16 Dic 2020

SOFT SKILL E HARD SKILL: QUALI SONO PIÙ IMPORTANTI NEL MERCATO DEL LAVORO ODIERNO?

SOFT SKILL E HARD SKILL: QUALI SONO PIÙ IMPORTANTI NEL MERCATO DEL LAVORO ODIERNO?

Questo articolo è importante perché cerca di far luce sul decennale dibattito tra le hard e le soft skill e su chi abbia maggiore influenza su un’ipotetica assunzione.

Distinzione tra soft skill e hard skill

Le hard skill sono delle competenze tecniche quantificabili e facilmente dimostrabili, che possono essere acquisite ad esempio a scuola, o durante i vari corsi di formazione o durante le varie esperienze lavorative. Esse sono il nostro bigliettino da visita, perché presenti nel curriculum che legge il selezionatore, il quale dovrà, attraverso una serie di screening curriculari, decidere chi chiamare per un colloquio di approfondimento.

Le soft skill sono delle competenze trasversali perché attraversano tutti gli ambiti lavorativi, dunque non sono competenze specifiche legate a un singolo compito o a una singola mansione (hard skill). Esse possono essere considerate delle caratteristiche personali che influenzano il modo in cui si affrontano le richieste dell’ambiente esterno (in questo specifico articolo ci si riferirà soprattutto all’ambito lavorativo, ma il discorso è facilmente espandibile a tutti i contesti della vita). Le principali soft skill, secondo il sito di AlmaLaurea sono: autonomia; fiducia in sé stessi; flessibilità/adattabilità; resistenza allo stress; capacità di pianificare e organizzare; precisione/attenzione ai dettagli; apprendere in maniera continuativa; conseguire obiettivi; gestire le informazioni; essere intraprendente/spirito d’iniziativa; capacità comunicativa; problem solving; team work e leadership.

Quando fare affidamento su di loro?

Come accennato in precedenza, le hard skill sono molto importanti soprattutto nella fase iniziale dell’iter di selezione, ovvero quando il selezionatore deve decidere chi è idoneo a ricoprire la posizione vacante all’interno dell’azienda; infatti, esse rappresentano i requisiti minimi che una persona deve avere per potersi candidare per l’offerta lavorativa. Le soft skill sono importanti nella fase centrale (presente soprattutto nelle grandi selezioni) e nella fase finale dell’iter di selezione, quando ad esempio si è convocati per un colloquio o per dei test. In questi ultimi due momenti si presuppone che tutti i candidati presenti abbiano i requisiti specifici (hard skill) per ricoprire al meglio la posizione, dunque si vuole verificare quali tra questi possiede competenze non strettamente legate al compito, ma che potrebbero portare a migliori performance.

Facciamo un esempio per capire meglio. Un’azienda cerca un nuovo collaboratore a cui affidare completamente sia la gestione di un punto vendita che la presentazione di nuovi prodotti in pubblico. Tra le hard skill troveremo ad esempio: capacità di gestire un punto vendita, con esperienza pregressa dimostrabile; conoscenza dei prodotti in vendita; padronanza dei principali sistemi informatici; etc. Mentre le soft skill potrebbero essere: autonomia (svolgere i compiti assegnati facendo affidamento solo alle proprie risorse, senza la necessità di essere affiancati da un supervisore); flessibilità/adattabilità (sapersi adattare facilmente a vari contesti e a differenti ambiti lavorativi); precisione (essere accurati e attenti a tutto ciò che si fa, curandone i dettagli); conseguire obiettivi (riuscire a raggiungere o a superare gli obiettivi prefissati); capacità comunicativa (trasmettere e condividere le informazioni con il proprio interlocutore in modo chiaro e sintetico, ma anche ascoltarli e confrontarsi con loro). Quindi, le prime hard skill saranno utili al selezionatore per scartare i candidati non idonei che non possono ricoprire la posizione lavorativa, mentre le soft skill sono importanti nel momento in cui si supera il primo step di selezione e si arriva a un colloquio o a un eventuale test. Dunque, entrambe sono molto importanti, ma in momenti differenti dell’iter selettivo.

