21 Nov 2018

L’intelligenza emotiva: la nuova competenza per il successo

L’intelligenza emotiva: la nuova competenza per il successo

Inserita tra le prime 10 competenze richieste entro il 2020 dal World Economic Forum, ricercata dai recruiter e incoraggiata dagli imprenditori: l’intelligenza emotiva riveste sempre più importanza nel mondo del lavoro. A dimostrarlo è lo studio Workplace Trend 2018 realizzato dal Gruppo Sodexo, dal quale emerge non solo che il 34% degli headhunter danno molta importanza a questa qualità nelle selezioni, ma anche che creare un ambiente di lavoro in grado di stimolare l’intelligenza emotiva è il trend del momento. Secondo gli esperti questa qualità è vitale per la carriera ed esserne dotati è addirittura più importante rispetto a possedere un alto quoziente intellettivo: la maggior parte delle persone di successo infatti possiede un buon livello di IE.

Ma che cos’è l’intelligenza emotiva? Lo psicologo di fama mondiale Daniel Goleman la definisce come la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli altri e di saper gestire le emozioni in modo efficace. Una qualità più rara di quanto si possa pensare e di difficile valutazione, dato che secondo un team di studiosi della Yale University viene sovrastimata dall’80% delle persone.

La quotidianità è costellata di esperienze emotive: se ne vivono oltre 500 al giorno, ma si è coscienti solo di una piccola frazione. Tuttavia, esse danno un tono a ogni interazione: questa consapevolezza porta a capire la necessità di esplorare le emozioni sul posto di lavoro, motivo per cui l’intelligenza emotiva è diventata un’abilità chiave di aziende e leader che, se coltivata, può migliorare anche del 70%.
Un’importanza sottolineata anche dai protagonisti del mondo delle imprese: “Da decenni s’indaga sull’intelligenza emotiva, che oggi rappresenta un elemento imprescindibile per districarsi in un mondo in continuo mutamento, caratterizzato da un’economia globale e da cambiamenti demografici che rendono sempre più diversificate le tipologie di clienti – afferma Stefano Biaggi, Amministratore Delegato di Sodexo Italia – L’ambiente di lavoro e le relazioni che si instaurano giocano un ruolo importante nel permettere alle persone di esprimere lo spettro completo delle emozioni. Esistono tecniche per comprendere e misurare le emozioni: attraverso i dati psicografici raccolti con la metodologia di Personix è possibile delineare le motivazioni dominanti tra i dipendenti dell’azienda, relative ad attitudini, stile di vita, personalità e valori.

Per il prof. Cary Cooper della Manchester Business School, noto docente esperto in psicologia organizzativa e della salute, la recessione ha segnato un prima e un dopo nel mondo lavorativo. Meno persone svolgono più lavoro, di conseguenza sono più incerte rispetto all’occupazione e si sentono meno valorizzate, ma come uscire da questa impasse valorizzando le risorse più dotate d’intelligenza emotiva? “La base dell’IE nelle organizzazioni è avere dei manager in grado di tradurre le loro forti competenze sociali e interpersonali in comportamenti e strategie di leadership – ha rivelato il prof. Cooper – Questo crea le adeguate condizioni psicologiche e fisiche per far sentire i collaboratori motivati, apprezzati e degni di fiducia”.
Secondo Goleman, inoltre, oggi si tende a essere meno pazienti nei confronti dei leader ritenuti “cattivi capi”, ovvero coloro che non sono capaci di ascoltare, guidare e condividere i meriti. Questo è vero soprattutto per Millennials e Generazione Z, parte della forza lavoro in rapida crescita. Ma a chi si devono affidare le aziende per migliorare? “Decenni di studi hanno dimostrato che i leader e i team migliori sono quelli con elevate capacità emotive e sociali, tra cui padronanza di sé, resilienza sotto stress, empatia, influenza e lavoro di squadra – ha affermato il dott. Goleman – Queste sono le competenze che contraddistinguono i migliori performer del ventunesimo secolo”.
Per creare un ambiente di lavoro emotional-friendly innanzitutto occorre aumentare l’intelligenza emotiva all’interno delle organizzazioni assumendo talenti con maggiori competenze di IE. Inoltre, pratiche come l’experience design possono aiutare a scoprire i bisogni e le motivazioni dei lavoratori e a capire come migliorare la loro esperienza lavorativa.

