27 Mag 2020

OLTRE OGNI LIMITE: IL SENSATION SEEKER

OLTRE OGNI LIMITE: IL SENSATION SEEKER

Ci sono molte persone che si divertono praticando attività rischiose come compiere scalate, lanciarsi da un aereo, fare bungee jumping, guidare in modo spericolato, fare uso di droghe… Costoro sono costantemente alla ricerca di sensazioni nuove, di eccitamento, di emozioni forti che facciano sentire vivi e vengono definiti sensation seeker. Essi hanno bisogno di pura adrenalina, provocata dalla novità e da stimoli intensi. L’incessante ricerca di emozioni la si ritrova anche nelle relazioni amicali, nella vita professionale e nei rapporti di coppia: ad esempio, il sensation seeker è alla continua ricerca di stimoli per l’innamoramento, passando da un partner all’altro e ricercando comportamenti trasgressivi per evitare la monotonia. E può fare il carico di adrenalina anche nei momenti di “pausa”, con musiche d’impatto e film d’azione, feste movimentate e viaggi avventurosi. L’importante è non annoiarsi, vincere la staticità, sentirsi sempre attivo.

L’incolumità? Poco importa: c’è sempre la sicurezza di farcela. Le persone in cerca di stimolazione possono percepire meno i rischi e le conseguenze derivanti da attività pericolose, possono essere maggiormente disposte ad accettare il rischio, al fine di provare l’emozione associata a comportamenti rischiosi oppure sono consapevoli dei pericoli che corrono nell’adottare specifici comportamenti pericolosi, ma solitamente tendono a sottostimare la probabilità delle conseguenze negative, in quanto non ritengono che tali eventi possano capitare a loro.

Il sensation seeker è caratterizzato da una certa vulnerabilità emozionale che si associa ad un’incapacità di gestire le emozioni o farlo in modo inadeguato. Risultano carenti nelle capacità di inibire comportamenti inappropriati legati a forti impulsi ma sono anche incapaci di contenere le risposte fisiologiche legate alle emozioni perché l’obiettivo primario è quello della gratificazione immediata. La loro incapacità di posporre tale soddisfazione è legata all’incapacità di tollerare la noia e la monotonia che li portano a mettere in atto comportamenti volti ad ottenere a livello emotivo “tutto e subito”.

La “sensation seeking” nell’accezione di Zuckerman (1994) è “un tratto definito dalla ricerca di comportamenti a rischio, sensazioni ed esperienze varie e intense, e dalla disponibilità a correre rischi fisici, sociali, legali e finanziari, per il piacere di tali situazioni”.

La ricerca di sensazioni si struttura in quattro diverse componenti:

  • La ricerca di brivido e di avventura, che si esprime nel bisogno di praticare attività rischiose che facciano provare sensazioni nuove e forti.
  • La ricerca di esperienze, ovvero il bisogno di provare esperienze sensoriali, mentali o anche sociali nuove, diverse dal solito, anche anticonformiste.
  • La disinibizione, vale a dire la tendenza a liberarsi dalle inibizioni preferendo attività “senza controllo”, come feste selvagge, bere estremo, promiscuità sessuale, ecc.
  • La suscettibilità alla noia, ossia la tendenza ad evitare attività e compiti ripetitivi e noiosi.

Questa tendenza risulta essere più spiccata nel sesso maschile e, in entrambi i generi, raggiunge la sua massima espressione nel periodo giovanile (soprattutto nel passaggio dal primo al secondo superiore) per poi diminuire progressivamente all’aumentare dell’età. Tali comportamenti crescono nell’adolescenza, probabilmente anche perché ritenuti un marker dell’indipendenza tanto cercata in questa fase di transizione. L’adolescenza rappresenta infatti la fase del ciclo di vita in cui il bisogno di rischiare, inteso come assunzione di rischi in termini comportamentali, si esprime con particolare intensità. Si tratta di condotte che consentono all’adolescente di mettere alla prova le proprie abilità e competenze, di concretizzare i livelli di autonomia e di controllo raggiunti e di sperimentare nuovi e diversificati stili di comportamento.

La sensation seeking non è definita un disturbo psichiatrico ma un tratto di personalità, una caratteristica stabile e (di base) sana del modo di essere di molte persone. Cercare delle sensazioni forti può addirittura essere totalmente adattivo con certi stili di vita. Pensa per esempio a chi, per lavoro, si trova spesso in condizioni estreme o a fare vere e proprie avventure.

Quello che si è visto, semmai, è che alcune persone a cui è stato diagnosticato un certo disturbo di personalità spesso possono essere dei sensation seekers. Questo per esempio vale per il Disturbo di Personalità Antisociale o per il Disturbo di Personalità Borderline, benché non è una regola.

In definitiva possiamo dire che la ricerca di emozioni forti, una pratica molto diffusa tra gli adolescenti nel tentativo di autoaffermazione della propria identità oggi si trova sempre più anche età adulta e che essa può essere influenzata da diverse variabili, quali caratteristiche di personalità, autostima, abilità relazionali, contesto sociale e culturale di appartenenza del soggetto.

Un bene o un male?

Un sensation seeker può vivere tranquillamente la sua vita. Anzi, spesso sono quelle persone che aprono la strada, che creano nuovi percorsi lì dove sembra troppo pericoloso attraversare, permettendo a tutti di progredire e andare avanti. Tutto, naturalmente, dipende dalla capacità di gestione e controllo della propria vita e delle proprie azioni… che a volte può essere molto ridotta.