Concezione passata delle competenze

Non sempre però la concezione di queste due macro-aree di competenze è stata la stessa, perché fino a qualche decennio fa, quando c’erano molte più possibilità lavorative rispetto ad adesso, si valutavano solo ed esclusivamente le cosiddette hard skill, dunque ai fini dell’assunzione si dava importanza alle competenze attinenti al lavoro che si sarebbe dovuto andare a svolgere. Con il passare del tempo, però, le soft skill sono divenute sempre più importanti, fino a ottenere una valenza di primissima fascia. Infatti, chi padroneggia queste ultime dispone di uno strumento utile a valorizzare le proprie competenze tecniche.

Conclusione

Non è possibile risolvere la diatriba tra coloro che sostengono le hard skill e coloro che sostengono le soft skill, perché sono entrambe molto importanti a seconda del momento di selezione in cui ci si trova.

Piccolo appunto però va fatto per i neolaureati, perché loro non hanno tante esperienze lavorative, dunque non potranno vantare, nel momento in cui mandano varie candidature per posizioni lavorative, un curriculum ricco di competenze tecniche. A questo proposito, per loro riveste particolare importanza riuscire, attraverso il proprio curriculum o il colloquio conoscitivo, a far emergere le competenze trasversali possedute.

16 Dic 2020

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è un grave quadro clinico che si manifesta in conseguenza di un fattore traumatico estremo (es. terremoto, incidente, violenza fisica, psicologica o sessuale), in cui la persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, minacce di morte, gravi lesioni, minacce all’integrità fisica propria o di altri.

Nella sua forma cronica si sviluppa solo in una piccola parte di sopravvissuti ad un trauma, anche se recenti ricerche hanno dimostrato che un’esperienza traumatica è relativamente comune nella popolazione generale. L’insorgenza di tale disturbo può intervenire anche a distanza di mesi dall’evento traumatico, e la sua durata può variare da un mese alla cronicità, per questo è necessario trattare immediatamente e profondamente il disturbo.

CAUSE DEL DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS

Non esiste un’ipotesi sicura circa le cause del Disturbo Post-Traumatico da Stress.

Una delle ipotesi più accreditate sostiene che a seguito di un grave trauma psicologico sembra avvenga nella persona uno squilibrio del sistema nervoso probabilmente causato da cambiamenti a livello dei neurotrasmettitori (o di adrenalina, cortisolo, ecc.) che determina un blocco del sistema e l’informazione acquisita al momento dell’evento (incluse le immagini, i suoni, l’emotività e le sensazioni fisiche) viene conservata a livello neurologico nel suo stato disturbante. Perciò questo materiale continua a essere innescato da una gamma di stimoli interni ed esterni e si esprime sotto forma di incubi, flashback e pensieri intrusivi.

SINTOMI

I sintomi del Disturbo Post-Traumatico da Stress possono essere suddivisi in categorie:

  • Intrusioni
  • Evitamento
  • Alterazioni negative nella cognizione e nell’umore
  • Alterazioni nell’eccitazione e reattività.

Generalmente, si hanno frequenti ricordi indesiderati che rievocano l’evento scatenante e sono frequenti gli incubi relativi all’evento. Meno comuni sono gli stati dissociativi transitori in cui gli eventi vengono rivissuti come se stessero accadendo. La risposta della persona comprende paura intensa e sentimenti di impotenza o di orrore.

L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente con ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi, che comprendono:

  • Immagini, pensieri, o percezioni, incubi e sogni spiacevoli.
  • Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando.
  • Disagio psicologico intenso all’esposizione verso fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  • Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  • Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale.
  • Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
  • Irritabilità o scoppi di collera.
  • Difficoltà a concentrarsi.
  • Ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è un quadro clinico che si associa spesso ad altri disturbi, tra i quali troviamo spesso:

  • Disturbi Affettivi e Depressione Maggiore
  • Disturbi da Attacchi di Panico e Fobia Sociale
  • Disturbi Dissociativi nella popolazione psichiatrica
  • Disturbo di Personalità Borderline
  • Abuso e dipendenza da sostanze come strategie di gestione dei ricordi

TRATTAMENTO PSICOTERAPEUTICO

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress può essere affrontato clinicamente in più modi, poiché rientra nella categoria generale dei Disturbi d’Ansia. Alcune tecniche utilizzate sono:

  • Esposizione – utile per ridurre le situazioni di evitamento.
  • Ri-etichettamento delle sensazioni somatiche – la discussione concreta sulla natura di diverse sensazioni favorisce una categorizzazione dei sintomi di ansia come effetti della sindrome da stress.
  • Rilassamento e respirazione addominale – strumento “sotto controllo” del paziente, il quale può utilizzarle quotidianamente ed autonomamente per alleggerire la tensione e lo stress.
  • Ristrutturazione cognitiva – il soggetto può essere aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei legati all’evento traumatico, divenendo in questo modo consapevole di come effettivamente modifichi il proprio stato emotivo.
  • EMDR (Eye Movement desensitisation and reprocessing) – la desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari è una nuova tecnica che permette di riprendere o di accelerare l’elaborazione delle informazioni legate al trauma.
  • Homework – i cosiddetti “compiti per casa” tra una seduta e l’altra, necessari per la continuità del trattamento. Essi sono progettati in collaborazione con il paziente e consistono frequentemente in diari di registrazione di elementi-bersaglio, o diari di automonitoraggio, o in schede di analisi delle cognizioni associate agli eventi.
09 Dic 2020

RESILIENZA… Ma cos’è?

RESILIENZA… Ma cos’è?

DEFINIZIONE

La resilienza è un concetto entrato nella quotidianità di tutti noi e di cui sentiamo parlare, soprattutto in questi ultimi anni, sempre più. Ma cos’è? Come la si può definire?

A questo proposito ci viene in aiuto il dizionario Treccani, che ci fornisce ben tre definizioni di essa:

  • “Nella tecnologia dei materiali, la resistenza a rottura per sollecitazione dinamica, determinata con apposita prova”;
  • “Nella tecnologia dei filati e dei tessuti, l’attitudine di questi a riprendere, dopo una deformazione, l’aspetto originale.”;
  • “In psicologia, la capacità di reagire di fronte a traumi, difficoltà, ecc.”.

Tra queste tre definizioni quella che ci interessa maggiormente è l’ultima, riguardante il campo della psicologia; ma in generale si può notare che in tutte e tre c’è un minimo comune denominatore, ovvero la resistenza a una pressione negativa esterna, che può ritenersi fisica, nel caso dei materiali, dei filati e dei tessuti, e mentale nel caso del campo psicologico.

Da qui in poi, ci concentreremo su quest’ultimo caso.

La persona resiliente dinanzi a un trauma si deforma, ma riesce con caparbietà e adattabilità a far fronte a questa situazione, ritornando alla condizione precedente l’episodio negativo, o in alcuni casi ad una condizione migliore.

ESEMPIO DI RESILIENZA: ALEX ZANARDI

Per comprendere cosa significhi essere resiliente è utile fare un esempio lampante, e che tutti noi conosciamo: Alex Zanardi. Egli è la definizione vivente di “resilienza”! È un ex pilota di Formula 1, che nel 2001 ebbe un gravissimo incidente in cui perse entrambe le gambe. Moltissime persone si sarebbero arrese e avrebbero lasciato senza pensarci il mondo dell’automobilismo, ma Zanardi no. Anzi, decise di disegnare da solo un paio di nuove gambe artificiali, con l’obiettivo di tornare a gareggiare. Questo accadde due anni dopo l’infortunio (nel 2003), proprio sulla stessa pista in cui nel 2001 ci fu l’incidente. Da lì ricominciò la sua carriera automobilistica e corse ben cinque campionati, dal 2004 al 2009, conditi da diverse vittorie. Dal 2007 ha cominciato a praticare la handbike e da qui in poi inizierà la serie di vittorie che tutti noi conosciamo nello sport paralimpico.

Tutta la sua resilienza è possibile captarla in un estratto di intervista in cui disse letteralmente “Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa”. Ecco, da adesso sarà a tutti un po’ più chiaro cos’è la resilienza.