Negli ambienti incentrati sulla persona i collaboratori si sentono più apprezzati e connessi all’organizzazione e sono incoraggiati a esprimere e condividere le proprie emozioni e possono dare il meglio al lavoro a beneficio delle persone, del team e dell’intera organizzazione. Creare spazi dove le persone possano lavorare in privato o prendere una pausa sono, per esempio, caratteristiche di un ambiente emotivamente intelligente.

Per valorizzare al meglio l’intelligenza emotiva in azienda, ecco i 4 ambiti che compongono il modello delle competenze dell’intelligenza emotiva e sociale realizzato da Richard Boyatzis, professore di economia alla Case Western Reserve University e da Daniel Goleman, che analizza il punto di vista dei lavoratori e delle aziende:

1) Autoconsapevolezza (sapere cosa sento e perché lo sento)
– Dal punto di vista del lavoratore: è segno di maggiori possibilità di successo.
– Dal punto di vista dell’azienda: le imprese con più collaboratori autoconsapevoli hanno performance migliori delle altre.

2) Autogestione (gestire le emozioni stressanti e individuare le emozioni positive)
– Dal punto di vista del lavoratore: le persone che gestiscono efficacemente le proprie emozioni subiscono meno lo stress correlato al lavoro.
– Dal punto di vista dell’azienda: i leader che gestiscono bene le emozioni ottengono risultati migliori.

3) Consapevolezza sociale (riconoscere ed empatizzare con le emozioni altrui)
– Dal punto di vista del lavoratore: l’80% degli impiegati pensa che l’empatia sul lavoro debba aumentare.
– Dal punto di vista dell’azienda: l’abilità dei leader di essere empatici è correlata a maggiori profitti e produttività.

4) Gestione delle relazioni (lavorare efficacemente con gli altri, risolvere i conflitti, ispirare e motivare)
– Dal punto di vista del lavoratore: il 46% dei professionisti crede che le amicizie sul lavoro siano importanti per essere felici.
– Dal punto di vista dell’azienda: per il 77% dei lavoratori è importante essere in buoni rapporti con i colleghi.

26 Giu 2018

L’intelligenza emotiva

L’intelligenza emotiva

Un costrutto che suscita sempre più l’attenzione dei ricercatori all’interno dei contesti organizzativi è quello dell’intelligenza emotiva.

Nonostante il termine sia apparso in letteratura sin dagli anni ’60, il costrutto ha iniziato ad essere definito solo in tempi recenti. Già Thorndike sosteneva l’esistenza di un’intelligenza sociale che coincideva con la capacità di capire e dirigere le persone ed agire saggiamente nelle relazioni interpersonali. Abbastanza simile a questa intelligenza è quella proposta da Gardner, ovvero l’intelligenza interpersonale, che coincide con la capacità di riconoscere e fare distinzioni riguardo i sentimenti, le intenzioni e le credenze altrui.

A questo tipo d’intelligenza Gardner ne affiancava una seconda: l’intelligenza intrapersonale, ovvero la capacità di riconoscere i propri sentimenti. Questi due tipi di intelligenza, insieme,  formano l’intelligenza personale. Secondo Gardner, infatti, intelligenza intrapersonale e interpersonale sono strettamente collegate e per questo motivo è difficile distinguerle. Tuttavia, una prova della loro autonomia sarebbero, ad esempio, i bambini autistici in cui è compromessa l’intelligenza interpersonale ma non quella intrapersonale.

Gardner includeva queste due tipologie di intelligenza insieme ad altre cinque all’interno del modello delle intelligenze multiple. Nello specifico, questo studioso criticava la visione predominante della sua epoca, secondo la quale l’intelligenza coincideva con una capacità unitaria di ragionamento logico.

La prima definizione di intelligenza emotiva si deve al lavoro di Salovey e Mayer (1990) che la definiscono come “l’abilità di monitorare le emozioni e i sentimenti propri e altrui, distinguere tra questi ed usare le informazioni per guidare il pensiero e le azioni di qualcuno”. In particolare, l’intelligenza emotiva viene intesa come un sottoinsieme dell’intelligenza intrapersonale ed intrapsichica di Gardner. Gli stessi considerano l’intelligenza emotiva “come l’abilità di processare l’informazione affettiva”. Quest’abilità “comporterebbe in particolar modo il coinvolgimento di tre processi differenti: valutazione ed espressione delle emozioni in se stessi e negli altri,  regolazione delle emozioni in se stessi e negli altri, uso delle emozioni in modo adattivo”.

