28 Nov 2018

Burnout ed esaurimento emotivo

Burnout ed esaurimento emotivo

“Riposati ogni tanto; un campo che ha riposato dà un raccolto abbondante”. Ignoriamo continuamente questo prezioso consiglio di Ovidio, specialmente nei tempi odierni, dove siamo chiamati a “dare” oltre ogni limite, costretti ad agire come robot e dove la paura di essere rimpiazzati (sia a lavoro che nelle relazioni) ha la meglio su ogni bisogno individuale.

In questo mondo, competitivo e pretenzioso, dobbiamo mostrarci forti, instancabili e pronti ad appagare le esigenze altrui. Dimenticando di avere dei bisogni ci facciamo carico di responsabilità, conflitti e preoccupazioni senza poi ricevere attenzioni, riconoscimenti e affetto sufficienti. Ci stressiamo.

Un lungo periodo di stress può portare ad un esaurimento emotivo: ci si sente, cioè, emotivamente logorati ed esausti. Qualcuno può percepire di non avere alcun potere o controllo su ciò che succede nella propria vita, qualcun altro si potrebbe sentire intrappolato o bloccato in una determinata situazione.

Conseguenze dello stress cronico: burnout ed esaurimento emotivo

A lungo andare, questa situazione di stress cronico può portare a danni permanenti per la salute dell’individuo. Pertanto, è di rilevante importanza chiarire quali sono i sintomi, le cause e le modalità di trattamento del burnout e dell’ esaurimento emotivo. Provare ansia e sentirsi sotto stress per alcuni giorni consecutivi è normale, il problema emerge nel momento in cui lo stress diventa cronico, con conseguenze negative sul benessere dell’individuo.

Le cause del burnout e dell’ esaurimento emotivo, oltre ad un periodo prolungato di stress, sono varie e diverse da persona a persona. Tra i trigger più comuni rientrano (Tijdink, Vergouwen & Smulders, 2014):

  • lavori altamente stressanti e inerenti la cura e la tutela di altri individui (per esempio medici, infermieri, poliziotti)
  • una carriera universitaria intensa
  • esercitare un lavoro che non piace
  • diventare genitori
  • problemi finanziari o povertà
  • essere il caregiver di una persona bisognosa
  • procedure di divorzio lunghe ed estenuanti
  • convivere con una malattia cronica

Presente tra i primi segni del burnout, l’ esaurimento emotivo mostra sintomi sia di tipo emotivo che fisico, tra cui: mancanza di motivazioneproblemi di sonno, irritabilità, affaticamento fisico, sentirsi senza speranza, distraibilità, apatia, mal di testa, cambiamenti nell’appetito, nervosismo, difficoltà di concentrazione, rabbia irrazionale, aumento di criticismo o pessimismo, senso di timore e depressione (Michel, 2016).

Nell’ambito lavorativo, gli impiegati che sono sovraccarichi di lavoro ed emotivamente esausti, potrebbero iniziare a notare cambiamenti nella prestazione lavorativa come, per esempio, un peggioramento della performance, l’incapacità a rispettare le scadenze, assenteismo e, infine, una minore dedizione verso l’organizzazione/azienda (Shanafelt & Noseworthy, 2017).

Alcune strategie e piccoli accorgimenti possono aiutarci nella gestione dello stress..

Per gestire e alleviare i sintomi del burnout e dell’ esaurimento emotivo, si può iniziare con piccoli cambiamenti nella vita quotidiana.

Prima di tutto, è importante cercare di eliminare o per lo meno ridurre gli stressors (per esempio: se litighi sempre con il capo, puoi pensare di chiedere il trasferimento in un altro dipartimento).

In secondo luogo bisogna prestare attenzione alla dieta: in un periodo di stress, mangiare cibi salutari migliora la digestione, il sonno e il livello di energia e questo può avere effetti benefici anche sullo stato emotivo.