COMPONENTI CHE PERMETTONO DI SVILUPPARE LA RESILIENZA

In uno studio condotto da Cantoni (2014) è emerso che ci sono dei fattori che porterebbero ad un incremento della resilienza e che quindi permetterebbero di aiutare l’individuo ad affrontare diverse realtà avverse. Essi sono:

  1. L’Ottimismo, ovvero la disposizione a cogliere il lato positivo di tutte le cose, ed è strettamente correlato al benessere individuale ed è inversamente legato alla sofferenza fisica e psicologica.
  2. L’Autostima, ovvero l’insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà a sé stesso. Avere bassi livelli di essa, porta ad avere una bassa considerazione di sé e ad essere troppo critici con sé stessi.
  3. La Robustezza Psicologica (Hardiness), che può essere scomposta in tre sotto-componenti:
    • il controllo (sentirsi in grado di poter controllare l’ambiente esterno, mobilitando le risorse utili per fronteggiarlo);
    • l’impegno (impiegare tutte le proprie forza e tutta la propria volontà per fare qualcosa);
    • la sfida (vedere i cambiamenti esterni come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze).
  4. Le Emozioni Positive, focalizzandosi su quello che si ha, piuttosto che su quello che manca.
  5. Il Supporto Sociale, ovvero una serie di processi interpersonali, in cui la persona si sente amata, stimata e apprezzata.

CONCLUSIONI

In conclusione, le persone resilienti, nelle circostanze avverse, riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà e riescono a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere mete importanti.

Attualmente, sia nella vita in generale che nella vita lavorativa, è essenziale essere resilienti; basti pensare a tutte le volte che ci accadono episodi negativi, ad esempio in famiglia o a lavoro o tra amici, in cui è necessario riprendersi e cercare di tornare alla normalità. O basti pensare a tutti gli eventi catastrofici, come ad esempio terremoti, maremoti, alluvioni, che provocano ingenti danni all’economia di un’area geografica e causano grossi danni alle singole persone e alle singole famiglie perché distruggono case, negozi, attività, strade, etc. In tutti questi casi, riuscire ad andare oltre, tornando così al livello precedente, è importantissimo e se non si riesce a farlo, si rischia di essere coinvolti in un circolo vizioso da cui è impossibile riprendersi.

09 Dic 2020

STILI DI LAVORO

STILI DI LAVORO

In ogni luogo di lavoro ci sono di solito, una varietà di personalità e di stili di lavoro. A volte questo livello di diversità può portare a problemi di comunicazione e conflitti, ma il più delle volte si traduce nello sviluppo di soluzioni creative ed efficaci.

È difficile classificare una persona in un unico stile, ma certamente tutti abbiamo dei tratti dominanti che ci rendono ciò che siamo. Quando si tratta di stili di lavoro, è utile capire un po’ meglio se stessi e riconoscere quello dei propri colleghi. In questo mondo si possono assegnare compiti e delegare, alle persone che più possono esprimere al meglio le loro capacità in quel determinato compito e così compensare le tue debolezze.

Lo stile di lavoro riguarda il modo in cui si svolgono le attività quotidiane sul lavoro. Abbiamo tutti il nostro stile di lavoro individuale per ottimizzare le prestazioni durante il lavoro. Si può essere più efficienti quando si lavora in modo indipendente impostando il proprio programma e attività. O forse si può essere più a proprio agio quando si lavora in un team che può aiutare a rimanere in pista, offrire supporto e dare feedback alle idee.

GLI STILI DI LAVORO PIÙ DIFFUSI

Pioniere. I pionieri accendono energia, si assumono rischi, valorizzano le possibilità e alimentano l’immaginazione della loro squadra. Si può pensare a loro come pensatori di grandi dimensioni, che creano le proprie opportunità o saltano su quelle esistenti. Sono noti per prendere decisioni spontanee e non sono così fissati su piccoli dettagli. Affrontano i problemi a testa alta con la logica e si sentono più connessi quando c’è un dibattito.

Lavoratore indipendente. Lo stile di lavoro indipendente descrive meglio le persone che sono più felici quando lavorano da sole. Trovano difficile collaborare con gli altri e trovano stretta una supervisione eccessiva. Invece di prendere ordini, seguono il loro istinto e vedono dove li porta la loro intuizione. I fautori dello stile di lavoro indipendente sono disciplinati, efficienti e produttivi.

