30 Ott 2019

L’empatia nei luoghi di lavoro

L’empatia nei luoghi di lavoro

Ti è mai capitato di arrivare in un luogo di lavoro e di cercare un sorriso, uno sguardo di complicità o qualcuno che ti aiutasse ad ambientarti in fretta? Spesso questa ricerca si trasforma solo in illusione. Ciò non significa che chi ci circonda sia antipatico o maleducato ma semplicemente siamo poco abituati ad ascoltare i bisogni dell’altro e a dedicarci alle relazioni interpersonali. In ogni contesto di lavoro, è fondamentale sviluppare un ascolto empatico, ovvero un ascolto consapevole e basato sul desiderio di creare un team solido, affinché si possa creare un’unione tra benessere personale e produttività. Quando viene a mancare l’empatia, è difficile lavorare bene. Chi non riesce a creare rapporti solidi con i colleghi non si sente parte integrante di una squadra. È un atteggiamento che non fa bene al dipendente che si sente sempre più demotivato, ma anche all’azienda che dovrebbe incrementare il benessere e la gratificazione del personale.

Ma cosa è l’empatia?

L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e pensieri. È un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”. L’empatia è un’abilità sociale di fondamentale importanza e rappresenta uno degli strumenti di base di una comunicazione interpersonale efficace e gratificante.

Oltre a portare vantaggi al singolo, l’empatia porta interessanti profitti anche all’azienda, in quanto secondo fonti americane:

  • il 42% dei consumatori evita di acquistare prodotti o servizi da un’azienda che percepisce come poco empatica;
  • il 56% dei lavoratori rimarrebbe volentieri in un’azienda che dimostra attenzione ed empatia per i dipendenti:
  • il 40% dei lavoratori resterebbe volentieri qualche ora in più in ufficio, se a chiederglielo fosse un capo empatico e disponibile.

Consigli per migliorare l’empatia nei luoghi di lavoro

empatia 2

  1. Impara cose nuove. Acquisendo nuove conoscenze (e competenze), ti metterai in gioco ed uscirai dalla tua comfort zone.
  2. Va’ oltre i convenevoli.Sforzati di intavolare conversazioni che vadano oltre il semplice “Ciao, come stai?” o  “Hai visto che bella giornata!”. Discutere e confrontarsi su temi robusti e profondi aiuta a cementare rapporti proficui al lavoro.
  3. Chiedi riscontro a chi ti conosce bene. Affidati ai suggerimenti di amici e parenti che ti conoscono bene e che possono aiutarti a diventare più empatico.
  4. Fai autocritica. Individua i tuoi punti deboli e cerca di combatterli perché possono compromettere seriamente il rapporto coi colleghi.
  5. Ascolta senza interrompere.E’ una manifestazione di rispetto e di considerazione che va a braccetto con l’empatia.
  6. Sorridi di più.Cerca di lasciare i pensieri negativi fuori dall’ufficio e sforzati di mostrare il tuo lato migliore alle persone che collaborano con te.
  7. Concedi i giusti riconoscimenti a chi se li merita. Manifestare ammirazione per il lavoro altrui è un gesto nobile che, prima o poi, verrà ricompensato.
  8. Chiama i tuoi colleghi per nome. Dà un senso di confidenza che dovrebbe contribuire a rendere più informali e distesi i rapporti.
  9. Chiedi sempre il parere degli altri. Confrontati e mantieni un atteggiamento di apertura nei confronti di chi ti sta accanto.
  10. Usa il linguaggio del corpo in maniera consapevole. Evita di eccedere con la gestualità e la mimica e rapportati sempre in maniera educata e controllata.
  11. Non ti distrarre durante le conversazioni. L’empatia passa anche (e soprattutto) dall’attenzione che destini a chi sta interagendo con te.
  12. Chiedi ai tuoi colleghi di spiegare bene quello che pensano. Dai a tutti l’opportunità di esprimersi liberamente, soprattutto se ricopri un ruolo di responsabilità al lavoro.
  13. Rispetta il punto di vista degli altri. Non si tratta di mettere in discussione tutto quello in cui credi, ma di mostrarti rispettoso delle visioni degli altri. Anche e soprattutto quando non collimano con le tue.
  14. Incoraggia i colleghi e sii di supporto. Se ti mostrerai empatico e comprensivo di fronte ad un errore di un tuo collega, anche tu riceverai sostegno nei momenti di difficoltà.
  15. Mostrati paziente e calmo. Solo chi dimostra di essere solidale, disponibile, calmo e paziente riuscirà a conquistarsi la fiducia dei colleghi.
  16. Apriti agli altri e non avere paura di mostrare la tua vulnerabilità. Più ti mostrerai autentico e trasparente e meglio sarà.
  17. Sii flessibile e aperto ai cambiamenti. Inutile arrabbiarsi perché un progetto è sfumato o ha preso un’altra direzione. Le cose possono cambiare e sfuggirti di mano in ogni momento.
  18. Fai più domande. Empatia vuol dire mettersi in connessione con gli altri. Coltiva la tua curiosità ed esplora sempre terreni nuovi: crescerai al lavoro e nella vita privata.