27 Mag 2020

COME CREARE UN TEAM COESO

COME CREARE UN TEAM COESO

Il dizionario Merriam-Webster definisce il gruppo di lavoro (team work) come “il lavoro svolto da vari soci, ognuno dei quali si occupa di un aspetto, subordinando la propria preminenza all’efficienza del complesso”. La chiave del team work è la costruzione di un team efficace (team building). Il team building è la chiave di un’organizzazione di successo, in cui è dato spazio al benessere organizzativo. Letteralmente team building significa “costruzione della squadra”, infatti si intende proprio il processo di trasformazione di un gruppo di singoli individui in un team coeso, organizzato per lavorare insieme in maniera interdipendente e cooperativa. Le attività possono essere formative ed educative, ma possono anche essere esperienziali oppure prettamente ludiche. Attraverso attività diverse , i partecipanti possono imparare a guardare i propri colleghi in un’ottica differente, e a connettersi con gli stessi in diversi contesti.

Può essere utilizzato in qualunque ambito:

  • In un contesto aziendale per motivare e incentivare un team di lavoro, migliorare comunicazione e collaborazione;

  • Durante un viaggio per divertire e premiare i partecipanti;

  • A scuola per migliorare l’intesa all’interno della classe, tra più classi o tra classe e insegnante;

  • In un gruppo di amici per creare spirito di gruppo.

    Le strade con cui raggiungere gli scopi prefissati sono molteplici, e dipendono non solo dagli aspetti che l’azienda vuole migliorare ma anche dalle peculiarità del team (sia in termini di numero che di caratteristiche delle persone che compongono il gruppo). In generale, comunque, potremmo dividere la attività in:

  • team building indoor (al chiuso);
  • team building outdoor (all’aperto).

Le attività di team building indoor sono quelle che si svolgono al chiuso, all’interno degli spazi dell’azienda o anche in luoghi ad hoc.

È chiaro che, la formazione non si riduce alla sola parte ludica o di svago: per ogni tipologia di attività è importante che venga individuato un obiettivo in partenza e, al termine, venga comunque effettuata un’analisi su quanto svolto.

Tra i vantaggi del team building outdoor vi è, senza dubbio, il fatto di poter uscire dal contesto lavorativo e immergersi in un ambiente all’aria aperta, spesso a contatto con la natura.

L’importante è sempre proporre qualcosa (sia in termini di attività che di luogo) che possa mettere i soggetti nelle condizioni di esprimersi al meglio

5 PASSI PRIMA DI INIZIARE L’ATTIVITA’ DI TEAM BUILDING

1. Obiettivi: qual è la situazione dell’azienda? Quali sfide stanno vivendo i collaboratori? Cosa si desidera che apprendano o migliorino con il team building? Perché è importante raggiungere tali risultati e come verranno misurati? 

2. Dialogo aperto tra persone e responsabili per chiarire gli obiettivi e la serietà dell’attività

3. Condivisione del metodo tra formatore aziendale e manager (o team HR)

4. Pianificazione equilibrata di momenti attivi e riflessivi

5.Programmazione di sessioni di peer to peer coaching tra colleghi e incontri one-to-one tra collaboratore e responsabile per monitorare i risultati.

CONSIGLI SU COME FARE TEAM BUILDING AZIENDALE

Al di là delle diverse metodologie con cui si può fare team building in azienda, ci sono alcune regole da seguire

1.Coinvolgere tutti:

2.Scambiarsi le informazioni utili superando le gerarchie aziendali

3.Avere obiettivi comuni: condividere con il team gli stessi obiettivi e i risultati raggiunti è di fondamentale importanza per poter fare team building aziendale.

4.Un destino e un compito ben chiari: una cosa fondamentale per fare team building aziendale nel modo giusto è suddividere compiti e responsabilità e fare in modo che siano chiari a tutti i membri del gruppo.

5.Prendersi le proprie responsabilità: all’interno di un team è importante che ognuno si prenda le proprie responsabilità senza scaricarle sugli altri.

6.Saper aiutare gli altri, senza uscire dal proprio ruolo: per far funzionare nel modo giusto un gruppo di lavoro è importante che tutti abbiano ruoli e responsabilità ben definite. Ma questo non significa che non si possa uscire dai rigidi schemi imposti dalla gerarchia aziendale per aiutare i membri del proprio team quando serve.

20 Mag 2020

LE NORME ED I VALORI DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA

LE NORME ED I VALORI DELLA CULTURA ORGANIZZATIVA

La cultura e i valori aziendali hanno un impatto determinante sul livello di motivazione individuale e molti studi lo dimostrano. In particolare, la motivazione delle persone aumenta quando è chiaro il significato ultimo delle azioni, quando lo sforzo individuale contribuisce a creare un valore più grande. La cultura organizzativa influenza l’efficienza dell’organizzazione e il benessere delle persone. Quello di cultura organizzativa è un costrutto multidisciplinare in cui si integrano approcci psicologici, sociologici, antropologici e etnografici. Secondo la proposta di Edgar Schein, ci sono tre livelli di progressiva profondità ai quali si manifestano i modelli di comportamento preferiti e proposti dall’organizzazione. La sua posizione sensibilizza le persone a osservare i contesti organizzativi considerando tre livelli ai quali si manifestano gli schemi prevalenti di uno specifico contesto organizzativo. Questi tre livelli corrispondono agli artefatti, ai valori e agli assunti di base. I primi segnano la superficie dell’organizzazione e sono elementi che possono essere ascoltati, visti e sentiti. La tecnologia, la lingua, i prodotti, le dichiarazioni dei gruppi, gli slogan delle organizzazioni, i codici di abbigliamento e il modo in cui le persone interagiscono tra loro. Questi non sono solo visibili ai dipendenti ma anche visibili e riconoscibili per le parti esterne. Il livello successivo, quello dei valori, riguarda ciò che è importante in una specifica organizzazione e che costituisce una guida per adottare i comportamenti più in linea con quanto considerato rilevante anche da tutti gli altri membri e più appropriati in determinate situazioni. Essi, infatti, diventano oggetto di cultura organizzativa se sono condivisi dalla maggior parte dei membri dell’azienda.  In particolare, dichiarare specifici valori consente all’organizzazione di mandare segnali su veri e propri codici morali che dovrebbero aiutare i membri a valutare ciò che è giusto o sbagliato. Gli assunti di base costituiscono il livello della cultura più profondo in quanto sono profondamente radicati nella cultura organizzativa. Si sono sviluppati inconsciamente nel tempo e sono dati per scontati da tutti i membri dell’organizzazione. Questi presupposti vengono automaticamente obbediti senza essere messi in discussione e senza sapere nemmeno che esistono. Inoltre, non sono visibili e hanno una grande influenza sul comportamento dei membri dell’azienda.