Cooperativo. Questi lavoratori amano lavorare con gli altri su progetti e condividono la responsabilità per qualsiasi compito si assumano. Si nutrono di feedback e sono generalmente brillanti comunicatori. Sono altamente diplomatici e si trovano spesso in ruoli orientati alle relazioni come ruoli di leadership e risorse umane. I project manager, i direttori delle risorse umane e gli account executive sono spesso lavoratori cooperativi, poiché sono tipicamente collaborativi, organizzati e conoscono i dettagli dell’apprendimento strategico.

Prossimità. Lo stile di lavoro di prossimità è un ibrido dei due precedenti. Le persone che rientrano in questa categoria amano mantenere la responsabilità esclusiva di un’attività, ma non si preoccupano di lavorare anche con gli altri. Anche se sono responsabili, condividono la responsabilità con gli altri. Anche mentre perseguono i propri progetti, preferiscono mantenere la connessione sociale con i loro colleghi. Lo stile di lavoro di prossimità si trova in tutti gli aspetti del business. I sostenitori di questo stile di lavoro sono abbastanza adattabili e versatili da indossare molti cappelli allo stesso tempo. Sono loro che possono collegare i tipi cooperativi e indipendenti, aiutando a costruire una squadra che funziona.

Guardiani. I guardiani se la cavano bene con rigore, ordine e stabilità. Queste persone sono contrarie al rischio, pragmatiche e attente ai dettagli. A differenza dei pionieri, queste persone sono attente a tutto, guardano prima di saltare e non sono così entusiaste di saltare in territori inesplorati.

 Sostenitore. Se vedi dipendenti che sono emotivamente consapevoli ed espressivi, devono avere uno stile di lavoro solidale. L’obiettivo principale di questi dipendenti è coltivare legami profondi con i loro colleghi e clienti. Tali dipendenti hanno un talento per facilitare le interazioni del team e di solito possono capire se qualcosa non va con un membro del team. Lavorano bene con la collaborazione invece che con la competizione e amano celebrare il successo con tutta la loro squadra, invece di gonfiarsi di orgoglio.

02 Dic 2020

LA CREATIVITÀ

LA CREATIVITÀ

“Creatività significa semplicemente collegare cose.

Quando chiedi a persone creative come hanno fatto qualcosa, si sentono quasi in colpa perché non l’hanno fatto realmente, hanno solo visto qualcosa e, dopo un po’, tutto gli è sembrato chiaro. Questo perché sono stati capaci di collegare le esperienze vissute e sintetizzarle in nuove cose”.

(Steve Jobs)

La creatività è un concetto complesso. In generale, è una caratteristica che contraddistingue ciascun individuo in quanto essere umano. A volte è associata alla genialità, altre volte si parla di creatività nei bambini quando inventano qualcosa di nuovo, altre volte ancora si utilizza il termine creatività quando si parla di alcune professioni per cui questa caratteristica umana prevede un coinvolgimento importante.

Tutti possiamo essere creativi, infatti la creatività si può definire piuttosto uno stile di vita. È una caratteristica saliente del comportamento umano, seppur in alcuni individui sia più evidente che in altri.

La persona creativa non è creativa una volta ogni tanto, ma è in grado di comportarsi creativamente sempre… è colei che: «in un [dato] campo di attività regolarmente risolve dei problemi, elabora dei prodotti o formula interrogativi nuovi in un modo che inizialmente viene considerato originale ma che finisce per venir accettato in un particolare ambiente culturale» (Gardner, 1994). L’adattare i propri piani alle circostanze richiede un’abilità che ognuno di noi ha già: tutto ciò che dobbiamo fare è rendercene conto, osservare il processo creativo quando emerge e cercare di sfruttarlo intenzionalmente per risolvere i piccoli e grandi problemi della quotidianità; riconoscendo, tra pensieri e oggetti, nuove connessioni che portano a innovazioni e a cambiamenti. Ciò che distingue la creatività dall’arbitrarietà è il fatto che essa accade secondo regole; l’atto creativo non è sempre cosciente e ricercato.