E’ scientificamente provato che l’atteggiamento empatico attiva aree celebrali legate alle emozioni positive, tralasciando quelle negative. Tutto questo influenza l’esecuzione del lavoro, soprattutto nei periodi di forte stress. Inoltre, un ambiente lavorativo fatto di fiducia, serenità e connessione emotiva, assicura un buono stato di salute per i dipendenti.

Provare per credere.

 

 

30 Ott 2019

L’importanza di esprimere le proprie emozioni: la narrazione

L’importanza di esprimere le proprie emozioni: la narrazione

Chiunque abbia mai affidato un preoccupante segreto a un diario, o abbia pianto con un amico, conosce la sensazione di sollievo che l’espressione di emozioni dolorose può portare. Gli individui cercano sempre di comprendere i grandi sconvolgimenti nelle loro vite. Molte sono le ricerche che affermano che scrivere sulla propria vita, sui pensieri e sulle emozioni provate aiuta a dare un senso maggiore alle proprie esperienze. La narrazione aiuta a comprendere e spiegare l’esperienza umana. Raccontare le proprie storie ha una funzione di empowerment, poiché raccontare porta a scoprire significati profondi della nostra vita, a riappropriarsi dell’esperienza vissuta, a ricostruire la propria esperienza, resa quasi irriconoscibile dal rincorrersi delle azioni e situazioni.

Il valore delle narrazioni autobiografiche è riconosciuto dagli psicologi in quanto il “raccontarsi” diventa un vero e proprio processo terapeutico: con la narrazione il paziente può uscire dal ruolo di protagonista assumendo la posizione di spettatore dei fatti, in questo modo avviene un distacco emotivo che facilita una visione più oggettiva degli eventi.

La narrazione è diventata, ormai, uno strumento straordinario per il benessere:

  • Perché consente di affrontare e rielaborare esperienze e vissuti importanti e vitali della vita del soggetto;
  • Perché favorisce la creazione di mondi possibili (e se…) e quindi individuare e immaginare soluzioni creative e differenti da quelle esperimentate nella realtà;
  • Perché una narrazione è di per sé fonte di esperienze emotivamente positive, piacevoli e motivanti;
  • Perché è una esperienza che coinvolge mente e corpo

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La narrazione può essere utilizzata anche da coloro che hanno vissuto esperienze traumatiche. Sappiamo come il trauma generi una frattura nell’esperienza vissuta provocando spesso dei fenomeni di rimozione o di sospensione del pensiero conseguenti all’innalzamento delle difese della psiche. Chi ha vissuto un’esperienza traumatica, oltre a sperimentare una profonda sofferenza emotiva, può avere conseguenze sulla propria identità, coscienza e memoria, influendo in modo profondo sul significato e sul valore della vita e delle relazioni con gli altri. Se una persona si impegna a inglobare il trauma nella sua vita, ne derivano una serie di cambiamenti che includono la rivalutazione positiva dell’esperienza traumatica, la ricerca di benefici, la crescita post-traumatica (crescita personale), che comporta un aumento del significato percepito, della forza personale e un miglioramento delle relazioni.

Questo strumento viene utilizzato anche nei contesti di cura, perché la sofferenza richiede di essere inserita in racconti reali per acquisire un senso preciso, diventare condivisibile e trasformarsi in risorsa. Molte ricerche dimostrano che la narrazione in contesti di cura aiuta a raggiungere alti livelli di benessere sia per il paziente che per coloro che con esso si relazionano. In questo modo, la narrazione diventa una potente forma di espressione della sofferenza e delle esperienze legate ad essa. Quando agli individui viene chiesto di scrivere o parlare di esperienze che li turbano personalmente, si riscontrano miglioramenti significativi nella salute fisica. Al contrario, il non confidare le proprie esperienze significative è associato ad un aumento di tassi di malattia, ruminazioni e altre difficoltà.

Comunicare idee e pensieri ad altri include due funzioni: la prima è aiutare la persona a raggiungere una certa comprensione cognitiva dell’evento; la seconda assume più un carattere sociale, in quanto quando parliamo agli altri delle nostre esperienze, richiamiamo la loro attenzione sul nostro stato psicologico e quindi ci permette di restare più legati a loro. Al contrario, il non parlarne porta ad una condizione di distanza e isolamento. Parlare di un’esperienza emozionale può aiutarci a integrarci maggiormente nella nostra rete sociale.

Possiamo concludere quindi che creare una storia è essenziale per l’adattamento, l’integrazione del trauma e lo sviluppo del benessere.