Tipologie culturali delle organizzazioni

Eugène Enriquez è autore di una celebre classificazione dei tipi di cultura organizzativa. Un modo per analizzare le culture organizzative consiste nel trovare una corrispondenza tra gli indizi culturali presenti in una determinata organizzazione e alcune categorie predefinite, cosicché la cultura esaminata può essere ricondotta a una specifica tipologia culturale. Per collocare l’organizzazione in una tipologia piuttosto che in un’altra, Enriquez segnala quattro parametri che assumono caratteristiche differenti in ognuna della cinque tipologie: il valore prevalente, i criteri di carriera, le modalità di comunicazione e di relazione interpersonale, e i bisogni individuali che vengono soddisfatti nel contratto psicologico con l’organizzazione. La classificazione proposta da Enriquez implica cinque tipi di cultura: la cultura autoritaria, la cultura burocratica, la cultura paternalistico-clientelare, la cultura tecnocratica e la cultura cooperativa. Nella cultura autoritaria il valore fondamentale è il rispetto dell’autorità e la subordinazione nei suoi confronti rappresenta il criterio su cui si fonda la valutazione dell’operato delle persone e la progressione di carriera. Questa tipologia si contraddistingue per la presenza di un capo carismatico, per il rispetto di quella che risulta essere l’autorità formale dell’organizzazione e per comunicazioni di tipo up-down. Il dialogo è ridotto alla consegna di direttive da seguire e il feedback non esiste o è un intervento correttivo che sottolinea solo gli errori da evitare. La cultura burocratica è caratterizzata dall’osservanza delle norme. Infatti alle persone è richiesto il rispetto dei confini di ruolo e l’esecuzione standardizzata dei compiti previsti, senza particolare iniziative o progettualità future. La cultura paternalistico-clientelare si basa sull’appartenenza ad un gruppo e sullo scambio di benefici tra il capo e i membri del gruppo stesso. La componente paternalistica si esprime con la superiorità e il controllo del capo che dispensa privilegi ai membri di un gruppo, i quali a loro volta reciprocano il capo con un sostegno leale alla sua persona. Gli elementi caratteristici della cultura tecnocratica sono la competenza professionale, l’efficacia aziendale, l’efficienza, il rendimento, la competizione e l’orientamento all’obiettivo da raggiungere. Rendimento ed efficienza connotano uno sviluppo professionale continuo, con una particolare fiducia nella razionalità e nell’orientamento all’obiettivo da raggiungere piuttosto che al compito rigidamente predeterminato e senza apporti originali individuali. La cultura cooperativa si basa sulla partecipazione di tutti i membri alle decisioni o alle iniziative organizzative, sul lavoro di gruppo, sulle comunicazioni di tipo informale e su livelli gerarchici ridotti. Il presupposto dell’autonomia d’azione è la responsabilizzazione del singolo e il fatto che ognuno risponde dei propri risultati, senza disimpegni o ritiri degli apporti individuali.

4 consigli per rafforzare la cultura organizzativa

Ci sono tante leve che può adoperare l’azienda nel rafforzare la cultura organizzativa e quindi promuovere il benessere aziendale. Ecco di seguito quattro modi per rafforzare la cultura organizzativa:

  1. Comunicare i valori aziendali. Sarebbe fondamentale condividere i valori aziendali già in fase di selezione del personale, in modo che l’eventuale nuovo assunto già li conosca. Gli eventi aziendali rappresentano un ottimo strumento non solo per riunire e far conoscere persone, ma anche per creare un senso di comunità e appartenenza. Le feste aziendali non sono solo un modo efficace per gratificare e rallegrare i dipendenti, ma rappresentano uno strumento molto utile per rafforzare la cultura aziendale.
  2. Rispondere alle necessità dei collaboratori. Per rafforzare la cultura aziendale è fondamentale analizzare le esigenze personali dei collaboratori e favorire tutte le iniziative che rispondono ai loro bisogni.
  3. Premiare obiettivi e risultati. Il riconoscimento per un obiettivo raggiunto, oltre a valorizzare il lavoro svolto, è una leva per migliorare la motivazione e puntare a  rafforzare la cultura.
  4. Promuovere la capacità di leadership.“La cosa davvero importante che fanno i leader è quella di creare e gestire la cultura. Se non gestisci la cultura, è lei che gestisce te e non ti accorgerai nemmeno di quanto lo stia facendo.” (Edgar Schein). E’ fondamentale che le figure che ricoprono un ruolo manageriale contribuiscano a supportare il benessere in azienda diffondendo un clima di lavoro sano e collaborativo.

Tutti partecipano alle dinamiche culturali, ma generalmente la cultura passa inosservata. Solo quando l’azienda prova ad intraprendere nuove strategie, oppure obiettivi incompatibili con le norme e i valori della cultura aziendale, allora ci si trova davanti al potere esercitato dalla cultura. Quindi la cultura organizzativa dovrebbe rappresentare la colonna portante dell’organizzazione in quanto è in essa che si gettano le basi che consentono al sistema organizzativo di essere produttivo ed equilibrato.