Successivamente, “Intelligenza Emotiva” di Goleman è stato fondamentale affinchè il concetto assumesse popolarità anche al di fuori del campo della ricerca psicologica.

Negli anni successivi l’attenzione sull’intelligenza emotiva ha preso sempre più il sopravvento sia nel mondo scientifico che in quello popolare. Per questo sono state proposte numerose definizioni e tanti altri strumenti di misura del fenomeno, a volte anche contrastanti tra loro.

L’intelligenza emotiva nelle organizzazioni

Oggi possiamo affermare che per la maggior parte delle organizzazioni il vantaggio competitivo è legato alle persone. Nei prossimi decenni le persone diventeranno l’unica fonte di vantaggio competitivo realmente sostenibile.

Chi si occupa dell’impatto delle persone sulle performance organizzative sa bene come ad esempio un buon clima lavorativo sia in grado di spiegare migliori performance economiche e finanziarie. Coinvolgere le persone nei processi di cambiamento, risolvere i problemi in maniera proattiva, creare il contesto favorevole alla performance, sviluppare la collaborazione: sono tutte capacità di una leadership realmente efficace che lo sviluppo delle competenze emotive supporta.

Attraverso gli strumenti di assessment e sviluppo dell’intelligenza emotiva è possibile per esempio creare una strategia di risorse umane basata su indicatori di perfomance misurabili, focalizzare i processi di selezione sui fattori più significativi per il successo, sviluppare training sulle competenze ritenute più importanti per la performance dell’azienda.

Un altro ambito di applicazione e d’intervento attraverso l’intelligenza emotiva è il cambiamento organizzativo: chiunque sia stato coinvolto in cambiamenti organizzativi, ha sperimentato come la parte più complessa sia legata alle persone.

Le competenze emotive costruiscono fiducia, favoriscono la comunicazione e l’impegno tra le risorse umane, tre aspetti essenziali per il cambiamento organizzativo.

10 Apr 2018

Comunicazione efficace: caratteristiche e vantaggi

Comunicazione efficace: caratteristiche e vantaggi

La capacità di comunicare in modo efficace con i superiori, i colleghi e lo staff è essenziale, indipendentemente dal settore in cui si lavora. I lavoratori nell’era digitale devono sapere trasmettere e ricevere in modo efficace i messaggi di persona, nonché tramite telefono, e-mail e social media . Buone capacità comunicative sono necessarie per ottenere ingaggi, promozioni e ad avere successo durante la carriera.

Le abilità comunicative possono essere schematizzate come segue.

1. Ascolto

Essere un buon ascoltatore è uno dei modi migliori per essere un buon comunicatore. A nessuno piace comunicare con qualcuno che si preoccupa solo di esprimere le proprie opinioni e non si prende il tempo di ascoltare l’altra persona. Se non si è un buon ascoltatore, sarà difficile comprendere ciò che ti viene chiesto di fare.

Bisogna prendersi del tempo per praticare l’ascolto attivo. L’ascolto attivo implica prestare molta attenzione a ciò che l’altra persona sta dicendo, ponendo domande di chiarimento e riformulando ciò che la persona dice per garantire la comprensione. Attraverso l’ascolto attivo, si può capire meglio ciò che l’altra persona sta cercando di dire e si può rispondere in modo appropriato.

2. Chiarezza e concisione

Una buona comunicazione implica non parlare troppo o troppo poco. È necessario trasmettere il proprio messaggio nel minor numero possibile di parole, dire ciò che si vuole chiaramente e direttamente, sia che si parli con qualcuno di persona, che al telefono o via email. Pensare a cosa si vuole dire prima di dirlo sarà d’aiuto per evitare di parlare eccessivamente e / o di confondere il destinatario.

3. Cordialità

Attraverso un tono amichevole, una domanda personale o semplicemente un sorriso, sarà possibile aiutare i propri colleghi a impegnarsi in una comunicazione aperta e onesta con voi.

È importante essere gentili e educati in tutte le comunicazioni sul posto di lavoro. Questo è importante sia nella comunicazione faccia a faccia che scritta. Quando è possibile, è bene personalizzare le proprie e-mail dirette a colleghi e / o dipendenti.