23 Ott 2019

Perdita del lavoro: il modello dell’elaborazione del lutto

Perdita del lavoro: il modello dell’elaborazione del lutto

Il lavoro è un’attività complessa: esso costituisce lo strumento principale per ottenere le risorse per vivere ed è un valore molto importante nella nostra cultura. Il significato che un individuo attribuisce al lavoro può dipendere da diversi fattori che interagiscono tra loro. Ma per la maggior parte dei casi solo una minoranza lo percepisce unicamente come forma di sostentamento. Il lavoro è dovere, diritto e anche bisogno, un bisogno di vivere un senso di interezza e sicurezza, di capire e comunicare chi siamo. Il suo significato è sociale, economico e psicologico.

Per tutti questi motivi, la perdita del lavoro è percepita dall’individuo come una ferita, un fallimento. Di fronte al trauma della perdita del lavoro l’individuo oltre a sperimentare sentimenti di frustrazione, può mettere in atto risposte di tipo cognitivo, comportamentale, emotivo e reazioni inconsce. La perdita di lavoro, improvvisa o no, genera in ogni persona un insieme di sentimenti di smarrimento misti a rabbia e sconforto, che sono difficili da affrontare nell’immediato e che se non ben gestiti, sul lungo termine, possono portare a blocchi e problematiche psicologiche anche gravi.

disoccupato

La perdita di lavoro è stata associata al concetto di elaborazione del lutto. È necessario attraversare delle fasi di elaborazione per comprendere e agire nel migliore dei modi in situazioni di questa tipologia. Uno dei più importanti modelli che descrive le fasi del processo di elaborazione del lutto è stato realizzato dalla psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross nel 1969. Gli americani Finley e Lee hanno condotto una serie di ricerche sulla forma di lutto rappresentata dalla perdita del lavoro e, nel 1981, sono giunti ad ampliare il modello precedente aggiungendo due fasi: “shock” e “sollievo”. Pertanto, le fasi che compongono il processo di elaborazione della perdita professionale sono complessivamente 7:

  1. Shock: il soggetto sperimenta un trauma fisico e mentale e immobilizzazione. Il panico produce confusione e incapacità di pensare;
  2. Negazione o incredulità: è l’impossibilità di pensare che ciò che è successo sia vero, aggrappandosi alla speranza che sia un errore. La negazione tampona notizie scioccanti e inaspettate, permettendo alla persona di mobilizzare altre difese, meno radicali;
  3. Sollievo: soprattutto per i dirigenti, l’informazione viene fornita con anticipo rispetto all’effettivo licenziamento, in altri casi la notizia non viene diffusa ma iniziano a circolare delle voci in azienda. Ciò porta il soggetto a vivere nella condizione di sentirsi prossimo al licenziamento e quando questo si verifica la persona prova una sorta di sollievo;
  4. Rabbia: che è diretta sia all’esterno che all’interno. Il soggetto è arrabbiato perché si sente rifiutato, abusato e trattato ingiustamente. Questa rabbia è alimentata da sentimenti di frustrazione e colpa per non aver agito prima che la situazione sfuggisse di mano;
  5. Contrattazione: è il tentativo di rovesciare il processo di conclusione. La contrattazione è motivata da sentimenti di incredulità, vergogna per i propri sentimenti di sollievo e paura per l’incapacità di evitare la lettera di licenziamento. Questa fase è breve poiché spesso l’azienda ha già esposto la possibilità di supportare la persona con un intervento di outplacement;
  6. Depressione: una volta compreso che i tentativi di rinegoziazione sono inutili, la persona si deprime e tende ad allontanarsi dagli altri. Questa fase è caratterizzata da un’esperienza non familiare di non sentirsi in grado di prendere decisioni. Il sonno diventa interrotto e irregolare, e la stanchezza fisica durante il giorno è aggravata da sentimenti ansiogeni;
  7. Accettazione: con il tempo i soggetti raggiungono uno stato di pace: non sono depresse, né arrabbiate.

È importante arrivare alla fase di accettazione affinché le persone possano impegnarsi in modo giusto alla ricerca di un lavoro. Il compito dei consulenti è individuare la fase in cui si trovano i soggetti, e aiutarli a raggiungere un atteggiamento diverso verso la propria condizione rendendola più accettabile.

Sin da subito bisogna rispondere in prima persona alla costruzione del nuovo progetto professionale e non farsi trascinare dagli eventi o dalle emozioni negative. È importante ricordarsi che siamo esseri abitudinari e il tempo è una risorsa preziosa per cui, se si vuole rientrare velocemente nel mercato del lavoro, è meglio darsi da fare subito e abituarsi a non disperdere il tempo disponibile e ad impiegare almeno metà della giornata a cercare lavoro o a costruire il proprio progetto professionale.

Ricorda sempre: il lavoro è un diritto dell’uomo per cui tutti possono farcela perché ognuno ha le risorse per soddisfare questo bisogno.