L’esercizio fisico è un’altra pratica utile per alleviare lo stress e i sintomi dell’ esaurimento emotivo in quanto l’attività fisica aumenta i livelli di endorfina e serotonina, migliorando di conseguenza lo stato emotivo.

Al contrario, l’alcol potrebbe essere causa di peggioramento dei sintomi in quanto aumenta stati ansiogeni e depressivi e interferisce con il ritmo del sonno, fattore cruciale per la salute mentale.

Momenti di pausa, una vacanza o semplicemente prendersi del tempo per se stessi può essere estremamente utile per ridurre il peso dello stress, in alcuni casi però ciò potrebbe non essere sufficiente ed è perciò importante chiedere aiuto ad professionista della salute mentale (Durocher, Marti, Morin & Wakeham, 2018).

In conclusione

Una condizione di stress, se prolungata, può condurre oltre al burnout e all’ esaurimento emotivo anche a problemi di salute che riguardano il sistema immunitario, il metabolismo e il benessere mentale.

Si tratta di condizioni trattabili, ma perchè l’intervento e il trattamento permettano davvero alla persona di raggiungere un nuovo stato di benessere è necessario definire la natura del burnout e dell’ esaurimento emotivo, informare circa i suoi sintomi in modo da riconoscerlo e prevenire ulteriori conseguenze negative.

31 Ott 2018

Mobbing lavorativo: come individuarlo e difendersi.

Mobbing lavorativo: come individuarlo e difendersi.

Che cos’è il mobbing?

La parola “mobbing” deriva dal verbo inglese to mob, che significa accerchiare, circondare, assediare, attaccare, assalire in massa qualcosa o a qualcuno. L’etologo Konrad Lorenz utilizza questa espressione nei suoi studi per indicare il comportamento di alcuni animali della stessa specie che si coalizzano contro un membro del gruppo attaccandolo ed escludendolo dalla comunità di appartenenza.
Negli anni Ottanta, lo psichiatra e psicologo del lavoro tedesco Heinz Leymann applica per la prima volta il termine coniato da Lorenz all’ambito lavorativo in seguito all’osservazione di alcuni operai e impiegati svedesi vessati psicologicamente sul luogo di lavoro. Egli considera il conflitto il presupposto fondamentale per la nascita del mobbing. Poiché il conflitto è caratterizzato dalla divergenza di opinioni ed ogni parte è convinta dell’esattezza delle proprie e non intende scendere a compromessi, è facile intuire come dal conflitto al mobbing il passo sia breve. Ege evidenzia, invece, come tale fenomeno consista essenzialmente in un problema di comunicazione, in un conflitto routinario e in un atteggiamento ostile nei confronti di una o più persone dovuti a sentimenti di rivalsa da parte del mobber verso il mobbizzato. L’Associazione tedesca contro lo Stress Psico-sociale ed il mobbing, fondata nel 1993, ha fornito una definizione ufficiale del fenomeno del mobbing, secondo la quale esso consisterebbe in una “comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o/e per lungo tempo con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”. Questa definizione sottolinea gli aspetti legati a una forma negativa di comunicazione tipica dei luoghi di lavoro che prevedono la convivenza obbligatoria e forzata con soggetti non scelti, ma imposti dall’organizzazione lavorativa. Negli ultimi anni il termine mobbing viene utilizzato abitualmente per indicare quelle forme di violenza psicologica attuata sul posto di lavoro, caratterizzate da comportamenti violenti e oppressori ripetuti nel tempo.
Tra le condotte riconducibili al fenomeno del mobbing si identificano: isolamento, critica,  diffamazione, derisione, affidamento di compiti declassanti, spostamento da un ufficio ad un altro, esclusione dalla comunicazione organizzativa, violenza e molestie sessuali.

Come identificarlo?

Si possono individuare tre criteri basilari che rappresentano gli elementi identificativi del mobbing:

  1. Intenzionalità dell’attività vessatoria e percezione del mobbing;
  2. Carattere asimmetrico della relazione di potere tra l’aggressore (mobber) e la vittima (mobbizzato);
  3. Frequenza e durata delle azioni negative.

