11 Mag 2022

Psicologia e Videogioco: perché giochiamo e cosa i videogame dicono di noi

Psicologia e Videogioco: perché giochiamo e cosa i videogame dicono di noi

È vero che i videogiochi aumentano il rischio di sviluppare una dipendenza? Chi ci gioca tende all’isolamento?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di inserire il Gaming Disorder, ovvero la dipendenza da videogiochi, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5); tuttavia la stessa ha anche lanciato nel 2020 la campagna #PlayApartTogheter, per promuovere le relazioni sociali tramite il videogioco online mantenendo il distanziamento fisico.
Numerosi studi hanno inoltre dimostrato che il tempo speso videogiocando non è un termometro della dipendenza dei giocatori.

Secondo gli studiosi, è il tipo di motivazione per cui giochiamo a fare la differenza:

Se giochiamo per il solo piacere di sperimentare l’esperienza di gioco (motivazione intrinseca), ciò ci fa stare bene, perché soddisfa bisogni psicologici quali socializzazione, autonomia e competenza;
ma può anche arrivare a generare un disagio nel proprio contesto sociale. In tal caso, infatti, l’abuso del gioco può diventare una strategia di compensazione, ovvero una sorta di modo per “consolarsi”.

L’effetto della motivazione estrinseca sul benessere avviene, invece, quando si gioca per raggiungere un obiettivo esterno, come fare punti o ottenere ricompense. Anche in questi casi ciò può portare a sviluppare diverse forme di disagio.

Inoltre, il campanello di allarme non è rappresentato da sintomi specifici, quanto piuttosto da come ci sentiamo durante l’esperienza: se continuiamo a giocare ma il gioco non ci dà più piacere, è un indicatore di rischio (e non necessariamente sintomo di dipendenza). In tal caso servono consapevolezza e maturità, fermarsi e farsi delle domande; e se un adulto può arrivarci individualmente, bambini e ragazzi andrebbero invece supportati.

Quali sono i benefici?

Il gioco può anche essere funzionale al raggiungimento del benessere così come al miglioramento delle capacità di socializzazione e all’apprendimento. Esso è infatti usato a scuola per promuovere l’empatia e l’apprendimento socio-emotivo; in alcuni casi funge perfino da mezzo terapeutico per il deficit di attenzione e iperattività (ADHD) in età pediatrica o per potenziare le capacità cognitive. Tuttavia, la letteratura evidenzia che in tutti questi casi è cruciale giocare per motivazione intrinseca in modo da poter godere a pieno di tali benefici.

Il Potere dell’Immedesimazione e il Coinvolgimento Emotivo
Secondo la Teoria della Gestione dell’Umore di Zillmann, il modo in cui usiamo i mezzi di intrattenimento rappresenta una strategia efficace per ripristinare l’equilibrio psicologico, quando siamo arrabbiati, tristi o annoiati.

Identificarsi con un protagonista di un videogioco che rappresenta un modello, ad esempio, può rafforzare l’autostima; dopo decine di ore di gioco avviene infatti un lungo e costante processo di apprendimento che agisce anche al livello emotivo.

In Conclusione

A differenza di libri o film, nel videogioco si è al centro dell’esperienza come protagonista interattivo, cioè partecipe. La nostra soggettività ci può far sentire un forte coinvolgimento anche nei film o durante la lettura, tuttavia l’impegno richiesto è diverso.
Videogiocare richiede un impegno di energie fisiche, emotive e cognitive, non tutti sono disposti a farlo. Dall’esterno, videogiocare può apparire più stancante di guardare video online, ma in realtà è più spesso rigenerativo in termini di energie.