Esistono diversi pensieri che descrivono l’atto creativo:

  • Il pensiero divergente – una forma di pensiero anticonformista, non convenzionale, e più strettamente connessa all’atto creativo. Tale pensiero tende all’unicità della risposta cui tutte le problematiche sono ricondotte, presenta originalità di idee, fluidità concettuale, sensibilità per i problemi, capacità di riorganizzazione degli elementi, produzione di molte risposte diverse fra loro. Nello specifico, è caratterizzato da quattro fattori:
    1. fluidità – la capacità di creare il maggior numero possibile di idee partendo da un determinato stimolo;
    2. flessibilità – il numero di categorie concettuali alle quali le risposte del soggetto possono essere ricondotte;
    3. originalità – la capacità di esprimere idee nuove e insolite, statisticamente improbabili;
    4. elaborazione – l’abilità di dare concretezza alle proprie idee.
  • Il pensiero convergente – una forma di pensiero che si muove, al contrario, verso una soluzione unica e prefissata, scontata, ma efficace, nella quale gioca un ruolo di primo piano il ragionamento logico. Dunque, è un pensiero che rimane circoscritto entro i confini del problema e segue le linee interne al problema stesso, aspettando o utilizzando regole già definite e codificate.
  • Il pensiero strategico – una forma di pensiero orientato a trovare il modo di raggiungere uno scopo. La creatività è vista come: “il percepire le cose da una prospettiva non ordinaria”, la quale permette di trovare la soluzione a problemi apparentemente irrisolvibili.
  • Il pensiero produttivo – una forma di pensiero che presenta un carattere esplorativo e di avventura che apre nuove soluzioni al di fuori della soluzione data, coinvolgendo una molteplicità di aspetti cognitivi.
  • Il pensiero verticale – una forma di pensiero che considera un percorso univoco per la risoluzione dei problemi.
  • Il pensiero laterale – una forma di pensiero in contrapposizione al precedente, che cerca la soluzione dei problemi valutando la molteplicità dei punti di vista, a partire dai quali il problema può essere esaminato e la soluzione trovata con un percorso più breve o inaspettato.

COME ESSERE CREATIVI?

L’azione creativa avviene come prodotto di un pensiero creativo più o meno produttivo. Il processo creativo è formato da quattro momenti:

  1. conoscenza – uno stadio di preparazione, in cui si cerca di comprendere il problema in tutti i suoi aspetti e implicazioni;
  2. sedimentazione – uno stadio di incubazione, in cui il problema è presente sottotraccia;
  3. illuminazione – uno stadio di insight, in cui improvvisamente si trova la soluzione;
  4. verifica – un ultimo stadio, caratterizzato da un controllo accurato della soluzione trovata.

Per essere creativi può essere utile attivare un percorso irrazionale che amplifichi il nostro percepire, piuttosto che il nostro comprendere. Ad esempio, attraverso il brainstorming o “tempesta di cervelli”, una procedura collettiva nella quale ognuno, su un dato argomento, cerca di sparare idee a raffica senza pensarci troppo.

02 Dic 2020

CAREER DEVELOPMENT

CAREER DEVELOPMENT

Lo sviluppo della carriera è il processo di conoscenza di sé, esplorazione e processo decisionale che dà forma alla propria carriera. È necessario navigare con successo nelle proprie opzioni professionali per scegliere e formarsi per lavori che si adattano alla propria personalità, capacità e interessi.

Quando qualcuno presta molta attenzione allo sviluppo della propria carriera, identifica i propri punti di forza e punti ciechi, quindi lavora sodo per migliorare le proprie capacità. Comprende anche l’apprendimento di ruoli e settori diversi per trovare una corrispondenza con le proprie capacità, cercare opportunità di avanzamento e forse anche cambiare completamente la carriera se ne trovava una più adatta.

Lo sviluppo della carriera può iniziare quando qualcuno è piuttosto giovane e sta solo imparando diversi modi per guadagnarsi da vivere. Fa parte dello sviluppo umano e il processo può durare tutta la vita. Lo sviluppo della carriera non finisce dopo aver scelto un’occupazione. Si deve quindi ottenere l’istruzione e la formazione richieste, fare domanda e trovare un impiego e, infine, avanzare nella carriera. Per la maggior parte delle persone, includerà anche il cambiamento di carriera e lavoro almeno una volta (e probabilmente più spesso) durante la loro vita lavorativa. Molte persone si trovano ad aver bisogno di una consulenza professionale quando incontrano problemi o devono prendere decisioni sulla propria carriera, ad esempio quando stanno pensando di cercare un nuovo lavoro o di cambiare professione.