4. Fiducia

È importante essere fiduciosi delle proprie interazioni con gli altri. La fiducia mostrata ai propri colleghi li aiuterà a far sì che loro credano in quello che si sta dicendo. Trasmettere fiducia non vuol dire farsi in quattro, ma anche solo essere attenti al contatto visivo o usare un tono fermo ma amichevole-

5. Empatia

Anche quando non si è d’accordo con un datore di lavoro, un collega o un dipendente, è importante capire e rispettare il punto di vista altrui. Usare frasi semplici come “Capisco cosa stai pensando” dimostra che hai ascoltato l’altra persona e rispetti le sue opinioni.

7. Apertura mentale

Un buon comunicatore dovrebbe entrare in qualsiasi conversazione con una mente aperta e flessibile, essendo disposti a discutere anche con persone con cui non si è d’accordo.

7. Rispetto

Le persone saranno più aperte a comunicare se viene trasmesso rispetto per loro e le loro idee. Azioni semplici come l’uso del nome di una persona, il contatto visivo e l’ascolto attivo quando una persona parla faranno sentire l’altro apprezzato.

8. Feedback

Essere in grado di dare e ricevere feedback in modo appropriato è un’importante abilità comunicativa. I manager e i supervisori devono continuamente cercare modi per fornire ai dipendenti feedback costruttivi, tramite email, telefonate o aggiornamenti settimanali. Dare feedback implica anche lodare – qualcosa di semplice come dire “buon lavoro” o “grazie per quello che hai fatto” ad un dipendente può aumentare notevolmente la motivazione.

Bisogna, inoltre, essere in grado di accettare e persino incoraggiare il feedback degli altri, chiedere chiarimenti se non si è sicuri del problema, e sforzarsi di implementare i feedback.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

03 Apr 2018

Risoluzione dei conflitti, tra gestione e mediazione

Risoluzione dei conflitti, tra gestione e mediazione

La risoluzione di un conflitto viene definita come l’insieme dei metodi e dei processi coinvolti nel facilitare la fine pacifica di conflitto e la gestione delle conseguenze dello stesso.

I membri di un gruppo generalmente tentano di risolvere i conflitti comunicando attivamente le loro motivazioni o idee in conflitto con il resto del gruppo (ad es. Intenzioni, ragioni per mantenere certe convinzioni) e impegnandosi in una negoziazione collettiva.

Tuttavia, a volte tale processo non è automatico e spesso non si riesce a superare il conflitto positivamente. La capacità di gestire i conflitti è un’abilità “soft” non sempre presente nel background dei dipendenti, ma può essere facilmente appresa.

Gli esiti della risoluzione del conflitto generalmente sono proporzionali all’importanza del conflitto e al modo con cui viene gestito.

Esistono diversi modi per risolvere i conflitti, ma generalmente si distingue tra una risoluzione dei conflitti cognitiva, una risoluzione dei conflitti emotiva ed una comportamentale.

La risoluzione cognitiva è legata al modo con cui i disputanti comprendono e vedono il conflitto, in base alle proprie credenze, prospettive e atteggiamenti.

La risoluzione emotiva è legata, invece, a ciò che i disputanti provano riguardo ad un conflitto, compresa l’energia emotiva che porta al conflitto e quella legata all’esito della risoluzione.

La risoluzione comportamentale riflette il modo in cui agiscono i disputanti, in poche parole il loro comportamento durante il conflitto.

Esiste una vasta gamma di metodi e procedure per affrontare i conflitti, molto spesso legati anche alle capacità stesse di gestire i conflitti. La gestione dei conflitti, infatti, non sempre ha come obiettivo la loro risoluzione.

È possibile identificare 5 step fondamentali nella risoluzione dei conflitti, che spesso vengono dati per scontati ma che altrettanto frequentemente portano ad esiti disastrosi:

Step 1: identificare la fonte del conflitto. Più informazioni si posseggono sulla causa del conflitto, più facilmente è possibile risolverlo. Per ottenere le informazioni necessarie, si può rivolgere al proprio gruppo una serie di domande per identificare la causa dello scontro, come ad esempio “Quando ti sei sentito arrabbiato?” “Vedi una relazione tra questo evento e questo incidente?” “Com’è iniziato questo diverbio?”

In qualità di manager o supervisore, è necessario dare ad entrambe le parti la possibilità di condividere la propria versione della storia. Questo fornirà una comprensione migliore della situazione, oltre a dimostrare l’ imparzialità del mediatore. Mentre si ascolta ogni disputante, è bene mostrare empatia e capacità di ascolto, abilità fondamentale nel momento in cui ci si appresta a risolvere un conflitto, sia se ci si appresta a mediare in una situazione conflittuale, sia se si è parte del conflitto stesso.

