15 Mag 2018

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Schein definiva la cultura organizzativa come “l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. Tre sono i livelli di cui la cultura si compone:

  • gli artefatti: elementi visibili come il linguaggio, il dress code, gli arredamenti;
  • valori dichiarati: ossia le strategie, gli obiettivi, la filosofia, che si ritrovano in comportamenti pubblici o in dichiarazioni ufficiali;
  • gli assunti taciti: come le convinzioni inconsce, date per scontate, così radicate nella cultura che è quasi impossibile modificarle.

Molti autori affermano che una coesa cultura organizzativa sia la chiave del successo di molte aziende. Infatti, consolidando il senso di appartenenza, la cultura organizzativa stimola i lavoratori a impegnarsi maggiormente verso l’obiettivo finale. Nell’attuale panorama del lavoro globalizzato, le imprese sono spinte ad acquisire risorse umane sempre più diverse culturalmente. Dunque risulta per loro necessario conciliare le differenze culturali con un contesto aziendale coeso. E’ necessaria una gestione cross-culturale delle risorse umane.

A volte, però, avviene un processo negativo.

Antropologicamente la cultura è descritta come l’insieme di significati che una comunità attribuisce alla realtà. Dunque, la cultura varia in base all’epoca storica e allo spazio geografico in cui si sviluppa. Il processo di creazione di cultura fallisce quando coincide con l’etnocentrismo, ovvero il pregiudizio per cui la propria cultura sia la migliore in assoluto. Così come la società, le organizzazioni sono micro-comunità che strutturano sistemi di credenze, a seconda del contesto territoriale, sociale, economico, finanziario, politico, tecnologico, culturale.

Il problema nasce quando il grado di coesione della cultura organizzativa diviene eccessivo, degenerando in etnocentrismo organizzativo. Si sviluppa una concezione per cui la cultura vigente nella propria azienda sia migliore delle altre e quindi il proprio modo di operare sia l’unico corretto. Valori, artefatti, assunti culturali sono accettati come verità indiscutibili.

Questo punto di vista è letale per un’organizzazione in quanto oscura le richieste dell’ambiente esterno e nega quelle caratteristiche di flessibilità, elasticità e adattabilità che sono fondamentali per il mercato dinamico della nostra epoca. Tendenzialmente si presume che ciò coinvolga le piccole e medie imprese con alle spalle una tradizione di conduzione familiare.

In definitiva, per conseguire buone prestazioni organizzative, conciliando il profitto con il benessere dei lavoratori, appare necessario che le aziende esercitino l’autoconsapevolezza, l’introspezione, l’autoriflessione, soprattutto da parte del management, facendo il punto sui propri limiti e le proprie risorse, cercando sempre di essere al passo col mondo esterno.

In questo contesto lo psicologo del lavoro, affiancando il management delle piccole e grandi imprese, si delinea come il professionista deputato alla gestione e allo sviluppo degli aspetti di cultura organizzativa.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.