Nell’esperienza negativa del mobbing, le vittime sembrano attribuire la causa della loro sofferenza a fattori esterni come ad esempio la personalità sadica dell’aggressore, e dunque la sua effettiva intenzione nel colpirle. Considerando però che il mobbing consiste nel susseguirsi di azioni negative che permangono nel tempo, è difficile pensare che non vi sia l’effettiva intenzione dell’aggressore di creare nocumento.
Per quanto concerne la relazione che intercorre tra gli attori del mobbing è stata posta molta enfasi sulla relazione tra superiore e subordinato considerando le situazioni in cui la vittima percepisce di essere inferiore all’aggressore e di non potersi difendere. Il potere, cioè la capacità di produrre un cambiamento negli altri, è una condizione fondamentale nel funzionamento dell’organizzazione e conseguenti disuguaglianze di potere sono inevitabili.
Riguardo alla frequenza del fenomeno, condizioni di conflitto “momentanee” non sono indicative, ma situazioni in cui i comportamenti vessatori sono all’ordine del giorno e di significativa intensità, determinano un’insostenibilità psicologica che può condurre ad un cedimento psico-fisico del soggetto mobbizzato.

Quali sono le cause?

Tra le determinanti del fenomeno del mobbing si individuano tre aree di indaginepersonalità dei soggetti interessatidinamiche di gruppo e  contesto organizzativo.
Considerando i tratti di personalità si presuppone che le persone siano a priori destinate ad essere dei mobber o dei mobbizzati sulla base delle proprie caratteristiche, indipendentemente dalla specifica situazione. In particolare, le principali categorie di vittime più frequentemente riscontrate dalla Clinica del Lavoro di Milano sono:

  • “i creativi”. Propositivi, innovatori, brillanti, spiccano nel proprio gruppo di lavoro caratterizzato da  valori medi di capacità. Essi possono divenire obiettivi da colpire da parte dei colleghi (mobbing emozionale o orizzontale);
  • “gli onesti”. Soggetti operanti in gruppi molto uniti in cui chi non è complice può essere escluso o emarginato dagli altri (fenomeno tipico nelle manifestazioni di disonestà sul posto di lavoro);
  • “i disabili”. Persone deboli e facilmente escluse e ghettizzate.
  • “i superflui”. Categoria che si costituisce in occasione di fusioni tra aziende, accorpamenti, riorganizzazioni. In questi casi, il mobbing si configura come una strategia di “alleggerimento” del personale (mobbing pianificato dai vertici aziendali)

Un’altra tipologia di soggetti divenuta attualmente “a rischio” sono coloro che hanno un’elevata anzianità lavorativa e, pertanto, hanno un costo più elevato rispetto a risorse più giovani.

Per quanto concerne le dinamiche di gruppo è argomento controverso stabilire quali possano essere i fattori scatenanti dell’emarginazione. L’elemento considerato il più probabile consiste nella diversità del soggetto emarginato dal resto del gruppo. Accade, infatti, che nel contesto lavorativo si costituisca una piccola comunità coesa e chi si discosta da questa può esserne escluso. La figura considerata “il capro espiatorio” possiede perciò caratteristiche comportamentali “devianti” rispetto al gruppo, tali da considerarlo un bersaglio.

Riguardo al fattore organizzativo, invece, le principali determinanti del mobbing riscontrate sono: comportamento inefficace della leadership, carenze nell’organizzazione del lavoro, cattivo clima aziendale. Una leadership autoritaria e accentratrice, fondata sulla critica, sulla supervisione esasperata ed orientata ad una logica di “premi e punizioni”, può favorire un clima sociale poco sereno caratterizzato da competizione e invidia. La leadership dovrebbe ricoprire un ruolo di supervisione nel controllare che siano rispettate le regole in vigore nell’ambiente di lavoro sorvegliando, riconoscendo e risolvendo tempestivamente i conflitti. Non ottemperando a questo dovere promuove volutamente o inconsapevolmente l’escalation del conflitto nella direzione del mobbing. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, l’Inail (allegato 1 alla circ. n. 71/2003) riconosce quadri patologici ricollegabili a “fattori di costrittività” dell’organizzazione, rappresentati da:

  • Demansionamento, mancanza di adeguati strumenti di lavoro, trasferimenti ingiustificati ripetuti;
  • Attribuzione di compiti declassanti rispetto al proprio ruolo professionale;
  • Prolungata attribuzione di compiti eccessivi che il lavoratore non è in grado di svolgere anche in relazione ad eventuali handicap psico-fisici;
  • Difficoltà o impossibilità all’accesso di notizie;
  • Fornitura di informazioni inadeguate all’ordinaria attività di lavoro;
  • Ripetuta estromissione del lavoratore rispetto ad iniziative qualificanti, formative e di aggiornamento professionale;
  • Forme di controllo esasperate e superflue.

Come difendersi?

La vittima di mobbing mette in atto dei tentativi di fronteggiamento (coping) per difendersi dagli attacchi subiti. Tali strategie di coping attuate dai mobbizzati per affrontare le situazioni di disagio vissute sul lavoro sono:

  • Manifestazione di una forte riduzione del livello di commitment nei confronti del proprio lavoro (abbandono);
  • Strategie di problem solving attivo quali il confronto con i diretti responsabili del loro disagio, o ricerca di conforto e appoggio da colleghi e/o familiari (dialogo);
  • Strategie di problem solving passivo, proseguendo con il lavoro con devozione verso l’organizzazione sperando nell’aiuto del management (fedeltà);
  • Abbandono del posto di lavoro (uscita).

Tali strategie sono tendenzialmente messe in atto con questa successione, poiché le vittime intraprendono un complesso percorso di tentativi diversi per risolvere il problema, dove la scelta di abbandonare il posto di lavoro rappresenta “l’ultima spiaggia”.

Qual è il rapporto tra stress lavoro correlato e mobbing?

Il tema specifico delle molestie e della violenza tipiche del mobbing sul posto di lavoro non è oggetto dell’accordo europeo sullo stress lavoro correlato siglato dal sindacato europeo e dalle associazioni datoriali europee in data 8 Ottobre 2004 (recepito in Italia il 9 Giugno 2008). Tuttavia appare evidente che molte delle dinamiche messe in atto per esercitare maltrattamenti morali sono analoghe ai fattori di stress presenti in organizzazioni inadeguate, anche senza una precisa volontarietà lesiva.
Le condizioni lavorative che causano stress lavoro correlato sono in grado di rendere l’ambiente di lavoro un focolaio in cui possono prender vita fenomeni di mobbing. Di conseguenza, valutare e tenere sotto controllo tutti i possibili stressors legati al contesto organizzativo ed ai rapporti interpersonali sul lavoro, è fondamentale per creare un ambiente che scoraggi l’esercizio di forme di violenza di natura volontaria.

