
Come può crescere “una ghianda” nelle organizzazioni?
“Un seme di quercia nel corso del tempo darà vita necessariamente a una quercia, non a un pino né a un abete. Ogni quercia ha infatti delle peculiarità che la rendono unica nonostante si tratti sempre di una quercia.” Lo stesso, secondo Hillman, succede a noi umani, che nasciamo con uno o più talenti peculiari, dimenticandocene spesso nel corso della vita.
Per comprendere meglio questo concetto, lo psicoanalista e filosofo James Hillman ha sviluppato La “Teoria della Ghianda” alla fine degli anni ‘90, che sottolinea l’individualità del singolo, percepito come un’ unicità irriducibile e caratterizzato da un talento innato che aspetta solo di essere scoperto.
Dunque, Hillman considera l’individuo stesso come una ghianda:
- Ciascun individuo ha delle peculiarità che lo rendono unico;
- Queste peculiarità sono potenzialità da esprimere;
- L’ espressione necessità di consapevolezza e attenzione/ cura dell’individuo e delle persone con cui esso interagisce.
L’ individuo è quindi una risorsa potenziale e ineguagliabile nell’ambito organizzativo. A tal proposito, si parla del capitale psicologico come della nuova frontiera del potenziale.
L’espressione “capitale psicologico” può essere considerata una nuova lettura del concetto di potenziale: se tradizionalmente il concetto di potenziale si riferisce agli aspetti tangibili e osservabili, e quindi alle competenze puramente comportamentali e alle capacità di adattamento al ruolo richiesto, oggi, con l’utilizzo del termine capitale psicologico, si può far riferimento agli aspetti più intangibili e inosservabili che determinano i comportamenti.
Il capitale psicologico si compone di vari elementi. Oltre alla dotazione intellettiva individuale, possiamo riconoscere:
- la personalità
- i valori, quindi le convinzioni profonde che definiscono ciò che è importante per la persona
- il senso di autoefficacia, quindi la convinzione nelle proprie capacità
- la resilienza, cioè la capacità di reagire alle difficoltà, ristabilendo le condizioni ottimali per svolgere le attività
- l’ottimismo, ovvero la tendenza a prefigurarsi scenari positivi
- la determinazione, cioè la capacità di perseverare verso gli obiettivi
- le inclinazioni motivazionali, ovvero le preferenze individuali sul lavoro che spingono le persone all’azione.
Alla luce di quanto detto, sorge spontaneo chiedersi per quale ragione un’organizzazione dovrebbe investire in questa forma di capitale.
Investire sul capitale psicologico permette di sostenere l’individuo nell’affrontare efficacemente scenari mutevoli e complessi, trovando in se stesso le risorse anche in assenza di riferimenti o supporti esterni. Tale investimento contribuisce direttamente alla realizzazione personale del lavoratore e, al tempo stesso, al conseguimento degli obiettivi professionali.
Ma se questo capitale è effettivamente utile per un’organizzazione, poiché appunto permette il conseguimento degli obiettivi, in che modo può essere espresso?
Un elemento fondamentale che ne permette l’espressione è l’esistenza di una proficua interazione tra l’individuo e l’organizzazione. Quest’ultima gioca un ruolo fondamentale e deve essere in grado di creare condizioni favorevoli al fine di permettere lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo. Gli elementi caratterizzanti l’organizzazione ideale presuppongono un orientamento organizzativo basato non più sul controllo dei dipendenti, ma sulla fiducia nelle capacità degli stessi “collaboratori”, e il job crafting, ossia la capacità dell’organizzazione di plasmarsi attorno alla persona, in virtù della sua storia professionale e delle sue motivazioni uniche.
Questa nuova visione organizzativa necessita di un vero e proprio change management in cui il manager da esperto di contenuti diviene un vero e proprio ricercatore e scopritore del capitale psicologico.