
L’intreccio tra lavoro e famiglia delinea un tema di particolare interesse per gli studi psicologici, soprattutto se si considerano i cambiamenti legati alla maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro.
Inoltre, le trasformazioni legate alle nuove tecnologie rendono sempre più sottile la linea che divide il lavoro dal resto della vita in quanto, da un lato, queste ultime permettono di rispondere prontamente alle responsabilità e richieste lavorative, dall’altro, le stesse possono essere percepite come intrusive dal lavoratore e potrebbero invadere la vita privata, anche al di fuori delle ore lavorative prestabilite.
A tal proposito, Rosabeth Moss Kanter, scienziata e scrittrice sociale americana, ha il merito di aver avviato un filone di studi che considera i due mondi come non più separati, aprendo così la strada all’idea di poter conciliare i diversi ruoli, cogliendo, in tal senso, le opportunità di arricchimento reciproche offerte da ciascuno di essi.
Ma cosa genera il conflitto Lavoro-Famiglia?
Possiamo considerare il conflitto lavoro-famiglia come “una forma di conflitto inter-ruolo in cui le pressioni di ruolo dal dominio del lavoro e da quello della famiglia sono mutamente incompatibili. La partecipazione al ruolo lavorativo è infatti resa più difficile dalla partecipazione al ruolo familiare e viceversa (Greenhaus e Beutell, 1985).
Il conflitto lavoro-famiglia trova origine nella teoria del ruolo e nell’ipotesi del role strain. Nello specifico, il sociologo William Goode ritiene che adempiendo a diversi ruoli possa nascere una tensione tra gli stessi, a cui segue la difficoltà di portare a termine i rispettivi obblighi di ciascun ruolo. Gli individui cercano di adempiere ai compiti che derivano dai diversi ruoli in modo ottimale, impegnandosi e mettendo in atto strategie che richiedono continui compromessi e processi di contrattazione.
Il costrutto è bidirezionale in quanto l’individuo può avvertire un maggiore conflitto nella direzione lavoro-famiglia o viceversa. Il conflitto può essere dunque sia reciproco che asimmetrico (ad esempio, nel caso in cui la persona percepisce che il proprio lavoro invade la vita familiare ma non il contrario).
Generalmente, però, gli individui dichiarano di percepire un maggiore conflitto nella direzione lavoro-famiglia, e ciò può essere causa di un’insoddisfazione sul posto di lavoro e, di conseguenza, una delle possibili determinanti dell’assenteismo e dell’intenzione di cambiare impiego.
Il modello dello spillover
Il modello dello spillover considera la permeabilità dei due mondi non solo in termini negativi, ma anche, secondo un’accezione positiva, nei termini di sentimenti, abilità, valori e comportamenti che da un contesto tendono a scivolare nell’altro, portando di fatto ad un arricchimento bidirezionale dei due mondi (lavoro-famiglia e viceversa). Vengono dunque individuati i vantaggi che derivano dalla partecipazione ai diversi ruoli, visti ora come fonte di arricchimento per l’individuo, e gli aspetti positivi che influenzano quest’ultimo, aiutandolo così a raggiungere il benessere individuale.
In sintesi, si inizia a considerare la relazione lavoro-famiglia in termini positivi, passando da un clima caratterizzato da stress, conflitti e compromessi, ad un clima che coglie il coinvolgimento e l’arricchimento che deriva dall’unione dei due mondi.
Cosa intendiamo per equilibrio? (Work-family balance)
Quando si parla di equilibrio (balance), si tende a considerare quest’ultimo semplicemente come assenza di conflitto. Tendiamo infatti a credere che una riduzione di conflitto lavoro-famiglia coincida con un maggiore equilibrio. Tuttavia, questa posizione non è del tutto condivisibile in quanto l’equilibrio è uno stato psicologico significativamente diverso dall’assenza di conflitto. È dunque importante fare una distinzione tra i due concetti, perché i meccanismi che riducono il conflitto non necessariamente promuovono l’equilibrio.
In termini di ricerca, la prospettiva situazionalista risulta la più consona in quanto considera l’equilibrio come strettamente dipendente dalle situazioni; difatti, essa coglie la variabile contestuale e non riduce la complessità del costrutto di work-family balance, anzi ne evidenzia la sua particolarità e considera con attenzione la situazione specifica che l’individuo sta vivendo così da poter individuare i suoi bisogni e attuare strategie adeguate alle diverse situazioni.
Quali strategie si possono attuare per promuovere la conciliazione tra i due mondi?
L’organizzazione ha indubbiamente un ruolo fondamentale nel sostenere la conciliazione tra lavoro e vita privata. Se essa decide di adottare un approccio family-friendly, allora dovrà necessariamente prevedere programmi che offrano sostegno al dipendente, soluzioni su misura e che prendano in considerazione le differenze individuali.
Le strategie a sostegno del dipendente possono riguardare diversi livelli di intervento:
- strategie basate sull’orario (orario flessibile, lavoro part-time, permessi per i neogenitori);
- strategie basate sull’informazione (servizi/sportelli di documentazione, assistenza e supporto, siti web lavoro-vita che offrono informazioni e forum di scambio);
- strategie economiche (buoni/convenzioni, assicurazione sanitaria, facilitazioni per i prestiti);
- servizi diretti (asili aziendali, centri benessere/palestre interni all’azienda, sostegno per le emergenze);
- strategie di cambiamento culturale (formare manager e supervisori a sostenere e comprendere le esigenze dei loro collaboratori in termini di conciliazione).
L’obiettivo dei programmi family-friendly è la conciliazione lavoro-famiglia attraverso la promozione e il sostegno dell’equilibrio dei due mondi, ciò al fine di permettere all’individuo di ottenere riscontri positivi (piuttosto che negativi) da entrambe le direzioni.