23 Ott 2018

La psicologia al servizio dei datori di lavoro

La psicologia al servizio dei datori di lavoro
L’ Art. 28 del D.Lgs. 81/08, che invita ad eseguire la valutazione dello stress lavoro-correlato, appare a molti imprenditori come l’ennesima pressione da sopportare e da“sbrigare” nel modo più economico, veloce e meno invadente possibile, oltre ad essere magari l’ennesimo decreto da sabotare o da dirottare politicamente perdendo l’occasione di utilizzare nuove conoscenze date dalle scienze psicologiche per provare ad attuare dei cambiamenti.
Per abitudine, per cultura, per stili di gestione l’Italia è un paese che troppo raramente investe nella formazione continua, non ama mettere in discussione modelli gestionali che assicurano o che hanno assicurato lo stipendio a fine mese, in altre parole si teme l’ignoto e tutto ciò che in qualche modo appare estraneo; inoltre qualora si voglia investire per esempio nella formazione si fatica a trovare un’offerta che sia qualitativamente e quantitativamente adeguata alle esigenze aziendali.
Le difficoltà, la confusione e la sfiducia espressa da parte dei datori di lavoro trova espressione nella richiesta di essere sottoposti a test che rilevino il loro livello di stress individuale causato dal D.Lgs. 81/08 poiché irrompe prepotentemente nelle loro aziende e nella loro tranquillità lavorativa assodata nel tempo.
Ad oggi, la mancanza di chiare Linee Guida, per la valutazione dello stress lavoro-correlato, ha permesso alle molteplici fantasiose personalità di esprimersi senza regole troppo precise, lanciando sul mercato prodotti accattivanti per cercare di “rosicchiare” ancora un po’ un mercato già pesantemente “azzannato”.
Come eseguire quindi una valutazione, non fine a se stessa, i cui ingredienti siano capacità preventiva e valutativa in un approccio organizzativo globale?
Il D.Lgs.81/08 individua chiaramente nel datore di lavoro la figura deputata a tale valutazione ma non fornisce, purtroppo, altrettante indicazioni su come eseguirla. Le figure già previste dal decreto e di supporto al datore di lavoro quali l’RSPP e il MC si offrono spesso di partecipare a tale valutazione, pur non avendo approfondita conoscenza e consapevolezza rispetto all’ambito psicologico da indagare.
Una buona valutazione richiede l’utilizzo di molteplici tecniche psicologiche; gli psicologi maturano, nel loro percorso formativo, grande consapevolezza e conoscenza dei fattori umani e dei rischi psicosociali insiti nelle organizzazioni.
Grande o piccola l’azienda è comunque fatta di persone la cui consulenza richiede una specifica preparazione, offrendo così un supporto non invadente capace d’essere un reale aiuto qualitativo,a sostegno dei datori di lavoro e di tutti i lavoratori.
Metodologie psicologiche integrate
In questo ultimo mese si parla molto di analisi qualitativa (interviste, osservazioni, colloqui) e quantitativa (questionari), in una sorta quasi d’opposizione l’una all’altra.
In aziende piccole, medie ed oggi anche grandi, una mera valutazione quantitativa (oggettiva) non riesce sempre ad evidenziare potenziali rischi psicosociali, né come la raccolta degli indicatori oggettivi aziendali (giorni di malattia, assenteismo, turnover, etc.) possano definire la soglia al di sopra della quale tale valutazione sia opportuno eseguirla, aprendo un’interessante sfida sull’argomento e sull’applicazione di queste tecniche. Piccole o grandi le aziende sono create da persone, basate su una o più culture, con mille o più difficoltà; l’analisi qualitativa, eseguita attraverso colloqui, interviste, osservazioni, etc. si dimostra essere quella mano che conduce “i numeri” in una specifica dimensione, e ancora, quell’occhio che riconosce i risultati quantitativi contestualizzandoli.
Conclusione
Da ciò si possono evincere una serie di considerazioni finalizzate alla valutazione dello stress lavoro-correlato: da una parte l’importanza dell’utilizzo di molteplici metodologie (sia qualitative che quantitative), ogni qual volta sia possibile, in un’ottica complementare ed integrativa; dall’altra l’importanza d’avere esperti della materia che abbiano conoscenza e consapevolezza delle metodologie da utilizzare affinché la valutazione assuma un carattere non solo valutativo bensì preventivo al servizio del datore di lavoro e dell’intera organizzazione.
17 Apr 2018

5 fattori chiave che influenzano la Soddisfazione Lavorativa

5 fattori chiave che influenzano la Soddisfazione Lavorativa

Perché alcune persone sono entusiaste di andare a lavoro mentre altri odiano il lunedì mattina? Comprensibilmente, ognuno ha bisogno di lavorare per guadagnarsi da vivere, ma sembra che alcuni apprezzino non solo lo stipendio ma anche il processo che porta al suo profitto.

Fortunatamente, la soddisfazione sul lavoro dipende da una varietà di fattori, molti dei quali sono ben conosciuti, altri meno e molto spesso fuori dal proprio controllo.