20 Mag 2020

LA FLESSIBILITÀ COME STRUMENTO PER UNA VITA PIENA E FELICE

LA FLESSIBILITÀ COME STRUMENTO PER UNA VITA PIENA E FELICE

Chi è flessibile a livello mentale ha maggiori possibilità di essere felice, in quanto la sua mente riesce ad adattarsi con maggior facilità alle nuove sfide e alle difficoltà.

Adattarsi all’ambiente circostante è una delle migliori caratteristiche che possiamo avere per poter vivere meglio. Più siamo rigidi nelle nostre idee, più sarà facile farci trascinare dai pensieri negativi, ossessivi e che ci allontanano dalla felicità.

La rigidità mentale ci rende prigionieri, ci porta inesorabilmente a commettere sempre gli stessi errori, riduce la nostra capacità di adattamento, la creatività, la spontaneità e la positività. Ci mantiene legati a vecchi schemi che ci impediscono di crescere intellettualmente ed emotivamente.

Infatti, le persone mentalmente rigide sono quelle che:

– Pensano che esista solo un modo di fare le cose.

– Assumono che il loro punto di vista è l’unico corretto e che gli altri sbagliano.

– Non sono aperti al cambiamento perché li spaventa.

– Restano legate al passato e si rifiutano di avanzare.

La caratteristica più invalidante dell’inflessibilità psicologica consiste nell’incapacità di modificare la propria routine e le proprie abitudini mentali, il che molto spesso conduce alla depressione.

Lo schema di pensiero di una persona depressa è costellato da idee negative ripetute all’infinito e ciò inasprisce inevitabilmente la sensazione di malessere.

La visione che abbiamo del mondo e del nostro ambiente circostante condiziona il nostro benessere e pertanto anche l’impegno, la partecipazione e l’atteggiamento che mostriamo verso noi stessi e gli altri. Essere una persona dalla mente flessibile comporta numerosi vantaggi. Le persone flessibili non smettono mai di imparare, di crescere, di socializzare, inoltre tendono a tollerare meglio la frustrazione, non hanno paura dei cambiamenti, si evolvono e presentano livelli di stress minori.

La ricerca scientifica dimostra che maggiore è il nostro livello di flessibilità psicologica migliore è la nostra qualità della vita e il livello di benessere in ambito lavorativo.

Man mano che aumentiamo la nostra flessibilità psicologica, saremo maggiormente in grado di gestire efficacemente i sentimenti difficili, arrestare quei processi di pensiero che non ci sono d’aiuto, modificare i comportamenti inefficaci o controproducenti in modo tale da costruire relazioni migliori.

La flessibilità psicologica è una competenza che ci permette di adattarci e rispondere in maniera efficace alle situazioni che incontriamo. Per essere flessibili è necessario essere consapevoli di ciò che sta accadendo e individuare una risposta efficace.

La flessibilità mentale è un’abilità che può essere sviluppata. In che modo?

  1. Concentrati sulle tue emozioni. Quando sei tentato di respingere completamente un’idea, concentrati nelle tue sensazioni. Se ti senti a disagio con quello che stai dicendo, è probabile che questa rigidezza di pensiero nasconda una resistenza inconscia. Chiediti di cosa hai paura. Se rispondi onestamente inizierai a renderti conto di diverse cose. Infatti, quanto maggiore sarà la paura che provi tanto più forte sarà la resistenza.
  2. Alimenta la tua voglia di crescere. La curiosità rimane uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione per crescere. Invece di accettare semplicemente le idee chiediti piuttosto il “perché” delle cose. Quando inizi a mettere in discussione tutto quello che hai sempre dato per scontato, non incontrerai solo nuove risposte, ma scoprirai anche un mondo nuovo, molto più grande di quello che conoscevi.
  3. Sviluppa empatia. In alcuni casi, è probabile che non sarai d’accordo con idee, modi di pensare e atteggiamenti di altri. Ma invece di rifiutarli completamente, cerca di metterti al posto di queste persone per capire come sono nate queste idee. Se si rifiuta ciò che non si conosce o non piace, si resterà sempre la persona di prima, ma se si cerca di capire l’altro, si farà un ulteriore passo in avanti, si crescerà un poco di più.
  4. Accetta gli errori. Avere una buona flessibilità mentale significa non avere paura di sbagliare, significa essere disposti a cogliere le nuove opportunità, anche se questo significa commettere errori. Si tratta di comprendere la vita come un continuo apprendimento nel quale ogni errore non è un passo indietro, ma un passo in avanti verso la nostra evoluzione, perché permette di sbarazzarsi di vecchi schemi e modi di fare arcaici. Relativizza la portata di qualche insuccesso cercando di coglierne l’insegnamento.
  5. Non cercare la verità assoluta. La premessa più importante per sbarazzarsi della rigidità mentale consiste nel non cercare una verità assoluta, semplicemente perché non esiste. Pertanto, è importante non afferrarsi a un solo modo di vedere le cose e mantenere una mente sempre aperta.
  6. Non lasciarti abbattere dal giudizio altrui. Concentrarsi sui giudizi degli altri, non fanno altro che portarvi a pensare continuamente alla parte negativa delle situazioni. Concentratevi su ciò che vi rende felici e lasciate passare tutte quelle parole che non vi aiutano a crescere in maniera costruttiva e vi allontanano dalla felicità.

«Non creare idee assolute, rimani flessibile. E ricorda: una cosa può essere buona per te oggi e non esserlo più domani, perché la vita continua a cambiare e non puoi bagnarti due volte nello stesso fiume», Osho.

