28 Mag 2018

Work engagement.

Work engagement.

Con work engagement si intende un concetto associato alla relazione positiva delle persone con il proprio lavoro.  Questo termine fa riferimento alla propensione del lavoratore a essere pienamente presente nell’organizzazione, alla disponibilità degli individui di agire in modo da perseguire gli interessi della struttura per la quale si lavora sentendosi attratti, dediti ed entusiasti.

Alcuni autori considerano l’engagement come una delle estremità di un continuum.  In questo caso l’engagement ed il burnout sono visti come due elementi di un unico processo. Alla base di tale assunto, può essere ricondotta la credenza che un lavoro inizialmente significativo perda con il tempo questa sua peculiarità, diventando privo di stimoli.

Un’altra prospettiva descrive il work engagement come uno stato di “ coinvolgimento emotivo”. Il costrutto viene considerato come un’opposizione rispetto all’esaurimento, in quanto caratterizzato da energia, coinvolgimento e percezione di efficacia, tre dimensioni opposte rispetto a quelle che descrivono il burnout. Secondo questo filone di ricerche, quindi, il work engagement è considerato un’antitesi in chiave positiva del burnout. Dunque il burnout ed il work engagement sono considerati come due concetti indipendenti.

Il work engagement è caratterizzato da tre peculiarità:

  1. vigore: un alto livello di energia nel proprio lavoro che permette di investirvi nonostante le difficoltà;
  2. dedizione: forte coinvolgimento nel proprio lavoro, viverlo come una sfida e associarlo a un’esperienza significativa per sé;
  3. assorbimento: estrema concentrazione nel proprio lavoro per cui il tempo sembra trascorrere molto velocemente e si hanno difficoltà nel distaccarsene;

Il costrutto presenta molte caratteristiche associate al lavoro, come la soddisfazione, le risorse, la performance lavorativa, l’impegno verso l’organizzazione, sottolineando come anche altre comportamenti in ambito lavorativo, quali ad esempio il turnover o comportamenti produttivi al lavoro, potessero essere identificati con il work engagement.

Infine, l’engagement è stato associato da alcuni studiosi a particolari tratti della personalità. E’ stata proposta la tesi, secondo cui, nonostante siano innegabili le associazioni tra alcuni dei costrutti sopraelencati e il work engagement, le evidenze empiriche dimostrano l’impossibilità di identificare l’engagement con uno dei concetti già esistenti attribuendogli così uno status di unicità.

22 Mag 2018

Diversity management.

Diversity management.

Uno dei valori fondamentali della nostra epoca è la diversità. Questo termine deriva dal latino divertere (volgere altrove, deviare) e racchiude al suo interno due significati. Viene utilizzato per indicare il non noto, ciò che è diverso dal solito, che suscita paura e viene visto come minaccia. Al contrario, lo stesso termine riconduce al verbo divertirsi ovvero include la dimensione della curiosità, della scoperta, dell’apertura al mondo. Gestire la diversità, dunque, implica l’avventurarsi all’interno di un paradosso.

La diversità fa parte della storia di ogni essere umano, in quanto ognuno è unico e caratterizzato da una propria cultura, ricchezza, prospettiva, scambi, crescite, necessità. Nonostante ciò, la diversità viene tuttora percepita prevalentemente come un pericolo, una minaccia che caratterizza il nostro sistema di relazioni. Ovviamente risulta più comodo e sicuro affrontare ciò che già si conosce. Ma questo processo a che risultati può condurre?

Quasi sempre, nei discorsi sulla diversità, il tema della relazione con l’altro viene affrontato generalmente in modo superficiale, nell’illusione che l’inclusione di una minoranza possa avvenire semplicemente leggendo un manuale sull’argomento. Raramente si riesce a prendere consapevolezza che ognuno di noi è unico e dunque diverso dagli altri. Riflettendo più accuratamente capiremmo che ognuno di noi possiede abitudini per se stesso ovvie e giuste ma per non per l’altro, pur appartenendo alla stessa cultura o parlando la stessa lingua.

Ogni volta che entriamo in relazione con l’altro ci troviamo quindi di fronte ad una scelta: possiamo considerarlo un nemico oppure farci catturare dalla curiosità di conoscerlo. La nostra stessa identità si costruisce in base alle caratteristiche che rileviamo nelle persone che ci circondano. E’ importante ascoltare, vedere e riconoscere le opportunità che questo rapporto ci offre nel contesto in cui viviamo, sia esso azienda o società.

Investire su competenze quali ascolto, empatia, leadership è la strada giusta per affrontare il tema della diversità in un’ottica positiva. Per comprendere la diversità bisogna essere disposti a farsi contaminare, comprendere che all’interno di ognuno di noi risiedono pluralità.