Step 2: guarda oltre l’incidente. Spesso, non è la situazione, ma la prospettiva della situazione che fa arrabbiare una o più parti del conflitto e che alla fine porta a delle esplosioni emotive o ad uno scontro acceso.

La fonte del conflitto potrebbe essere un problema minore che si è verificato mesi prima, ma il livello di stress è cresciuto fino al punto in cui le due parti hanno iniziato ad attaccarsi a vicenda, spesso sul personale, anziché affrontare il problema reale.

Se ci si trova in una posizione di mediatore, è utile convincere le parti a guardare oltre l’incidente che scatena l’azione per vedere la sua vera causa. Ancora una volta, le domande di sondaggio aiuteranno. Alcune di esse possono essere, ad esempio, “Cosa pensi che sia successo prima?” O “Quando pensi che il problema tra voi sia nato?”

Step 3: proporre soluzioni. Dopo aver individuato il punto di vista di ciascuna parte riguardo il conflitto, il passo successivo consiste nel far sì che ognuno di loro identifichi come la situazione potrebbe essere cambiata. Di nuovo, è utile sollecitare le loro idee con domande come: “Come puoi migliorare le cose tra voi?”

Come mediatore, devi essere un ascoltatore attivo, consapevole di ogni sfumatura verbale. Non basta ascoltare passivamente. Se si vuole che i contendenti smettano di combattere e inizino a collaborare, ciò implica allontanare la discussione dalle accuse, e portarla verso la ricerca di collaborazione.

Step 4: identificare le soluzioni che entrambi i disputanti possono supportare. Seguire la linea d’azione più accettabile per le parti, riconoscere i meriti di delle soluzioni e identificare le prospettive non solo dal punto di vista dell’altro, ma in termini di benefici per l’organizzazione.

Step 5: Accordo. Il mediatore deve convincere le due parti a stringere ad accettare realmente una delle alternative identificate nel passaggio 4, senza far sentire l’altro come “sconfitto”. Alcuni mediatori arrivano al punto di scrivere un contratto in cui sono specificate le soluzioni da prendere e gli intervalli di tempo necessari per la loro realizzazione. Tuttavia, potrebbe essere sufficiente far incontrare gli individui e farli rispondere a queste domande: “Quali piani d’azione metterete entrambi in atto per evitare che sorgano conflitti in futuro?” E “Cosa farete se sorgessero problemi in futuro?”

L’arte di gestire ed eventualmente risolvere i conflitti necessita di competenze che spesso vengono tralasciate nel contesto aziendale.

Stimolare lo sviluppo di queste abilità nei propri dipendenti, nonché di un clima organizzativo disteso e sereno, fa parte delle buone pratiche consigliabili ad ogni azienda che è consapevole del valore delle proprie risorse umane.

Un conflitto mal gestito e mal risolto, infatti, potrebbe portare a conseguenze disastrose, come turnover, burnout e diminuzione della probabilità e del committment organizzativo.

Psyche at Work si occupa di servizi di consulenza e formazione per imprese e studi professionali. Per informazioni e chiarimenti: 800.301657

27 Mar 2018

Conflitti aziendali: eventi negativi o possibilità di crescita?

Conflitti aziendali: eventi negativi o possibilità di crescita?

La gestione dei conflitti è il processo di limitazione degli aspetti negativi del conflitto aumentandone al contempo gli aspetti positivi. Lo scopo della gestione dei conflitti è migliorare l’apprendimento e i risultati del gruppo, compresa l’efficacia o le prestazioni in un contesto organizzativo. Un conflitto gestito correttamente può migliorare la produttività del gruppo.

È difficile evitare del tutto un conflitto, sia sul posto di lavoro che nella vita quotidiana.

Eliminare completamente un conflitto causerebbe diversi problemi: non ci sarebbe alcuna diversità di opinioni, e dunque non ci sarebbe crescita. Inoltre, verrebbe meno la possibilità di cogliere e correggere piani e politiche sbagliate.

Una scarsa comunicazione o una tensione interpersonale possono facilmente causare semplici divergenze, ma potrebbero portare anche ad un maggiore risentimento e a conflitti aperti.

I conflitti mal gestiti a lungo andare potrebbero diminuire la produttività e danneggiare il morale del personale. È per questo che i datori di lavoro cercano dipendenti con competenze per gestire i conflitti.