13 Mag 2020

I Meccanismi di difesa nel colloquio di selezione

I Meccanismi di difesa nel colloquio di selezione

Qualsiasi tipo di colloquio-intervista implica un processo dinamico, di incontro tra due persone, all’interno del quale avviene uno scambio di informazioni e di conoscenze, che porta i soggetti ad avere una maggior conoscenza l’uno dell’altro. Nel caso del colloquio di selezione, è soprattutto il selezionatore ad essere interessato a raccogliere il maggior numero di informazioni sul suo interlocutore; il suo compito, infatti, è quello di valutare se questi sia idoneo o meno alla posizione per la quale si candida. Perché questa valutazione sia adeguata, è indispensabile che, oltre a reperire un numero sufficiente di dati (sia diretti che indiretti, sia verbali che comportamentali), il selezionatore sia in grado di tenere controllati quei meccanismi che possono alterare il corso del colloquio.

Alla scoperta dei meccanismi di difesa.

Già dall’inizio dell’interazione, in effetti, risultano inevitabilmente attive, sia per il candidato, che per il selezionatore, alcune modalità di funzionamento mentale, finalizzate al contenimento dell’ansia che la situazione del colloquio genera. Si tratta di quelle operazioni mentali che la psicologia dinamica definisce “meccanismi di difesa” e che vengono messe in atto in modo automatico, in misura individualmente diversa.
In termini molto generali possiamo indicare come “meccanismi di difesa” i vari modi adottati dall’Ego – a livello inconscio – per proteggersi dai movimenti affettivi dolorosi legati a qualche situazione spiacevole, di conflitto con se stessi e con gli altri. Attraverso tali processi mentali l’individuo realizza la strutturazione dinamica del proprio mondo interno e, di conseguenza, la propria forma di equilibrio anche con il mondo esterno.
I meccanismi di difesa che ciascun individuo può mettere in atto sono diversi e può esistere una rigidità più o meno accentuata nella scelta degli stessi meccanismi in situazioni diverse. Di seguito ne sono elencati alcuni come:

– Negazione: rifiuto di accettare e di ammettere l’esistenza di certe situazioni, desideri, pensieri che le risultano dolorosi o comunque spiacevoli, fino alla negazione di una realtà obiettiva;

– Proiezione: attribuzione a qualcun altro di una propria caratteristica, o di un proprio stato d’animo, che vengono successivamente percepiti come appartenenti a quella persona invece che a se stessi;

– Identificazione: assimilazione dell’immagine di una persona che porta a pensare, sentire, agire, nel modo in cui si reputa che quella persona pensi, senta e agisca;

– Razionalizzazione: costruzione di ragioni plausibili, che consentano di accettare su di un piano razionale, comportamenti e opinioni che non risultano accettabili sul piano affettivo o valoriale;

– Perfezionismo: richiesta a se stessi e agli altri, in ogni situazione, della più elevata qualità di performance. Per esempio, nella situazione del colloquio, il soggetto si dilunga inutilmente nei particolari, utilizzando un linguaggio eccessivamente forbito e preciso, con estrema pedanteria;

– Intellettualizzazione: conferimento di una strutturazione concettuale ai propri conflitti e alle proprie dinamiche emotive. Per esempio, ogni volta che tocca un argomento importante, il soggetto trasforma le ansietà in considerazioni intellettuali; spiega, interpreta, giustifica intellettualmente tutto;

– Formazione reattiva: sviluppo di atteggiamenti e comportamenti accettabili dal punto di vista sociale, che però esprimono esattamente il contrario degli impulsi rimossi;

– Ritiro emotivo: eccessivo distacco, dovuto al timore di farsi coinvolgere, in seguito ad una precedente esperienza penosa. Si manifesta con una molto ridotta responsività agli stimoli emozionali;

Meccanismi di difesa adattivi e non

Le personalità “disturbate” o “deboli” sono caratterizzate dalla messa in atto di meccanismi di difesa rigidi, poco tollerabili da parte degli altri individui, gestiti con difficoltà nella relazione sociale, mentre negli individui con “ego forte” si trovano più correttamente quelli che taluni autori indicano come “meccanismi di adattamento”. Con questo termine si intendono quei meccanismi di difesa che permettono di mantenere un rapporto con la realtà buono e flessibile.
Ciò che determina la differenza rispetto ai meccanismi non adattivi, non è tanto la scelta di quale difesa, quanto piuttosto il come e il quanto (e soprattutto con che rigidità) un meccanismo viene adottato.
Inoltre, anche se i meccanismi di adattamento sono inconsci come ogni meccanismo di difesa, è di solito relativamente facile fare prendere coscienza al soggetto del fatto che li sta adoperando, mentre, negli altri casi “meno adattivi”, il soggetto offre forti resistenze nel riconoscere che sta utilizzando tali operazioni mentali.
Secondo Giancarlo Trentini – uno dei maggiori studiosi italiani del colloquio come metodologia d’indagine – i meccanismi di difesa dovrebbero essere approfonditamente conosciuti da ogni buon intervistatore, perché questi sia in grado di individuare quelli messi in atto dall’intervistato e, contemporaneamente, di riconoscere e gestire le proprie contromisure collusive o difensive.
Risulta particolarmente utile, durante la conduzione del colloquio, riuscire anche ad individuare un utilizzo anomalo di queste difese, che potrebbe testimoniare un’incompatibilità del candidato rispetto al profilo ricercato.
Senza una specifica preparazione nella gestione dei processi mentali messi in atto durante le interazioni, è possibile raccogliere informazioni solo su contenuti manifesti.

13 Mag 2020

L’INTELLIGENZA EMOTIVA

L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Daniel Goleman, nel 1995, rese popolare il concetto di Intelligenza Emotiva con la seguente definizione: “ È la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli altrui, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali”.

Perché è così importante?