Ancora oggi le organizzazioni tendono a premiare la competizione attraverso strategie individuali e non di squadra. Per realizzare un progetto solido in tema di diversity è necessario intraprendere la strada dell’inclusione. Svolgere un accurato lavoro di introspezione per comprendere la propria realtà, la propria visione del mondo, le proprie motivazioni e la propria struttura valoriale. All’interno dell’organizzazione questo lavoro ci aiuta a scoprire, prevenire e risolvere le barriere esistenti generatrici di conflitti che coinvolgono uomini e donne, ma anche generazioni o etnie differenti, che in molti casi possono sfociare in vere e proprie battaglie ideologiche.

15 Mag 2018

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Schein definiva la cultura organizzativa come “l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. Tre sono i livelli di cui la cultura si compone:

  • gli artefatti: elementi visibili come il linguaggio, il dress code, gli arredamenti;
  • valori dichiarati: ossia le strategie, gli obiettivi, la filosofia, che si ritrovano in comportamenti pubblici o in dichiarazioni ufficiali;
  • gli assunti taciti: come le convinzioni inconsce, date per scontate, così radicate nella cultura che è quasi impossibile modificarle.

Molti autori affermano che una coesa cultura organizzativa sia la chiave del successo di molte aziende. Infatti, consolidando il senso di appartenenza, la cultura organizzativa stimola i lavoratori a impegnarsi maggiormente verso l’obiettivo finale. Nell’attuale panorama del lavoro globalizzato, le imprese sono spinte ad acquisire risorse umane sempre più diverse culturalmente. Dunque risulta per loro necessario conciliare le differenze culturali con un contesto aziendale coeso. E’ necessaria una gestione cross-culturale delle risorse umane.

A volte, però, avviene un processo negativo.

Antropologicamente la cultura è descritta come l’insieme di significati che una comunità attribuisce alla realtà. Dunque, la cultura varia in base all’epoca storica e allo spazio geografico in cui si sviluppa. Il processo di creazione di cultura fallisce quando coincide con l’etnocentrismo, ovvero il pregiudizio per cui la propria cultura sia la migliore in assoluto. Così come la società, le organizzazioni sono micro-comunità che strutturano sistemi di credenze, a seconda del contesto territoriale, sociale, economico, finanziario, politico, tecnologico, culturale.

Il problema nasce quando il grado di coesione della cultura organizzativa diviene eccessivo, degenerando in etnocentrismo organizzativo. Si sviluppa una concezione per cui la cultura vigente nella propria azienda sia migliore delle altre e quindi il proprio modo di operare sia l’unico corretto. Valori, artefatti, assunti culturali sono accettati come verità indiscutibili.

Questo punto di vista è letale per un’organizzazione in quanto oscura le richieste dell’ambiente esterno e nega quelle caratteristiche di flessibilità, elasticità e adattabilità che sono fondamentali per il mercato dinamico della nostra epoca. Tendenzialmente si presume che ciò coinvolga le piccole e medie imprese con alle spalle una tradizione di conduzione familiare.

In definitiva, per conseguire buone prestazioni organizzative, conciliando il profitto con il benessere dei lavoratori, appare necessario che le aziende esercitino l’autoconsapevolezza, l’introspezione, l’autoriflessione, soprattutto da parte del management, facendo il punto sui propri limiti e le proprie risorse, cercando sempre di essere al passo col mondo esterno.

In questo contesto lo psicologo del lavoro, affiancando il management delle piccole e grandi imprese, si delinea come il professionista deputato alla gestione e allo sviluppo degli aspetti di cultura organizzativa.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

08 Mag 2018

10 approfondimenti accademici sulla costruzione e gestione di un team eccezionale

10 approfondimenti accademici sulla costruzione e gestione di un team eccezionale

Il team building è un’arte o una scienza? Quando tratta di assemblare, motivare e tenere insieme un team coeso e felice affinché si raggiungano degli obiettivi ci vuole una buona dose di entrambe.

Non si può sottovalutare quanto sia importante una squadra coesa per il successo di un’azienda.

La qualità del lavoro del singolo riflette la qualità del team che ci sta dietro. Per lo sgomento di molti imprenditori e manager, il team building sembra spesso complicato: avendo a che fare con persone, le cose devono essere perfette per creare qualcosa di magico.

Fortunatamente, la letteratura sulla cultura di gruppo e le dinamiche di gruppo gettano chiariscono molti aspetti relativi alla creazione e alla motivazione alla base della creazione di una squadra perfetta.