La soddisfazione lavorativa (o la sua mancanza) influenza non solo i dipendenti, ma anche le organizzazioni con cui di sentono insoddisfatti. I lavoratori insoddisfatti sperimentano una minore produttività sul posto di lavoro, prestazioni inferiori, maggiore stress sul lavoro e maggiori tassi di turnover. Inoltre, un basso livello di soddisfazione sul lavoro può comportare un basso livello di morale e una bassa fedeltà alla società stessa, secondo un articolo pubblicato sull’International Journal of Learning and Development.

Possono essere individuati dei fattori chiave che influenzano la soddisfazione lavorativa e che dipendono principalmente dalla combinazione di fattori intrinseci ed estrinseci. La soddisfazione lavorativa intrinseca è il risultato del sentirsi contenti del lavoro stesso e delle responsabilità che ne derivano. La soddisfazione estrinseca ha più a che fare con condizioni di lavoro come lo stipendio, la sicurezza del lavoro e le relazioni con colleghi e supervisori.

1. Impegno. Una persona seriamente impegnata nel proprio lavoro è presente, concentrata e produttiva.

Una ragione per cui si può essere poco coinvolti nel proprio lavoro è legata al fatto di non utilizzare le proprie capacità e abilità al massimo potenziale. Indubbiamente, le persone sono naturalmente più impegnate nel lavoro che mette a frutto i loro talenti.

Ciò non implica necessariamente l’obbligo di cambiare lavoro per accrescerli; i propri talenti possono essere utilizzati in qualsiasi lavoro. Certo, ognuno può essere più adatto per alcuni lavori più di altri, ma un impegno pieno nel proprio lavoro, riconoscendo come i propri punti di forza individuali ha un impatto positivo sugli altri, dando significato a qualunque ruolo ci si trovi ad occupare.

Un modo per trovare significato nel proprio lavoro è avere una chiara comprensione della correlazione tra il proprio ruolo e gli obiettivi dell’azienda. Essere consapevoli, dunque, di come il proprio lavoro stia supportando direttamente un risultato più ampio.

2. Rispetto, lode e apprezzamento. Indipendentemente dal lavoro, è importante sentirsi rispettati sul posto di lavoro e apprezzati per il lavoro che si svolge. I dipendenti sono più soddisfatti nelle loro posizioni quando si sentono rispettati e vengono elogiati per un lavoro ben fatto, anche se si tratta di un semplice ringraziamento da parte di un manager della società. I supervisori sono spesso severi quando un dipendente commette un errore o è necessario qualcosa, ma fare lo stesso sforzo per congratularsi o apprezzare un lavoro ben svolto può avere un’influenza positiva sulla soddisfazione del lavoratore.

Il feedback costruttivo e la comunicazione aperta sul posto di lavoro sono un ottimo modo per incoraggiare il rispetto tra datori di lavoro e dipendenti.

Lavorare in un ambiente in cui ci si sente non rispettati, sottovalutati e sottostimati è una delle prime cause di insoddisfazione lavorativa.

3. Equo compenso. L’importanza che i dipendenti attribuiscono ai salari come fattore che contribuisce alla soddisfazione lavorativa sembra essere in aumento, secondo l’indagine 2016 condotta dall’SRM. I lavoratori attualmente classificano i salari come il secondo fattore più importante rispetto al quarto fattore più importante dell’anno precedente.

Ma, per quanto importante sia il guadagno per i dipendenti, molti sceglierebbero il riconoscimento e l’elogio da un rialzo in denaro per sentirsi più soddisfatti del proprio lavoro.

4. Motivazione. Capire le motivazioni che stanno dietro al lavoro che già si svolge o il lavoro che si desidera può aumentare la soddisfazione sul lavoro. Chiedersi perché si è accettato un determinato lavoro, cosa si prova nel fare il proprio lavoro e a cosa si aspira è importantissimo.