Ci sono diversi motivi per cui dovremmo considerare l’Intelligenza Emotiva di primaria importanza nel lavoro così come nelle relazioni interpersonali.

Diversamente dall’intelligenza razionale, quella emotiva ha la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire consapevolmente le proprie emozioni, ma anche quelle degli altri. L’intelligenza emotiva si rivolge, quindi, all’osservazione e all’analisi del meccanismo delle emozioni umane.

Secondo questa teoria psicologica, oramai largamente accettata in seguito alle importanti scoperte della neuroscienza, l’individuo ‘eccellente’ sarebbe dotato di una migliore capacità emotiva, conoscerebbe bene se stesso e le proprie emozioni e di conseguenza possiederebbe gli strumenti per accedere anche ai sentimenti degli altri instaurando rapporti di empatia e di comunicazione molto efficaci nell’ambito della famiglia, del lavoro, delle amicizie e delle relazioni interpersonali in genere.

A differenza del Quoziente Intellettivo, che è quasi immodificabile, l’Intelligenza Emotiva può essere allenata e sviluppata.

Come sviluppare le 5 abilità dell’intelligenza emotiva?

Lo psicologo Daniel Goleman ha suggerito che l’IE è composta da 5 competenze emotive: consapevolezza, autocontrollo, motivazione, empatia e abilità sociali.

1) Consapevolezza emotiva.

La consapevolezza è la principale competenza dell’intelligenza emotiva. Essere consapevoli significa essere capaci di identificare le proprie reazioni emotive, riconoscere i pulsanti caldi che le scatenano e l’effetto che tali emozioni possono avere sui propri comportamenti.

Come aumentare la consapevolezza?

Pensa alle emozioni che provi nel corso di una giornata. Puoi provare frustrazione, noia, magari rabbia o felicità. Hai agito come speravi? Ti sei espresso secondo i tuoi valori? Puoi servirti di un diario per indagare su te stesso.

2) Autocontrollo e autoregolazione emotiva.

L’autocontrollo è la capacità di resistere alle tempeste emotive che possono scatenarsi dentro di te ed è uno degli strumenti più efficaci di cui puoi disporre. Essere in grado di regolare il tuo stato emotivo è fondamentale e può salvarti da comportamenti impetuosi di cui in futuro potresti pentirti.

Quando noterai che sei sul punto di “esplodere”, visualizza una piccola casa tranquilla e spaziosa. È il tuo palazzo dei pensieri. Prima di agire, ragiona e analizza la situazione. Solo dopo aver ottenuto questa auto-regolazione, prendi una decisione.

3) Motivare se stessi e gli altri.

Le persone emotivamente intelligenti sanno come motivarsi per raggiungere i loro obiettivi, inseguono le loro passioni e sono anche in grado di motivare le altre persone.

Faremo un semplice esercizio: guarderemo il lato positivo delle cose, lasciando da parte gli aspetti negativi. Svegliatevi ogni giorno pensando a qualcosa che vi affascina e che desiderate ottenere.

A volte anche le piccole cose sono utili: concludere la giornata in quel bar nel quale non siete mai entrati; fare una chiamata a quella persona che non vedete da tanto; pianificare una gita fuori casa per il fine settimana; iscriversi ad un corso di yoga o di pittura.

4) Empatia.

L’empatia è la capacità di leggere le emozioni negli altri e sapersi mettere nei loro panni.

Risulta più facile mettersi nei panni di quelle persone che ci trasmettono sentimenti positivi. Ci identifichiamo meglio con loro e il livello di comprensione e vicinanza è più intenso.

E se un giorno provassimo a comprendere coloro che ci creano più problemi? Pensa a quel capo, per esempio, che ti rispetta poco; o quel collega che parla sempre male degli altri e che cerca solo problemi. Cerca di “metterti nei loro panni” e forse scoprirai che cosa c’è dietro: insicurezza, bassa autostima…

5) Abilità sociali.

Essere capaci di interagire bene con gli altri è un altro importante aspetto dell’intelligenza emotiva. Questa infatti va oltre la semplice comprensione, devi anche essere in grado di utilizzare queste informazioni nelle tue interazioni e comunicazioni quotidiane.

Cerchiamo di comunicare meglio. E non solo tramite le parole, ma anche con i gesti. Avvicinati di più alle persone che hai intorno, fai un sorriso, offri una una pacca sulla spalla. Vedrai che la reazione di coloro che ti circondano sarà diversa.

Cerca e offri emozioni positive, prova ad ascoltare un po’ meglio chi hai davanti e guardalo negli occhi. A volte scoprirai molto di più di quanto possano dire le semplici parole.

Essere “emotivamente intelligenti” implica essere consapevoli, dare senso e usare costruttivamente le proprie emozioni, sia quelle piacevoli sia quelle spiacevoli. Ciò che ci permette di essere “emotivamente intelligenti” non è essere sempre felici, ma accettare tutte le emozioni dentro di noi, e saperle utilizzare per vivere al meglio la nostra vita.

