelle caratteristiche strettamente legate all’organizzazione, come ad esempio la sua dimensione, che possono influenzare positivamente o negativamente la progressione di carriera di un lavoratore (Nabi 2003).
  • L’approccio comportamentale – si riferisce al comportamento messo in atto dagli individui; essi dovrebbero avere un certo controllo sulle scelte e sulle progressioni facenti parte della loro carriera. Dunque, è fondamentale enfatizzare l’importanza dei comportamenti proattivi degli individui, al fine di mettere in atto strategie volte a migliorare la propria situazione lavorativa (Abele e Wiese 2008).

LO STUDIO DI CHEN YU (2012)

In un altro studio, Chen Yu (2012) ha approfondito gli antecedenti del successo di carriera, prendendo in considerazione un campione costituito da 121 lavoratori (distinti in canadesi e cinesi), a cui è stato chiesto di attribuire un diverso livello di importanza a una serie di 12 fattori che, con la letteratura, sono stati considerati predittori del successo di carriera. Essi sono: personalità, età, supporto familiare, esperienza lavorativa, livello d’istruzione, proattività, numero di figli, genere, supporto organizzativo, buona padronanza della lingua inglese e francese, salario dei genitori, successo di carriera dei genitori. È stato visto che sia per i cinesi che per i canadesi, gli antecedenti considerati più importanti nell’influenzare il successo di carriera sono:

  • La personalità (P);
  • L’esperienza lavorativa (WE);
  • Il livello d’istruzione (E).

CONCLUSIONE

In conclusione, in questo articolo si è cercato di comprendere quali siano gli antecedenti più significativi del successo di carriera e per fare ciò si è accinto dalla letteratura scientifica, che però non può essere considerata esaustiva per raggiungere la piena comprensione del concetto.

BIBLIOGRAFIA

  • Chen Yu (2012). Career success and its predictors: comparing between canadian and chinese. International Journal of Business and Management. 7 (14): 88-95.
  • Judge. T. A., Cable. D. M., Boudreau. J. W., & Bretz. R. D. (1995). An empirical investigation of the predictors of executive career success. Personnel Psychology. 48: 485–519.
  • Rasdi. R.M., Ismail. M. & Garavan. T.N. (2011). Predicting Malaysian managers’ objective and subjective career success. The International Journal of Human Resource Management. 22 (17): 3528-3549.
03 Feb 2021

COSA SIGNIFICA “ASCOLTARE”?

COSA SIGNIFICA “ASCOLTARE”?

Ascoltare può sembrare un gesto semplice, invece custodisce in sé infinite possibilità, impegno e rispetto. Significa qualcosa in più del semplice “udire” ciò che gli altri ci dicono…

Ascoltare” significa innanzitutto fermarsi un attimo, mettere in pausa i propri pensieri, smettere per un attimo di voler far passare il proprio punto di vista e stare a sentire cosa ha da dire l’altro.

Ascolto significa tanto, significa tutto: prestare attenzione, rispettare, osservare, percepire, sentire.

Etimologicamente il termine “ascolto” è fortemente legato al concetto di attenzione. Bisogna prestare attenzione a cosa l’altro ci sta trasmettendo, al di là delle parole, e rispettare il momento in cui parla, osservando il modo in cui dice ciò che ci sta comunicando.

È come un’arte – l’arte dell’ascolto – perché il vero ascolto non è per niente facile. Infatti, è impegnativo mettersi volontariamente da parte per fare spazio all’altra persona; è quasi inevitabile continuare a pensare a ciò che ci preme e, quindi, ascoltare solo per metà.

Ascoltare” non significa solo sentire le parole dell’altro e comprenderle. Non si riduce alla logica che analizza e comprende. L’ascolto implica riconoscere e accettare l’altro come persona, dando valore e riconoscendone la dignità.

 “Ascoltare” significa anche comprendere le emozioni dell’altro e ciò che non viene detto. Saper ascoltare veramente genera fiducia e accoglienza reciproca. È la base di ogni vero rapporto interpersonale e sociale.

Senza la capacità di ascoltare non è possibile comprendere l’altro e risolvere o evitare i conflitti.

I TRE PASSI PER UN VERO ASCOLTO

Ascoltare è un’arte che si impara con la pratica e con il tempo.

Ma quali sono i tre passi principali per un buono e, soprattutto, vero ascolto?

  1. Fare silenzio – non si tratta solo di silenzio esterno, c’è bisogno anche di silenzio interno, di adottare un approccio empatico e dimostrare un sincero interesse;
  2. Osservare – osservando attentamente, si possono scoprire molte cose… si possono comprendere le emozioni sottostanti, le cose che l’altro ancora non ha detto, oppure se sta mentendo; non tutta la comunicazione avviene a livello verbale, molto importante è soprattutto la comunicazione non verbale, costituita da svariati elementi (il tono di voce, il ritmo, il volume, l’accento, …, la postura, la gestualità, la distanza mantenuta dall’interlocutore, l’abbigliamento, gli oggetti posseduti e molto altro);
  3. Ascoltare attivamente – l’ascolto richiede competenza e impegno, bisogna ascoltare in modo attivo cosa l’altro ha da dire e le sue motivazioni, senza esprimere giudizi; bisogna ripetere un concetto con le proprie parole per avere conferma di avere capito bene, magari facendo domande per chiarire meglio cosa l’altro vuol dire… è un ascolto attivo, non una discussione dove alla fine si propongono nuovamente le proprie idee! Alla fine si può dire la propria opinione sull’argomento, ma sempre rispettando la posizione dell’altro!