Non tutti i conflitti sono uguali, né possono essere gestiti come se fossero simili. Un confronto con un cliente arrabbiato è molto diverso da un litigio personale tra colleghi di lavoro o da un attrito con il proprio supervisore. Allo stesso modo, alcuni conflitti si verificano quando le persone non sono d’accordo su come fare la cosa giusta, mentre altri implicano comportamenti negativi volti ad ottenere un guadagno personale.

I conflitti possono essere affrontati direttamente dalle parti coinvolte, o con l’intervento di supervisori, di manager delle risorse umane, funzionari sindacali o mediatori professionisti.

Il processo potrebbe comportare una conversazione occasionale o il ricorso ad un reclamo formale.

Forti capacità di gestione dei conflitti sono un vantaggio in molte posizioni; perlomeno, un dipendente con tali competenze causa meno conflitti che dovranno gestire altri, creando un ambiente di lavoro nel complesso più uniforme.

I responsabili delle assunzioni possono o meno cercare le abilità di gestione dei conflitti in modo esplicito, tuttavia molte di queste stesse abilità potrebbero rientrare in altre competenze, come quelle relative al lavoro di squadra o alla leadership.

Se un lavoro specifica “gestione dei conflitti” nella descrizione, è bene prepararsi a condividere esempi specifici di come sono stati gestiti dei conflitti durante il colloquio di lavoro

Le capacità di gestione dei conflitti ruotano attorno a far sì che tutti si sentano ascoltati e rispettati mentre negoziano una soluzione reciprocamente vantaggiosa che tutti possono accettare.

Non implica necessariamente che tutti ne escano vincitori o la rimozione di qualsiasi disaccordo.

Il conflitto può essere necessario e buono, e l’obiettivo della gestione dei conflitti è assicurarsi che qualsiasi disaccordo rimanga produttivo e professionale.

Diversi conflitti potrebbero essere risolti semplicemente attraverso abilità di comunicazione efficace. Le supposizioni su ciò che le altre persone già sanno, pensano o intendono possono causare risentimento o peggio. Molte persone si arrabbiano semplicemente perché vogliono sentirsi ascoltati. Essere semplicemente un buon ascoltatore può essere sufficiente per ispirare fiducia e risolvere sentimenti feriti.

L’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere i propri sentimenti e quelli degli altri e di gestire bene questi sentimenti. Le persone che hanno un’elevata intelligenza emotiva sono brave nell’identificare e soddisfare i bisogni degli altri, assumendosi la responsabilità dei propri bisogni e sentimenti.

Questa è strettamente legata all’empatia. La capacità di vedere una situazione dal punto di vista di qualcun altro, di comprenderne i bisogni, le motivazioni e le possibili incomprensioni, è fondamentale per un’efficace gestione dei conflitti. Alcune persone sono naturalmente più empatiche di altre, ma l’empatia può essere sviluppata.

Solitamente, l’empatia è accresciuta da una comprensione intellettuale della situazione di un altro, poiché l’empatia emotiva da sola a volte può creare intrecci complicati. L’empatia viene sviluppata al meglio in un ambiente di lavoro se abbinata al pensiero critico, all’intelligenza emotiva e ad altri tipi di capacità interpersonali.

Comprensione e comunicazione sono competenze positive, ma non aiutano molto se non si dispone di una soluzione per il problema sottostante, qualunque sia il problema. Il conflitto spesso accade perché nessuno riesce a trovare una soluzione praticabile, quindi risolvere il conflitto dipende dalla creazione di una soluzione. Ciò rende problem solving una competenza richiesta per i datori di lavoro.

La risoluzione dei conflitti è un possibile esito della gestione dei conflitti, ma non l’unico possibile. Ne parleremo però nel prossimo articolo!

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06 Mar 2018

Perchè le Soft Skills sono sempre più importanti?

Perchè le Soft Skills sono sempre più importanti?

Strettamente legate al concetto di Intelligenza Emotiva, le Soft Skills sono abilità sempre più ricercate nei dipendenti di un’azienda. Ma come mai sono così importanti e in cosa si distinguono rispetto alle tradizionali Hard Skills?

Le Hard Skills sono le abilità tecniche e tangibili facilmente dimostrate sia dalle qualifiche del candidato che da specifiche esperienze professionali.

