28 Nov 2018

Burnout ed esaurimento emotivo

Burnout ed esaurimento emotivo

“Riposati ogni tanto; un campo che ha riposato dà un raccolto abbondante”. Ignoriamo continuamente questo prezioso consiglio di Ovidio, specialmente nei tempi odierni, dove siamo chiamati a “dare” oltre ogni limite, costretti ad agire come robot e dove la paura di essere rimpiazzati (sia a lavoro che nelle relazioni) ha la meglio su ogni bisogno individuale.

In questo mondo, competitivo e pretenzioso, dobbiamo mostrarci forti, instancabili e pronti ad appagare le esigenze altrui. Dimenticando di avere dei bisogni ci facciamo carico di responsabilità, conflitti e preoccupazioni senza poi ricevere attenzioni, riconoscimenti e affetto sufficienti. Ci stressiamo.

Un lungo periodo di stress può portare ad un esaurimento emotivo: ci si sente, cioè, emotivamente logorati ed esausti. Qualcuno può percepire di non avere alcun potere o controllo su ciò che succede nella propria vita, qualcun altro si potrebbe sentire intrappolato o bloccato in una determinata situazione.

Conseguenze dello stress cronico: burnout ed esaurimento emotivo

A lungo andare, questa situazione di stress cronico può portare a danni permanenti per la salute dell’individuo. Pertanto, è di rilevante importanza chiarire quali sono i sintomi, le cause e le modalità di trattamento del burnout e dell’ esaurimento emotivo. Provare ansia e sentirsi sotto stress per alcuni giorni consecutivi è normale, il problema emerge nel momento in cui lo stress diventa cronico, con conseguenze negative sul benessere dell’individuo.

Le cause del burnout e dell’ esaurimento emotivo, oltre ad un periodo prolungato di stress, sono varie e diverse da persona a persona. Tra i trigger più comuni rientrano (Tijdink, Vergouwen & Smulders, 2014):

  • lavori altamente stressanti e inerenti la cura e la tutela di altri individui (per esempio medici, infermieri, poliziotti)
  • una carriera universitaria intensa
  • esercitare un lavoro che non piace
  • diventare genitori
  • problemi finanziari o povertà
  • essere il caregiver di una persona bisognosa
  • procedure di divorzio lunghe ed estenuanti
  • convivere con una malattia cronica

Presente tra i primi segni del burnout, l’ esaurimento emotivo mostra sintomi sia di tipo emotivo che fisico, tra cui: mancanza di motivazioneproblemi di sonno, irritabilità, affaticamento fisico, sentirsi senza speranza, distraibilità, apatia, mal di testa, cambiamenti nell’appetito, nervosismo, difficoltà di concentrazione, rabbia irrazionale, aumento di criticismo o pessimismo, senso di timore e depressione (Michel, 2016).

Nell’ambito lavorativo, gli impiegati che sono sovraccarichi di lavoro ed emotivamente esausti, potrebbero iniziare a notare cambiamenti nella prestazione lavorativa come, per esempio, un peggioramento della performance, l’incapacità a rispettare le scadenze, assenteismo e, infine, una minore dedizione verso l’organizzazione/azienda (Shanafelt & Noseworthy, 2017).

Alcune strategie e piccoli accorgimenti possono aiutarci nella gestione dello stress..

Per gestire e alleviare i sintomi del burnout e dell’ esaurimento emotivo, si può iniziare con piccoli cambiamenti nella vita quotidiana.

Prima di tutto, è importante cercare di eliminare o per lo meno ridurre gli stressors (per esempio: se litighi sempre con il capo, puoi pensare di chiedere il trasferimento in un altro dipartimento).

In secondo luogo bisogna prestare attenzione alla dieta: in un periodo di stress, mangiare cibi salutari migliora la digestione, il sonno e il livello di energia e questo può avere effetti benefici anche sullo stato emotivo.

L’esercizio fisico è un’altra pratica utile per alleviare lo stress e i sintomi dell’ esaurimento emotivo in quanto l’attività fisica aumenta i livelli di endorfina e serotonina, migliorando di conseguenza lo stato emotivo.