1. Gli esercizi di team building funzionano

Costruire una grande squadra ed effettivi esercizi di “team building” sono spesso visti sotto luci molto diverse.

Il team building è uno di quegli argomenti di business che spesso generano confusione negli ascoltatori. La prima cosa che viene in mente per molti sono quelle attività superficiali che costringono le persone a entrare in una specie di scenario imbarazzante, con tutti i partecipanti imbarazzati e che non vedono l’ora che il tutto che finisca.

Il team building non dovrebbe avere questo tipo di reputazione.

In uno studio sono stati analizzati i dati di 103 studi condotti tra il 1950 e il 2007. Questa ricerca cumulativa fornisce le prove scientifiche più forti fino ad oggi riguardo al fatto che il team building possa avere effetti misurabili e positivi sulle prestazioni della squadra.

Il “segreto” del team building sta nel mantenere gli equilibri ed evitare situazioni che si sentono invasive, imbarazzanti o forzate. Ad esempio, NON riunire la tua squadra e non chiedere a tutti di condividere la loro più grande paura: un’enorme maggioranza delle persone coinvolte non apprezzerà questo mix forzato della loro vita lavorativa e dei sentimenti personali.

2. Le 5 migliori attività di team building

Citrix ha dimostrato che il 31% degli impiegati dice di non poter sopportare le attività di team building.

Questa associazione negativa è un peccato, perché, come discusso in questa pubblicazione della Harvard Business School , una squadra connessa è una squadra motivata. Ulteriori ricerche di supporto dall’American Psychological Association (APA) hanno scoperto che le attività di team building possono aiutare i dipendenti a sentirsi stimati e quelli che lo fanno sono i più motivati ​​a fare un ottimo lavoro.

Quasi tutti i dipendenti (93%) che hanno riferito di sentirsi apprezzati hanno dichiarato di essere motivati ​​a fare del loro meglio al lavoro”

David W. Ballard, responsabile del programma di benessere lavorativo dell’APA, ha discusso in un’intervista del US News & World Report cinque semplici attività di team building che sono risultate di successo più e più volte, ovvero:

  • Volontariato. Le migliori attività sono quelle a cui tutto il team si sente orgoglioso di partecipare.
  • Attività fisiche. Gli sport rendono superbe le uscite consentendo ai dipendenti di lavorare insieme e fare esercizio fisico.
  • Gite. Viaggi semplici e informali come visitare un parco o un museo o andare a una partita di basket possono fare miracoli per la tua squadra
  • Attività di sviluppo professionale. Workshop di qualità offrono ai team l’opportunità di tenersi aggiornati con l’istruzione e sviluppare relazioni professionali in nuovi contesti, il tutto senza il marchio d’incertezza di andare da soli o l’imbarazzo di provare a fare da soli in rete.
  • Pasti condivisi Mangiare regolarmente con il proprio team consente di intraprendere conversazioni in un ambiente confortevole, permettendo ai membri del team di conoscersi al di fuori del lavoro. Inoltre, i benefici di queste attività crescono in maniera esponenziale nel momento in cui i membri di un team collaborano alla preparazione di un pasto. Quest’ultima categoria di attività, infatti, sembra essere una tra le più efficaci attività di team building.

3. I grandi team hanno bisogno di comunicazione non lavorativa

Uno studio del Human Dynamics Laboratory del MIT mostra che quando si tratta di prevedere il successo di una grande squadra, l’elemento più importante è il modo in cui il team comunica durante gli incontri informali.

Ciò non significa che i membri del team devono essere migliori amici al di fuori del lavoro, ma i manager dovrebbero riconoscere che le discussioni non lavorative sono fondamentali per la creazione di una squadra, affinchè i colleghi possono evitare di guardare l’un l’altro come semplici ingranaggi della macchina .

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie di Team Building efficaci e innovative volte a favorire un clima di benessere aziendale. Ciò aiuta a ridurre al minimo le problematiche relative allo stress e ad un cattivo clima lavorativo, nonché ad aumentare la produttività e la soddisfazione del team aziendale.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

02 Mag 2018

Il commitment o impegno organizzativo: cos’è e perché è importante?

Il commitment o impegno organizzativo: cos’è e perché è importante?

Gli psicologi del lavoro e delle organizzazione sono interessati a comprendere le reazioni psicologiche dei dipendenti nei loro luoghi di lavoro.

Non sorprende che gran parte di questo interesse si concentri sull’impegno dei dipendenti verso le organizzazioni per le quali lavorano. Tra le varie variabili relative l’atteggiamento lavorativo maggiormente studiate dagli psicologi vi sono la soddisfazione lavorativa e il commitment o impegno organizzativo.