I BUONI ASCOLTATORI: chi sono?

Le persone in grado di ascoltare veramente sono una rarità.

In genere, risultano dei buoni ascoltatori le persone timide e chi ama veramente, ma anche chi ha compreso l’importanza strategica di saper ascoltare.

Le persone timide, proprio per la loro timidezza, sono portate ad osservare attentamente e fanno fatica a sostenere di fronte agli altri le proprie opinioni. Hanno, quindi, meno problemi a fare silenzio dentro se stesse, essendo da sempre abituate a mettere in secondo piano le proprie idee.

Per chi ama veramente qualcuno e vuole davvero il suo bene, invece, è in genere più facile mettere da parte il proprio ego e ascoltare la persona amata.

Chiunque, però, può diventare un buon ascoltatore. Il primo passo è imparare ad ascoltare se stessi!

27 Gen 2021

COVID E ANSIA: BINOMIO PERICOLOSO

COVID E ANSIA: BINOMIO PERICOLOSO

Da marzo 2020 siamo alle prese con una situazione irreale e in cui non avremmo mai immaginato di imbatterci; infatti, da allora siamo nel bel mezzo di una pandemia mondiale, che non dà segnali di resa.

La situazione sembra ora migliorare con l’avvento del vaccino, ma prima che si possa raggiungere il numero di somministrazioni sufficienti, dovranno passare molti mesi (si spera entro dicembre 2021). Dunque, dovremo combattere e convivere con il Covid-19 ancora a lungo.

ANSIA DA COVID-19

Il Covid-19 ha cambiato radicalmente la nostra quotidianità; basti pensare che tutto ciò che si faceva senza pensare, ora richiede la massima prudenza.

Questo drastico cambiamento ha provocato l’insorgenza, in alcune persone, della cosiddetta “ansia da Covid-19”. Quest’ultima è anche molto accentuata dalle notizie che trapelano dai giornali e dalle TV, che raccontano della situazione critica che li Mondo sta attraversando e di tutte le misure di contenimento (chiusure anticipate, lockdown e restrizioni).

Parallelamente all’ansia legata al Covid-19, si può annoverare la paura, ma anche una serie di sentimenti negativi che solo chi è risultato positivo può capire, come ad esempio: i sensi di colpa e la paura di aver contagiato qualcuno e di essere l’artefice del suo male.

CONSEGUENZE EMOTIVE LEGATE AL COVID-19

La forte trasmissibilità di questo virus causa la sua diffusione all’interno di famiglie e gruppi di amici ed è proprio questo che scatena il senso di colpa e l’autocolpevolizzazione di cui si è parlato prima.

Questo accade perché la persona “positiva” sente di essere la causa di eventuali altri contagi e sente di non aver rispettato le regole in modo corretto. A questo proposito la Dott.ssa Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale S. Raffaele e professoressa associata dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, afferma:

“Il senso di colpa ha il compito di inibire comportamenti ritenuti inappropriati, poco etici e morali, nel senso migliore del termine. Si presenta in conseguenza alla violazione di norme condivise dall’ambiente in cui si cresce e nel tempo interiorizzate (il famoso Super Io di Freud). Dunque, l’essere un veicolo di contagio può portare ad auto colpevolizzazione, rimorso e rimpianto. La possibilità di provare questo sentimento è legata in questo caso alla valutazione del soggetto di avere avuto la possibilità di agire diversamente, in modo più protetto e quindi socialmente più accettabile.”

Esso, quindi, emerge quando il “positivo” si rende conto che nei giorni passati avrebbe potuto agire in modo diverso ed in modo più cauto, ma così non è stato fatto.

Tutto questo è funzionale per il futuro, perché è da questi errori e, di conseguenza, dall’emergere di questi sentimenti negativi che l’individuo apprende e capisce come comportarsi in modo corretto nel futuro; a questo proposito, risulta disfunzionale colpevolizzarsi in modo eccessivo e auto-punirsi per non aver preso le giuste cautele in passato.

SUGGERIMENTI SU COME AFFRONTARE L’ANSIA DA COVID-19

Come può un “positivo” alleggerirsi del peso delle emozioni negative che lo inondano, quali senso di colpa e ansia? Bisogna:

  • Non colpevolizzarsi eccessivamente – come si è visto prima, il senso di colpa può essere utile per capire quali comportamenti mettere in atto in futuro, perché si è capito quali sono quelli sbagliati. A questo proposito, si deve considerare che alcune volte, non si ha il controllo degli eventi che si presentano davanti a noi, dunque, il colpevolizzarsi sull’essere stati infettati alle volte non serve, perché quel momento non era sotto il nostro controllo. Infatti, non si sa quasi mai precisamente ove si è stati infettati dal virus, in quanto è possibile solo fare delle deduzioni, ma niente di più.
  • Tollerare i giudizi negativi – i “positivi” vengono trattati come persone da evitare completamente e da cui stare alla larga per molto tempo; tutto questo causa forte ansia e senso di isolamento. Dunque, è necessario durante il periodo della malattia, resistere a questi giudizi negativi, perché tutto tornerà normale quando si guarirà, in quanto la persona tornerà sana fisicamente e i rapporti interpersonali si normalizzeranno tornando com’erano prima della “brutta notizia”.
  • Pensare e riflettere – quotidianamente si è dinanzi alla contrapposizione tra “ragione” ed “emozioni” e, in questo specifico caso, le seconde spesso si impongono sulla prima, soprattutto nei primi giorni, ma col passare del tempo è essenziale arrivare ad una razionalizzazione della situazione che porta a gestire il periodo in modo funzionale.