Al contrario, l’alcol potrebbe essere causa di peggioramento dei sintomi in quanto aumenta stati ansiogeni e depressivi e interferisce con il ritmo del sonno, fattore cruciale per la salute mentale.

Momenti di pausa, una vacanza o semplicemente prendersi del tempo per se stessi può essere estremamente utile per ridurre il peso dello stress, in alcuni casi però ciò potrebbe non essere sufficiente ed è perciò importante chiedere aiuto ad professionista della salute mentale (Durocher, Marti, Morin & Wakeham, 2018).

In conclusione

Una condizione di stress, se prolungata, può condurre oltre al burnout e all’ esaurimento emotivo anche a problemi di salute che riguardano il sistema immunitario, il metabolismo e il benessere mentale.

Si tratta di condizioni trattabili, ma perchè l’intervento e il trattamento permettano davvero alla persona di raggiungere un nuovo stato di benessere è necessario definire la natura del burnout e dell’ esaurimento emotivo, informare circa i suoi sintomi in modo da riconoscerlo e prevenire ulteriori conseguenze negative.

21 Nov 2018

L’intelligenza emotiva: la nuova competenza per il successo

L’intelligenza emotiva: la nuova competenza per il successo

Inserita tra le prime 10 competenze richieste entro il 2020 dal World Economic Forum, ricercata dai recruiter e incoraggiata dagli imprenditori: l’intelligenza emotiva riveste sempre più importanza nel mondo del lavoro. A dimostrarlo è lo studio Workplace Trend 2018 realizzato dal Gruppo Sodexo, dal quale emerge non solo che il 34% degli headhunter danno molta importanza a questa qualità nelle selezioni, ma anche che creare un ambiente di lavoro in grado di stimolare l’intelligenza emotiva è il trend del momento. Secondo gli esperti questa qualità è vitale per la carriera ed esserne dotati è addirittura più importante rispetto a possedere un alto quoziente intellettivo: la maggior parte delle persone di successo infatti possiede un buon livello di IE.

Ma che cos’è l’intelligenza emotiva? Lo psicologo di fama mondiale Daniel Goleman la definisce come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e di saper gestire le emozioni in modo efficace. Una qualità più rara di quanto si possa pensare e di difficile valutazione, dato che secondo un team di studiosi della Yale University viene sovrastimata dall’80% delle persone.

La quotidianità è costellata di esperienze emotive: se ne vivono oltre 500 al giorno, ma si è coscienti solo di una piccola frazione. Tuttavia, esse danno un tono a ogni interazione: questa consapevolezza porta a capire la necessità di esplorare le emozioni sul posto di lavoro, motivo per cui l’intelligenza emotiva è diventata un’abilità chiave di aziende e leader che, se coltivata, può migliorare anche del 70%.
Un’importanza sottolineata anche dai protagonisti del mondo delle imprese: “Da decenni s’indaga sull’intelligenza emotiva, che oggi rappresenta un elemento imprescindibile per districarsi in un mondo in continuo mutamento, caratterizzato da un’economia globale e da cambiamenti demografici che rendono sempre più diversificate le tipologie di clienti – afferma Stefano Biaggi, Amministratore Delegato di Sodexo Italia – L’ambiente di lavoro e le relazioni che si instaurano giocano un ruolo importante nel permettere alle persone di esprimere lo spettro completo delle emozioni. Esistono tecniche per comprendere e misurare le emozioni: attraverso i dati psicografici raccolti con la metodologia di Personix è possibile delineare le motivazioni dominanti tra i dipendenti dell’azienda, relative ad attitudini, stile di vita, personalità e valori.

