12 Giu 2019

L’effetto alone nel marketing

L’effetto alone nel marketing

L’effetto alone fa parte del repertorio classico della psicologia sociale, è un bias cognitivo, un pregiudizio che porta ad un errore di valutazione. L’alone è una sfumatura che percepiamo attorno a una fiamma o a un’altra sorgente luminosa.
Un fenomeno ottico, quindi, dato dall’impressione che la luce illumini un’area maggiore rispetto a quella reale.
E’ la difficoltà a valutare la realtà. Quante volte ci capita di giudicare una persona intelligente soltanto perché è di bell’aspetto? Le star di Hollywood dimostrano di possedere l’effetto alone. Perché spesso sono attraenti e simpatici e supponiamo naturalmente che siano anche intelligenti, amichevoli; insomma viene rimarcato su di loro un buon giudizio. Ma le nostre valutazioni, sono poi così accurate?
Percepiamo in maniera corretta la realtà dei fatti? La maggior parte delle volte questo non succede!
I politici per esempio conoscono molto bene i vantaggi di creare l’effetto alone. Cercano di apparire cordiali, amichevoli, sorridenti, mentre parlano di argomenti che spesso sono privi di sostanza o facendo giri di parole senza rispondere alle domande. Eppure le persone tendono a credere che la loro politica sia buona, perché la persona appare buona.

Il primo studio sull’effetto alone risale al 1920 con un’intuizione dello psicologo americano Edward Thorndike, noto per i suoi contributi alla psicologia dell’educazione, il quale osservò che quando veniva chiesto alle persone di valutare gli altri sulla base di una serie di tratti, una percezione negativa di uno dei tratti influenzava tutti gli altri.

Un inganno della mente quindi, successivamente studiato anche conducendo diversi esperimenti su gruppi di persone che hanno portato a risultati che confermano quanto potente sia questo effetto.
L’effetto alone trova molti esempi anche per quanto riguarda il marketing: è facile infatti che l’immagine di un prodotto o di un brand proveniente da un certo paese possa influenzare (positivamente o negativamente) l’opinione di altri prodotti provenienti da quello stesso paese.

Tra l’altro un effetto duraturo, difficile a morire, che funziona sia in direzione positiva che negativa, e che quando funziona in direzione negativa viene indicato come “devil effect”.
Un giudizio quindi che solo evidenti prove contrarie possono modificare, dato che sia l’effetto alone che l’effetto del diavolo influiscono su di noi senza che ce ne rendiamo conto.

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Pensiamo a quanto ciò possa influenzare i nostri giudizi sia sulle persone sia su tutto ciò che ci circonda: prodotti, canali di comunicazione, organizzazioni, politica: tutto è sottoposto a questo effetto.
Un grande impatto anche sul marketing, dove non è raro trovare “prodotti alone” appositamente lanciati per promuovere le vendite di un intero brand.

Basti pensare a quando, da utenti, approdiamo su un sito di cui ci piace un certo aspetto: è molto probabile che continueremo ad averne un giudizio positivo e torneremo a visitarlo.
Stesso vale per il contrario: un’esperienza negativa riguardo un certo aspetto farà sì che, sebbene nel frattempo quel sito venga migliorato, difficilmente torneremo a visitarlo.

Sempre per quanto riguarda il web marketing, è stato notato che la qualità dei risultati di ricerca interna ad un sito influenza notevolmente il giudizio che hanno gli utenti sulla qualità del marchio e dei suoi prodotti.
Un ragionamento non logico, certo, ma è proprio questo l’effetto alone: passare direttamente dall’impressione di un aspetto al giudizio complessivo.

Cosa di non poco conto, ad esempio, per chi analizza le prestazioni di un sito, in quanto un calo degli utenti potrebbe rispecchiare l’effetto della loro prima impressione negativa su alcuni elementi di progettazione, contenuti o grafica.

La conclusione è che, non potendo essere immuni dall’effetto alone, dovremo sempre farci i conti, sia per considerare i nostri giudizi sia, per chi lavora nel marketing, tenerlo in considerazione