FATTORI CHE INFLUENZANO LO SVILUPPO DI CARRIERA

Lo sviluppo della carriera di una persona può essere influenzato da molteplici fattori, alcuni dei quali possono essere in gran parte al di fuori del loro controllo. Queste influenze devono essere considerate durante il processo di sviluppo di una carriera.

Caratteristiche personali: tipo di personalità, interessi, attitudini e valori legati al lavoro rendono tutti noi ciò che siamo. Queste caratteristiche personali giocano un ruolo significativo nello sviluppo della carriera poiché influenzano le occupazioni che troviamo soddisfacenti, nonché i tipi di ambienti di lavoro in cui avremo successo.

Risorse finanziarie: perseguire determinate opzioni di carriera può essere costoso.

Obblighi finanziari: obblighi finanziari come un mutuo, un affitto, prestiti agli studenti o persino le tasse universitarie di un bambino possono impedire a una persona di cambiare lavoro o carriera.

Disabilità fisiche, mentali ed emotive: alcune persone sono più adatte ad alcune carriere che ad altre a causa di capacità o limitazioni fisiche e mentali.

Età: l’età, o La percezione di essa, può ostacolare nello sviluppo della propria carriera.

Obblighi familiari: lo sviluppo della carriera di una persona può bloccarsi ad esempio si prende una pausa dal lavoro per prendersi cura dei bambini o dei genitori anziani.

L’IMPORTANZA DEL CAREER DEVELOPMENT

Lo sviluppo della carriera sta rapidamente diventando un tormentone, non solo tra individui e dipendenti, ma anche nelle organizzazioni. Molte di queste organizzazioni arrivano persino a stabilire programmi di sviluppo professionale per la loro forza lavoro.

Questo perché ora sono pienamente consapevoli del fatto che lo sviluppo della carriera non è qualcosa che avvantaggia solo l’individuo, ma anche l’organizzazione. Lo sviluppo professionale aiuta l’adattamento alla natura mutevole del lavoro e ai tipi di lavoro e nella gestione del fabbisogno di manodopera.

Le organizzazioni stanno implementando programmi di sviluppo della carriera, perché vogliono qualcosa che possa affrontare i vari problemi di risorse umane e di personale che incontrano. In particolare, lo sviluppo della carriera aiuta a:

  • L’identificazione e la previsione delle esigenze di manodopera. Attraverso lo sviluppo della carriera, l’organizzazione può pianificare la propria struttura in modo più efficace ed efficiente. Gli audit organizzativi vengono spesso condotti per verificare se la struttura attuale funziona o se è necessario ristrutturare e riorganizzare il personale.
  • Garantire una fornitura costante e continua di lavoratori qualificati e di talento. Le migliori e più talentuose persone in cerca di lavoro danno la priorità a candidarsi ad aziende note per avere solidi programmi di sviluppo professionale.
  • Garantire un buon adattamento tra il lavoro e il titolare del posto. Questo è uno dei motivi fondamentali per cui c’è sviluppo di carriera. Per avanzare nella sua carriera, il titolare del lavoro deve assicurarsi di essere in grado di svolgere il lavoro bene e un modo per garantirlo, è perseguire attivamente gli sforzi di sviluppo della carriera volti a migliorare sé stessi.
  • Aumentare la motivazione dei dipendenti e la soddisfazione sul lavoro. I dipendenti che lavorano in un’azienda con una posizione forte e positiva sullo sviluppo della carriera si sentiranno più motivati a lavorare. Rimarranno con l’azienda, poiché promette che c’è un chiaro percorso di carriera da seguire.
  • Lo sviluppo della carriera promuove l’equità nella forza lavoro. Grazie ai programmi di sviluppo della carriera, il campo di gioco sul posto di lavoro potrebbe essere un po’ livellato. Promuove l’equità, in cui i dipendenti possono avere pari opportunità per migliorare sé stessi e avanzare nella propria carriera.
  • Lo sviluppo della carriera aumenta la produttività dei singoli lavoratori. È probabile che dipendenti soddisfatti e motivati migliorino la qualità del loro lavoro. Inoltre, se acquisiscono più conoscenze e più competenze attraverso lo sviluppo della carriera, saranno in grado di aumentare la loro produttività e contribuire maggiormente all’organizzazione.