Le Soft Skills o competenze trasversali, invece, sono una serie di capacità meno tangibili e non tecniche che vengono ricercate nei candidati che si presentano ad un colloquio di lavoro. Esse riguardano gli atteggiamenti e le intuizioni. Poiché le competenze trasversali sono meno riconducibili alle qualifiche e più orientate alle caratteristiche personalità dell’individuo, è importante considerare quali sono le soft skills di ognuno e come potrebbero essere dimostrate.

Le soft skills, infatti, fanno la differenza tra candidati adeguati e candidati ideali. Nella maggior parte dei mercati del lavoro competitivi, i criteri di assunzione non si fermano alle capacità tecniche e alle conoscenze specialistiche, ovvero alle caratteristiche di un candidato ideale, ma scendono nel concreto delle capacità pratiche e di intelligenza emotiva degli stessi, che rendono un candidato non solo ideale ma potenzialmente adeguato al ruolo per cui si propone.

Le soft skills non sono importanti solo quando si ha a che fare con i clienti, e dunque nelle relazioni volte ad assicurare un diretto profitto aziendale, ma sono ugualmente necessarie quando si tratta di interagire con i colleghi. Queste, infatti, riguardano il modo in cui si lavora con gli altri (mentre le abilità hard riguardano sé stessi, come individuo).

Un ambiente di lavoro produttivo e salutare dipende in larga misura dalle competenze trasversali. Dopotutto, il luogo di lavoro è uno spazio interpersonale, in cui le relazioni devono essere costruite e promosse, devono essere scambiate prospettive e occasionalmente devono essere risolti i conflitti.

I datori di lavoro attenti ai propri candidati apprezzano le competenze trasversali perché consentono alle persone di funzionare e prosperare nei team e nelle organizzazioni nel loro complesso.

Ma quali sono queste famose competenze soft? Vediamone alcune:

  • Comunicazione:  regolare il tono e lo stile della voce in base al pubblico, comprendere e agire in modo efficiente riguardo le istruzioni e spiegare problemi complessi a colleghi e clienti.
  • Auto motivazione: avere un atteggiamento positivo e l’iniziativa per lavorare bene senza una supervisione continua non solo dimostra affidabilità e impegno, ma significa che è possibile inserirsi in modo efficiente in una struttura organizzativa.
  • Leadership: la leadership può essere pensata come un insieme di varie soft skills, ovvero come un atteggiamento e una prospettiva generale positiva, che include in sé la capacità di comunicare in modo efficace e un’attitudine a motivare sia se stessi che gli altri.
  • Responsabilità: l’auto-consapevolezza implica sapere quando ammettere la responsabilità per eventuali errori commessi e dimostra un sano livello di umiltà e la volontà di imparare e progredire.
  • Lavoro di squadra: come la leadership, un buon lavoro di squadra comporta una combinazione di altre soft skills. Lavorare in squadra verso un obiettivo comune richiede l’intuizione e l’acume interpersonale per sapere quando essere un leader e quando essere un ascoltatore
  • Problem Solving: la risoluzione dei problemi non richiede solo capacità analitiche, creative e critiche, ma una mentalità particolare: coloro che possono affrontare un problema con mente fredda ed equilibrata spesso raggiungono una soluzione in modo più efficiente di quelli che non possono farlo
  • Capacità decisionale: ovvero, la capacità di mettere le cose in prospettiva, di valutare le opzioni, di processare tutte le informazioni rilevanti e non e, soprattutto, di anticipare le conseguenze, buone e cattive di un’azione.
  • Capacità di lavorare sotto pressione e gestire il tempo: la gestione del tempo è strettamente correlata alla capacità di lavorare sotto pressione e i dipendenti che gestiscono bene il loro tempo sono in grado di stabilire in modo efficiente le priorità delle attività.
  • Flessibilità: essa dimostra l’abilità e la volontà di acquisire nuove competenze e un’apertura mentale verso nuovi compiti e nuove sfide
  • Negoziazione e risoluzione dei conflitti: sapere come essere persuasivi e esercitare un’influenza, mentre si cerca sensibilmente una soluzione. Allo stesso modo, la risoluzione dei conflitti dipende dalle forti capacità interpersonali e dalla capacità di stabilire un rapporto con colleghi e clienti.

Psyche at Work è una società specializzata in servizi di consulenza e formazione per le piccole e medie imprese e per i professionisti. Ci avvaliamo della collaborazione di Psicologi del Lavoro e delle Organizzazioni, Formatori, Coach, Tecnici della Prevenzione, Ingegneri e Enti di Accreditamento ECM per l’erogazione di tutti i servizi ed interventi richiesti da aziende e professionisti.