06 Mag 2020

Employer Branding: come sviluppare la propria strategia aziendale

Employer Branding: come sviluppare la propria strategia aziendale

Per essere competitive le aziende hanno bisogno di attrarre e mantenere talenti. Per riuscirci devono mettere in atto diverse strategie ed una di queste è l’employer branding. Quest’ultima aiuta l’azienda a essere più visibile e a creare affinità verso i dipendenti attuali e futuri. In sostanza si tratta di avere una cultura aziendale e di saperla comunicare bene, all’interno e all’esterno. E’ importante in quanto riguarda la percezione che gli altri hanno dell’azienda, stakeholder e  dipendenti compresi. Si può chiamare reputazione, senza confonderla però con una facciata dietro cui c’è il vuoto. Deve essere supportata da valori e azioni reali ed inoltre l’azienda deve anche saperla comunicare perché altrimenti rischia di perdere la gara dell’acquisizione di talenti.  Secondo uno studio del 2013 condotto su un campione di popolazione degli Stati Uniti che dice che l’84% dei lavoratori sarebbe disposto a cambiare azienda se venisse contattato da un’altra con una migliore reputazione. Fra l’altro quest’ultima è fondamentale per attrarre i millennial ed è proprio fra loro che ci sono la maggior parte dei talenti. A questo punto è chiaro che le aziende devono lavorare per conquistare il cuore e la mente dei dipendenti. La chiave è la cultura aziendale, la quale  influisce sul clima, sulla motivazione e anche sulla reputazione. Essa, per esempio, si deve percepire anche nelle offerte di lavoro preparate dalle Risorse Umane e poi nel processo di selezione. D’altra parte gli stessi professionisti delle HR sanno bene che l’employer branding è diventato un fattore essenziale. Questa strategia però non è nemmeno qualcosa che possa essere gestito esclusivamente dalle Risorse Umane. È chiaro che si devono mettere in movimento anche Management, Marketing e Comunicazione e per giocarsela davvero bene dovrebbero motivare gli stessi dipendenti a diventare advocate — ovvero ferventi sostenitori — dell’azienda. Ma quali sono in sostanza i benefici che ne trarrebbero? Tanto per cominciare un ambiente coinvolgente e appagante rende i dipendenti più motivati ed efficaci. In più, un lavoratore che si identifica con i valori dell’azienda è leale e quindi l’azienda guadagna in termini di retention e turnover. In questo modo l’azienda riesce ad attrarre più facilmente i candidati ideali.

Come funziona l’employer branding e la comunicazione interna/esterna

L’ascolto è essenziale e prima di pensare ad attrarre nuovi candidati bisogna pensare ai dipendenti che si hanno. In questo caso si può lavorare con un’indagine interna, magari sotto forma di sondaggio, per capire cosa pensano dell’azienda. Per esempio si può chiedere loro “Cosa diresti ai tuoi amici dell’azienda?” oppure “Cosa ti piace di più del tuo lavoro in azienda? Quali sono gli aspetti migliori?”. Anche le exit interview fanno capire cosa funziona e cosa no e tutto questo aiuta anche a sviluppare la cosiddetta Employee Value Proposition, ovvero cosa l’azienda può offrire ai propri dipendenti, cosa la distingue dalle altre aziende, quali sono i valori sui cui si fonda, e così via. È chiaro però che se i dipendenti raccontano che l’azienda non è soddisfacente o si lamentano di alcuni aspetti, a quel punto i problemi non vanno insabbiati ma affrontati in modo tale che i lavoratori si sentano ascoltati e coinvolti. Dopo la comunicazione interna si deve pensare a quella verso l’esterno e lì entrano in gioco tutta una serie di possibilità dall’offline all’online. Infatti i canali social — anche prima del sito — sono quelli che vengono presi in considerazione dai potenziali candidati. Perciò bisogna scegliere con cura i canali da attivare e poi bisogna usarli per bene, senza essere troppo autoreferenziali e curando l’ascolto e le conversazioni. L’employee advocacy è un ottimo strumento e diverse aziende hanno già messo in atto dei programmi appositi. Esso, inoltre, aiuta anche a costruire la comunicazione sui canali social. Infatti se i dipendenti sono coinvolti e l’azienda li gratifica poi saranno più propensi a parlarne sui social e a condividerne i contenuti. Le aziende, d’altro canto, devono ricordarsi di dare un minimo di educazione digitale e non è detto che tutti sappiano come muoversi online. In generale però la cosa interessante è che si lavora con i dipendenti che ci sono già. A volte, però, si rischia di vedere l’employer branding solo come qualcosa di utile ad attrarre nuovi candidati. Invece è importante anche per la retention, per far sentire partecipi i dipendenti che già si hanno. Ad esempio, le aziende che non possono competere con il salario, possono usufruire della cultura e del clima aziendale per poter trattenere i dipendenti migliori. E’ fondamentale renderli partecipi dei progetti dell’azienda, così come creare un ambiente in cui loro riescano a vedersi in futuro, in modo tale che riescano a immaginare una crescita professionale e umana.

La fase di uscita del dipendente

Anche la fase di uscita del dipendente, per quanto sia poco auspicabile, può servire a rafforzare la reputazione dell’azienda. Se l’ex-dipendente ha un buon ricordo dell’azienda può essere un valido advocate. In più,  l’exit interview è un momento molto utile per raccogliere dati e informazioni sulla percezione dell’azienda, su aspetti positivi e negativi. Quindi bisogna agire in concreto ed evitare che l’employer branding sia solo una questione di marketing. L’azienda deve avere degli obiettivi chiari e misurabili, prevedendo anche dei momenti in cui misurare le varie attività, valorizzando la propria immagine in modo tale da attirare i migliori talenti e trattenere i dipendenti che mantengono alta la produttività dell’azienda.

06 Mag 2020

DESIDERIO E TIMORE DI CAMBIARE

DESIDERIO E TIMORE DI CAMBIARE

Cambiare è un fenomeno continuo e naturale, e la capacità di adattamento consiste nel saper essere flessibili e assecondare il flusso della vita.

In natura tutto è ciclico: le stagioni, i giorni, perfino i passaggi delle comete e le configurazioni del cielo notturno. Non dovrebbe stupirci allora che anche la nostra vita si regga su un ciclo continuo di nascita e rinnovamento in ognuna delle nostre attività. Ma ciò vale anche per i sentimenti, le amicizie, le passioni, i progetti: è la “natura della natura”, un continuo divenire attraverso il susseguirsi di ritmi e di cicli.