Le risposte a queste domande possono aiutare a determinare dove manca la soddisfazione in modo da potersi attivare e fare qualcosa al riguardo, sia che questo significhi cambiare lavoro sia che si tratti di cambiare il proprio approccio rispetto a quello attuale.

5. La soddisfazione nella vita. Non sorprende che le persone che sono infelici nella vita hanno meno probabilità di trovare un lavoro soddisfacente.

Gli psicologi hanno concluso che le persone che sono predisposte ad essere felici e soddisfatte nella vita in generale hanno maggiori probabilità di essere felici e soddisfatte nel loro lavoro. Osservano che gli individui che sono generalmente infelici nella vita e cercano soddisfazione nel loro lavoro probabilmente non lo troveranno.

Migliorare il proprio benessere condurrà naturalmente alla soddisfazione in ambiente di lavoro.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

23 Gen 2018

Stress lavoro correlato: strategie e interventi

Stress lavoro correlato: strategie e interventi

Qual è il ruolo dello psicologo nel contesto aziendale? E perché ogni azienda dovrebbe attivare dei controlli per una valutazione sullo stress lavoro correlato?

Cerchiamo di rispondere a queste domande facendo riferimento alla normativa vigente per capire in che modo un’azienda può avviare valutazioni di questo tipo.

Secondo l’Accordo Europeo riguardante lo stress lavoro correlato del 2004, lo stress è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.

Cosa significa questo in ambito lavorativo?

Il lavoratore stressato avverte uno squilibrio tra i propri ritmi e quelli imposti dall’azienda nel caso in cui quest’ultima imponga un carico di lavoro eccessivo o inadeguato rispetto alla capacità individuale. Altre cause di stress sul lavoro sono i casi di molestie (fisiche e/o verbali), un supporto inadeguato da parte dei colleghi o dei superiori, non essere coinvolti o informati delle varie decisioni aziendali che riguardano il lavoratore stesso.

Lo stress non è una malattia i cui sintomi sono evidenti a tutti, però osservando bene gli atteggiamenti e i comportamenti dei lavoratori è possibile capire se questi hanno problemi sul posto di lavoro. La cosa più importante è saper riconoscere i sintomi prima possibile per evitare che questo stato emotivo peggiori e porti a una situazione di salute fisica e mentale ben più grave.

Ma come si fa a capire quando lo stress lavoro è arrivato ormai al limite?

In primis, aumentano le assenze sul posto di lavoro (per malattia, morale basso, scarso coinvolgimento, ecc.) ed aumenta la scarsa prestazione del lavoratore che, così, rende di meno e costa di più all’azienda (lavora svogliatamente, è stanco, non è concentrato).

Ancora, aumentano i rischi di incidenti sul lavoro e le assenze causate dallo stress sono molto più lunghe rispetto a quelle causate da altri fattori.

Tutto questo, dunque, a discapito dell’azienda che vede ridurre le prestazioni ed aumentare i costi del lavoro.

Si capisce allora il ruolo chiave dello psicologo all’interno di un’azienda, di un professionista che abbia gli strumenti e le competenze per intervenire in maniera opportuna nell’individuazione e valutazione dei rischi, nell’azione di prevenzione e in quella di sorveglianza.

Ad ogni modo, l’obiettivo della valutazione del rischio stress lavoro correlato è quello di identificare i fattori di rischio in un determinato ambiente lavorativo; lo psicologo del lavoro è figura principale e procede alla valutazione esaminando le criticità emerse, con un miglioramento della vita aziendale e un progressivo aumento della competitività di questa all’interno del mondo lavorativo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

16 Gen 2018

Una giornata alla Merck: team building e gaming

Una giornata alla Merck: team building e gaming

Psyche at Work ha organizzato, in collaborazione con TouPlay, una giornata di team building e gaming in una delle aziende internazionali più importanti del settore farmaceutico, la Merck.