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27 Feb 2018

QUOZIENTE INTELLETTIVO (QI) VS QUOZIENTE EMOTIVO (QE): CHE TIPO DI INTELLIGENZA È PIÙ IMPORTANTE PER UN’AZIENDA?

QUOZIENTE INTELLETTIVO (QI) VS QUOZIENTE EMOTIVO (QE): CHE TIPO DI INTELLIGENZA È PIÙ IMPORTANTE PER UN’AZIENDA?

Il Quoziente Intellettivo (QI) è un punteggio ottenuto da valutazioni standardizzate progettate per testare l’intelligenza. Esso si riferisce direttamente a capacità quali quelle di apprendere e di comprendere e applicare le informazioni ai diversi set di abilità.

Le persone con un QI più elevato possono pensare più velocemente e meglio in maniera astratta e creare connessioni che rendono più semplici le generalizzazioni.

Il QI è ancora riconosciuto come un importante elemento di successo, in particolare quando si tratta di risultati accademici. Le persone con un alto quoziente intellettivo generalmente vanno bene a scuola, spesso guadagnano più denaro e tendono a essere più sani in generale.

Tuttavia, oggi gli esperti riconoscono che esso non è l’unica componente determinante una buona riuscita nella vita. Al contrario, è solo un tassello di un insieme di fattori che includono tra gli altri un altro tipo di misura dell’intelligenza, ovvero quello del Quoziente Emotivo (QE).

Il QE fa capo al concetto di Intelligenza Emotiva. Quest’ultima si definisce come la capacità di conoscere e comprendere le proprie e altrui emozioni, saperle gestire e saperle adoperare coscientemente nella vita di tutti i giorni.

Il concetto di Intelligenza Emotiva negli ultimi tempi ha avuto un forte impatto in diverse aree, incluso il mondo degli affari. Molte aziende ora richiedono di aiutare i propri dipendenti ad allenare l’ intelligenza emotiva e utilizzano i test di QE come parte del processo di assunzione.

Numerose ricerche hanno dimostrato che gli individui con un forte potenziale di leadership tendono anche ad essere più emotivamente intelligenti, suggerendo che un QE elevato sia una qualità importante per i dirigenti e i manager aziendali, nonché per ogni altro componente di un’organizzazione.

Nella sua forma più raffinata, l’intelligenza emotiva fornisce l’empatia necessaria per comprendere a pieno la prospettiva di un’altra persona anche quando questo punto di vista è diverso dal proprio. Il segreto del successo sta nella capacità di saper negoziare e gestire i conflitti in maniera consapevole e oculata.

Allenata da persone di qualsiasi genere, l’intelligenza emotiva ha molto da offrire al posto di lavoro moderno e alle parti interessate in tutte le funzioni. Ad esempio:

  • Aiuta i leader a motivare e ispirare un buon lavoro capendo le motivazioni degli altri
  • Rende le persone più partecipative e disponibili ad esprimere le proprie opinioni in un clima di cooperazione
  • Facilita il leader nel riconoscere e ad agire in base alle opportunità di cui altri potrebbero non essere a conoscenza.
  • Assiste nel riconoscimento e nella risoluzione del conflitto in modo equo e imparziale.
  • Può produrre un morale più alto e aiutare gli altri a sfruttare il loro potenziale professionale.

Come l’intelligenza razionale, l’intelligenza emotiva può essere coltivata attraverso sforzo e studi dedicati. Il primo passo verso lo sviluppo di una maggiore intelligenza emotiva è spesso quello di rafforzare i propri poteri di introspezione. Riconoscere i propri processi mentali, emozioni e pregiudizi può aiutare a prendere decisioni più a tutto tondo.

L’esercizio dell’intelligenza emotiva spesso richiede di agire con fiducia, superare le preoccupazioni per lo stato e porre domande o bypassare le reazioni istintive, nonché l’azione di specialisti che si occupino di sviluppare strategie individualizzate e innovative per stimolarla a seconda delle esigenze.

Psyche at Work è una società specializzata in servizi di consulenza e formazione per le piccole e medie imprese e per i professionisti. Ci avvaliamo della collaborazione di Psicologi del Lavoro e delle Organizzazioni, Formatori, Coach, Tecnici della Prevenzione, Ingegneri e Enti di Accreditamento ECM per l’erogazione di tutti i servizi ed interventi richiesti da aziende e professionisti.

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