La complessità dell’esistenza attuale, sommata a uno stile di vita che in molti casi allontana dalla propria indole, innesca facilmente le crisi personali che, a loro volta, stimolano una sana, necessaria voglia di cambiamento. Il cambiamento psicologico che più interessa alle persone è ovviamente quello che porta ad uscire da uno stato di infelicità o di limitazione, per andare incontro ad una maggiore pienezza di vita e ad un livello più elevato di soddisfazione e di realizzazione affettiva, personale e professionale.

I cambiamenti sono desiderati, ricercati, ma al tempo stesso, sono paradossalmente temuti e allontanati. La resistenza al cambiamento si riferisce proprio alla contraddizione interiore vissuta da molte persone: una sorta di pendolo in cui, alternativamente una volta l’individuo è consapevole delle proprie paure e resistenze ad effettuare trasformazioni, e altre volte invece è sintonizzato più sulle proprie spinte alla trasformazione ma poco in contatto con le proprie paure.

Fondamentalmente, si tratta di un meccanismo attraverso il quale cerchiamo di mantenere le cose come prima. Tuttavia, quando cambiano le condizioni, questa resistenza serve solo ad affaticarci, sia fisicamente che mentalmente. Il cambiamento può essere qualcosa di molto difficile da affrontare e gestire. La maggior parte delle persone vuole cambiare la propria vita, in qualche modo o in un altro, ma è tutt’altro che semplice dare inizio al cambiamento o sostenerlo a lungo.

Le modalità della resistenza sono varie:

  • Rifiuto (“ho sempre fatto così…perché dovrei cambiare”)
  • Rinvio (“ora ho altri impegni, ci penserò domani”)
  • Indecisione (“non so se è la cosa giusta”)
  • Sabotaggio nascosto (“occhio non vede, cuore non duole”)
  • Regressione (“è da stupidi rischiare”)

Come possiamo dunque tuffarci nel cambiamento, imparare ad affrontarlo e a gestirlo, se la resistenza sembra remarci contro? La strada del cambiamento può essere incredibilmente ardua, ma possiamo decidere di trasformarla, tutto dipende dal nostro atteggiamento.

  1. Immagina il peggiore scenario possibile

L’aspettativa spesso non è una buona consigliera, soprattutto quando è irrealistica. Pertanto, quando devi affrontare un cambiamento, non ripeterti frasi come: “non è nulla, sarà facile da affrontare”, perché probabilmente non sarà così.

Invece, immagina il peggior scenario possibile. Dare libero sfogo per pochi minuti al proprio pensiero catastrofico, quando si torna alla realtà ci aiuta a capire che non era tutto così negativo come pensavamo.

  1. Sii consapevole della resistenza emotiva

Uno dei problemi principali che ha generato la nostra società è sicuramente la repressione delle emozioni. Si suppone che non dovremmo provare ira, rabbia o tristezza, dobbiamo essere sempre di buon umore e disponibili. Questo fa sì che reprimiamo le nostre emozioni e ci rifiutiamo di identificarle. Tuttavia, il fatto che non gli diamo un nome non significa che non esistano.

Per approcciarti al cambiamento devi imparare a riconoscere ciò che senti. I primi giorni proverai un certo disagio e ti sentirai impotente o turbata, ma sappi che è normale; sono reazioni perfettamente comprensibili davanti al cambiamento.

  1. Cambia i tuoi pensieri

Durante le prime fasi è normale avere dei dubbi. Il cambiamento è così drastico che ci chiediamo che cosa stiamo facendo e avremo la tendenza ad uscirne. Tuttavia, se si resiste e si supera la resistenza iniziale, dopo un po’ ci si sentirà a proprio agio.

Per superare la resistenza al cambiamento non basta riconoscere le nostre emozioni, è importante anche essere consapevoli dei nostri pensieri. Ad esempio, invece di pensare: “voglio scappare, non mi piace questa situazione”, pensiamo invece, “ho paura perché si tratta di una situazione nuova, ma alla fine mi ci abituerò.” Ricorda sempre che i tuoi pensieri hanno una forte influenza sulle tue emozioni per cui è importante avere dei pensieri più sereni e coerenti con la realtà.

  1. Esplora le nuove situazioni

Spesso la resistenza al cambiamento si presenta perché non vogliamo cambiare i vecchi modelli impostati precedentemente, ma anche perché non conosciamo bene la nuova situazione. Quindi, un ottimo modo per evitare la resistenza al cambiamento è quella di fare in modo di sperimentare gradualmente le nuove circostanze.

Se ne hai bisogno, non esitare ad appoggiarti alle persone che hanno vissuto la stessa situazione in precedenza, chiedi loro che cosa hanno fatto e quali strategie sono risultate loro più utili.

  1. Concentrati sugli aspetti positivi

Ogni situazione nuova comporta aspetti positivi e negativi. Quando le emozioni ci accecano spesso non siamo in grado di vedere entrambi gli aspetti, ma è essenziale imparare a concentrarsi negli aspetti positivi del cambiamento. Se necessario, elencali su di un foglio. Molto presto ti renderai conto che esiste qualche opportunità di crescita.

  1. Non aver paura di fallire

Non voler cambiare per timore di un fallimento significa restare intrappolati nella logica del perdente, ci priviamo così della gioia di vivere e di affrontare le sfide che la vita quotidianamente ci propone. Il fallimento è una parte inevitabile di ogni cambiamento, e in realtà ogni fallimento dovrebbe essere celebrato: se non avessimo fallito non avremmo imparato nulla. Impariamo dagli errori ad accettare un probabile fallimento!

Solo così sarà possibile trovare gioia in ogni tentativo, in ogni vittoria, in ogni fallimento, e il cambiamento sarà una ricompensa di per sé.

“Esistere è cambiare, cambiare è maturare, maturare è continuare a creare se stessi senza fine”.