Anche se ci si può aspettare che il commitment organizzativo si sviluppi sulla base di fattori sia dell’esperienza personale che lavorativa, l’esperienza organizzativa costituisce uno dei fattori di influenza cardine di questo fenomeno.

Alcune variabili di una persona (ad esempio, età, città di provenienza) sono modestamente correlate al commitment organizzativo, ma è ciò che le persone sperimentano sul lavoro che sembra avere maggiore influenza sullo sviluppo di un impegno lavorativo positivo.

In generale, il commitment organizzativo può essere definito come il legame esistente tra un lavoratore e la propria organizzazione, il quale rende meno probabile l’abbandono volontario di quest’ultima (Meyer e Allen, 1990). Esso risulta indipendente dalle intenzioni comportamentali che le persone possono avere. Più nel dettaglio, le tre componenti principali del commitment riguardano l’impegno affettivo, normativo e continuativo.

Per quanto riguarda l’impegno affettivo, la letteratura suggerisce che esso è più forte tra i dipendenti che sentono di essere supportati dalle loro organizzazioni e che hanno sperimentato una giustizia procedurale, distributiva e interazionale sul posto di lavoro.

L’impegno affettivo è anche più forte tra i dipendenti che sperimentano un minimo di ambiguità di ruolo e conflitti di ruolo sul posto di lavoro e hanno leader che adottano stili di leadership di tipo trasformazionale, ovvero un leader che si impegna attivamente con i suoi seguaci, creando con essi una relazione che eleva sia la propria motivazione e il proprio morale, sia quello dei sottoposti.

L’impegno affettivo è legato a diversi indicatori chiave di prestazione. I dipendenti con un maggiore impegno affettivo hanno meno probabilità di essere assenti dal lavoro, soprattutto se si parla di assenza volontaria piuttosto che involontaria, come quella causata da malattie ed emergenze.

L’impegno affettivo prevede anche migliori prestazioni lavorative: queste ultime, infatti, sono più alte tra i dipendenti con un maggiore impegno affettivo. Questi ultimi hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti positivi in linea con una corretta cittadinanza organizzativa (ad esempio, esercitando sforzi straordinari, aiutando i colleghi, sostenendo l’organizzazione) rispetto a quelli con un debole impegno affettivo e, così facendo, contribuiscono a creare un ambiente di lavoro più produttivo e positivo.

L’impegno normativo, invece, sembra si sviluppi sulla base di esperienze sia culturali che organizzative che evidenziano le aspettative di reciprocità tra i dipendenti e l’organizzazione.

Ci sono anche alcune prove che l’impatto delle esperienze lavorative sull’impegno normativo dipende dai valori culturali dei dipendenti, come l’individualismo contro il collettivismo.

L’impegno normativo potrebbe influenzare il tono con cui i dipendenti svolgono il proprio lavoro, in particolare se hanno anche livelli di impegno affettivo da debole a moderato. Questi ultimi, infatti, potrebbero continuare a svolgere il proprio lavoro perché si sentono obbligati a continuare a farlo, senza impegno affettivo e con riluttanza, generando risentimento e frustrazione che li espongono maggiormente a rischi quali burnout e turnover.

La continuità nell’impegno organizzativo è più strettamente correlata alle alternative percepite e investimenti percepiti. Nello specifico, l’impegno alla continuità è più forte tra i dipendenti che ritengono di avere poche, piuttosto che numerose, valide fonti di occupazione se lasciassero l’organizzazione.

Presumibilmente, i costi per lasciare la loro attuale organizzazione sarebbero piuttosto alti per tali impiegati.

L’impegno alla continuità è anche più forte tra i dipendenti che credono di aver fatto investimenti significativi nello sviluppo delle loro competenze e nell’acquisizione di un expertise che non sarebbe stata trasferita facilmente ad altre organizzazioni.

Rispetto ai dipendenti che hanno competenze facilmente trasferibili, tali dipendenti potrebbero sostenere costi maggiori se lasciassero l’organizzazione.

L’impegno affettivo, normativo e di continuità sono tutti negativamente correlati all’intenzione dei dipendenti di lasciare volontariamente l’organizzazione. Sia l’impegno affettivo che l’impegno normativo, ma non l’impegno di continuità, sembrano essere fattori importanti di impegno lavorativo anche più dell’importanza dello stipendio e dello status sociale che si ricopre all’interno della propria azienda.

Stimolare il commitment organizzativo è importante non solo per il clima organizzativo, ma anche per la produttività della propria organizzazione e per il benessere dei propri dipendenti e della propria azienda in generale.

Migliorare il proprio benessere condurrà naturalmente ad un maggiore commitment verso la propria organizzazione

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