L’azienda in questione ha deciso di affidare alla nostra struttura un’esperienza innovativa per favorire il lavoro cooperativo, il rapporto tra dipendenti, lo sviluppo di un contesto dinamico e divertente e il gioco di squadra. Tutto questo, ovviamente, finalizzato al miglioramento dell’ambiente di lavoro con l’utilizzo del gioco come strumento per sviluppare un clima di benessere aziendale.

La giornata è iniziata con lo smistamento tra la mattina e il pomeriggio dei dipendenti dell’azienda e con la presentazione delle attività che si sarebbero svolte durante il giorno: Nuoto Sincronizzato, Tiro a Volo, Atletica Leggera, Vela.

Sicuramente il lettore si starà chiedendo perché le prove organizzate ricordano delle attività sportive; il nostro obiettivo è stato sin dall’inizio quello di considerare questa giornata come una gara tra vari ‘atleti’ (così sono stati chiamati i dipendenti) che si sarebbero sfidati per raggiungere la migliore posizione nella graduatoria finale.

Il fil rouge di queste sfide è stato il tema ‘Sicurezza sul Lavoro’, tantoché la nostra giornata ha avuto come slogan promozionale ‘Le olimpiadi della sicurezza’.

La prima attività, il nuoto sincronizzato, ha lo scopo di raffinare la tecnica e la sincronia (elementi essenziali nel nuoto): la prova si basa sul saper comunicare un pericolo per prevenirlo.

I giocatori, o meglio gli atleti, posizionati in coppie l’uno dinanzi all’altro dovevano riuscire a collaborare per disinnescare una bomba (elaborata al pc) aiutandosi con un manuale di istruzioni. Inutile dire che forse questo è stato il gioco più apprezzato da parte degli atleti che, lavorando in gruppo, non solo si divertivano nel cercare le soluzioni migliori affinché la bomba non scoppiasse ma hanno anche avuto modo di conoscersi meglio e stringere o consolidare rapporti di amicizia.

Il tiro a volo è concentrazione e adattabilità; questa prova si basa sul riconoscimento dei dispositivi di protezione individuale. È stato interessante osservare gli atleti che in gruppo cercavano di riconoscere i vari dispositivi di protezione e a volte discutevano simpaticamente tra di loro per opinioni contrastanti.

Questa attività, come anche la prossima, l’Atletica Leggera, è stata molto utile per capire se gli atleti conoscevano o meno i vari dispositivi di sicurezza da utilizzare nel caso in cui sfortunatamente succedesse qualcosa.

Una prevenzione che, insomma, non fa mai male ricordare.

La terza attività, l’Atletica Leggera, è forza e fiducia. Porta i giocatori a collaborare tra loro fidandosi l’uno dell’altro. La suddetta prova è basata sulla Tutela Ambientale.

Gli atleti, organizzati come sempre in coppie dovevano riuscire a capire come smistare in modo corretto i rifiuti nei vari cestini differenziati. Una prova del genere, per quanto possa sembrare semplice e scontata non lo è affatto, soprattutto in un ambiente come quello farmaceutico nel quale è fondamentale saper differenziare i rifiuti avendo a che fare molte volte con sostanze chimiche eccessivamente dannose per l’ambiente.

L’ultima attività, la Vela, si basa sull’attenzione e sulla motivazione e riguarda i segnali di sicurezza.

In un ambiente ampio e pieno di corridoi posizionato al piano sotterraneo dell’azienda sono stati sparsi in vari punti più o meno nascosti dei cartellini con disegni di segnali di sicurezza. Il compito degli atleti, divisi in due squadre, era quello di scoprire i vari segnali nascosti dietro i muri o lungo i corridoi della stanza.

Alla fine della giornata una giuria ha valutato l’impegno e i risultati delle squadre e dei singoli giocatori. Le Olimpiadi si sono concluse con la premiazione del Miglior Team e del Miglior Atleta.

Questa è solo una delle strategie che Psyche at Work adotta nelle aziende per favorire un clima di benessere aziendale e per cercare di ridurre al minimo il problema dello stress lavoro correlato.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.