Per il prof. Cary Cooper della Manchester Business School, noto docente esperto in psicologia organizzativa e della salute, la recessione ha segnato un prima e un dopo nel mondo lavorativo. Meno persone svolgono più lavoro, di conseguenza sono più incerte rispetto all’occupazione e si sentono meno valorizzate, ma come uscire da questa impasse valorizzando le risorse più dotate d’intelligenza emotiva? “La base dell’IE nelle organizzazioni è avere dei manager in grado di tradurre le loro forti competenze sociali e interpersonali in comportamenti e strategie di leadership – ha rivelato il prof. Cooper – Questo crea le adeguate condizioni psicologiche e fisiche per far sentire i collaboratori motivati, apprezzati e degni di fiducia”.
Secondo Goleman, inoltre, oggi si tende a essere meno pazienti nei confronti dei leader ritenuti “cattivi capi”, ovvero coloro che non sono capaci di ascoltare, guidare e condividere i meriti. Questo è vero soprattutto per Millennials e Generazione Z, parte della forza lavoro in rapida crescita. Ma a chi si devono affidare le aziende per migliorare? “Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra – ha affermato il dott. Goleman – Queste sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo”.
Per creare un ambiente di lavoro emotional-friendly innanzitutto occorre aumentare l’intelligenza emotiva all’interno delle organizzazioni assumendo talenti con maggiori competenze di IE. Inoltre, pratiche come l’experience design possono aiutare a scoprire i bisogni e le motivazioni dei lavoratori e a capire come migliorare la loro esperienza lavorativa.

Negli ambienti incentrati sulla persona i collaboratori si sentono più apprezzati e connessi all’organizzazione e sono incoraggiati a esprimere e condividere le proprie emozioni e possono dare il meglio al lavoro a beneficio delle persone, del team e dell’intera organizzazione. Creare spazi dove le persone possano lavorare in privato o prendere una pausa sono, per esempio, caratteristiche di un ambiente emotivamente intelligente.

Per valorizzare al meglio l’intelligenza emotiva in azienda, ecco i 4 ambiti che compongono il modello delle competenze dell’intelligenza emotiva e sociale realizzato da Richard Boyatzis, professore di economia alla Case Western Reserve University e da Daniel Goleman, che analizza il punto di vista dei lavoratori e delle aziende:

1) Autoconsapevolezza (sapere cosa sento e perché lo sento)
– Dal punto di vista del lavoratore: è segno di maggiori possibilità di successo.
– Dal punto di vista dell’azienda: le imprese con più collaboratori autoconsapevoli hanno performance migliori delle altre.

2) Autogestione (gestire le emozioni stressanti e individuare le emozioni positive)
– Dal punto di vista del lavoratore: le persone che gestiscono efficacemente le proprie emozioni subiscono meno lo stress correlato al lavoro.
– Dal punto di vista dell’azienda: i leader che gestiscono bene le emozioni ottengono risultati migliori.

3) Consapevolezza sociale (riconoscere ed empatizzare con le emozioni altrui)
– Dal punto di vista del lavoratore: l’80% degli impiegati pensa che l’empatia sul lavoro debba aumentare.
– Dal punto di vista dell’azienda: l’abilità dei leader di essere empatici è correlata a maggiori profitti e produttività.

4) Gestione delle relazioni (lavorare efficacemente con gli altri, risolvere i conflitti, ispirare e motivare)
– Dal punto di vista del lavoratore: il 46% dei professionisti crede che le amicizie sul lavoro siano importanti per essere felici.
– Dal punto di vista dell’azienda: per il 77% dei lavoratori è importante essere in buoni rapporti con i colleghi.

14 Nov 2018

Cosa sono le Life Skills

Cosa sono le Life Skills

Il termine di Life Skills viene generalmente riferito ad una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base, che consentono alle persone di operare con competenza sia sul piano individuale che su quello sociale. Sono abilità e capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale possiamo affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana.

“… Le Life Skills sono le competenze che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.

 Descritte in questo modo, le competenze che possono rientrare tra le Life Skills sono innumerevoli e la natura e la definizione delle Life Skills si possono differenziare in base alla cultura e al contesto. In ogni caso, analizzando il campo di studio delle Life Skills emerge l’esistenza di un nucleo fondamentale di abilità che sono alla base delle iniziative di promozione della salute e benessere di bambini e adolescenti.” *

Il nucleo fondamentale delle Life Skills identificato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) è costituito da 10 competenze

Consapevolezza di sé

Gestione delle emozioni

Gestione dello stress

Comunicazione efficace

Relazioni efficaci

Empatia

Pensiero Creativo

Pensiero critico

Prendere decisioni

Risolvere problemi

Tali competenze possono essere raggruppate secondo 3 aree:

  • EMOTIVE– consapevolezza di sè, gestione delle emozioni, gestione dello stress
  • RELAZIONALI – empatia, comunicazione efficace, relazioni efficaci
  • COGNITIVE – risolvere i problemi, prendere decisioni,pensiero critico, pensiero creativo

“…  Le Life Skills, così come noi le intendiamo, possono essere insegnate ai giovani come abilità che si acquisiscono attraverso l’apprendimento e l’allenamento.

Inevitabilmente, i fattori culturali e sociali determineranno l’esatta natura delle Life Skills. Per esempio, in alcune società, il contatto visivo potrà essere incoraggiato nei ragazzi per una comunicazione efficace, ma non per le ragazze.

Le Life Skills rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli atteggiamenti ed i valori in reali capacità, cioè sapere cosa fare e come farlo.

Acquisire e applicare in modo efficace le Life Skills può influenzare il modo in cui ci sentiamo rispetto a noi stessi e agli altri ed il modo in cui noi siamo percepiti dagli altri.

Le Life Skills contribuiscono alla nostra percezione di autoefficacia, autostima e fiducia in noi stessi.

Le Life Skills, quindi, giocano un ruolo importante nella promozione del benessere mentale. La promozione del benessere mentale incrementa la nostra motivazione a prenderci cura di noi stessi e degli altri, alla prevenzione del disagio mentale e dei problemi comportamentali e di salute.” *

07 Nov 2018

La social collaboration: l’individuo al centro dei processi aziendali

La social collaboration: l’individuo al centro dei processi aziendali

L’azienda che non riuscirà a ingaggiare i suoi utenti con la stessa esperienza d’uso che questi provano nella quotidianità frenerà di fatto il proprio potenziale d’innovazione. La capacità di far circolare, di gestire e di utilizzare le informazioni per accelerare i processi decisionali è oggi infatti un requisito indispensabile per ogni organizzazione. Ma per soddisfarlo, è necessario che l’innovazione sia orientata alla dimensione umana – a partire dalle capacità di comunicazione e di collaborazione – e che sia supportata da tecnologie – interfacce d’uso e intelligenza artificiale in primis – in grado di non creare discontinuità tra il modo in cui le persone vivono e lavorano.

L’obiettivo è quindi creare e diffondere la conoscenza, e stimolare e governare la circolazione delle informazioni attraverso forme di collaborazione efficienti e flessibili. Le piattaforme di social management rispondono a questa esigenza: da una parte rispecchiano il nuovo trend comunicativo social, dall’altra permettono di gestire meglio i processi, analizzare e storicizzare i flussi comunicativi  per creare una conoscenza aziendale condivisa e al contempo favorire l’engagement tra le persone.

Le aziende italiane stanno cogliendo l’importanza della collaborazione e dei suoi immediati impatti sulle performance aziendali. Da una recente indagine di IDC, emerge che oltre il 50% delle medie e grandi imprese italiane percepisce come benefici dell’adozione di una piattaforma di collaborazione la maggiore affidabilità e la maggiore velocità dei processi e delle persone.

L’imperativo della social collaboration è progettare i processi di comunicazione e collaborazione con l’individuo al centro: il dipendente, il partner, il cliente. Le imprese che ci stanno riuscendo stanno abbattendo i silos aziendali, alimentando la cultura del talento, migliorando l’interazione dell’intera organizzazione sul piano delle conversazioni, dei contenuti e dei dati, con l’ausilio di tecniche di intelligenza artificiale e di machine learning.

Naturalmente, esistono ancora barriere da superare, evidenzia IDC: per esempio, che non tutti i lavoratori sono “knowledge worker” e hanno compreso appieno le potenzialità delle tecnologie digitali; oppure il fatto che sono ancora poche le imprese italiane che investono per favorire l’engagement di tutte le tipologie di lavoratori; infine, che sebbene i modelli SaaS siano più agili, efficienti e a prova di futuro, molte aziende italiane ancora non ritengono il cloud un’alternativa in grado di offrire la sicurezza e i livelli di personalizzazione richiesti.