24 Giu 2020

LA CULTURA ORGANIZZATIVA

LA CULTURA ORGANIZZATIVA

La cultura è “un insieme di forze potenti, nascoste e spesso inconsce, che determinano il nostro comportamento individuale e collettivo, i modi di percepire, gli schemi di pensiero ed i valori; la cultura organizzativa in particolare è ciò che determina strategie, obiettivi e modi di agire” (Schein, 1999).

Le organizzazioni si possono rappresentare come comunità caratterizzate da credenze e significati condivisi, con usi e costumi distintivi, all’interno delle quali la cultura definisce i sistemi di costruzione della realtà che consentono agli individui di interpretare e comprendere azioni, eventi, situazioni in modo caratteristico e significativo, e che formano il collante che li tiene insieme.

I livelli ai quali agisce la cultura sono diversi e vanno dal più visibile a quello più nascosto e sottinteso:

  • gli artefatti:ciò che si vede e si ascolta all’interno di un’organizzazione (sono le strutture ed i processi visibili, è il come essa appare organizzata e funzionante);
  • i valori dichiarati:le strategie, gli obiettivi, le filosofie dominanti (sono il perché si agisce in un determinato modo, ed a volte appaiono incongruenti con alcuni artefatti visibili);
  • gli assunti taciti condivisi:le convinzioni inconsce e date per scontate, percezioni, pensieri e sentimenti (costituiscono la fonte dei valori e delle azioni dell’organizzazione).

La cultura di un’azienda si manifesta in centinaia di milioni di modi, dal piccolo dettaglio del vocabolario all’organizzazione dell’ ufficio, i nomi dei dipartimenti e tutto il resto. Gli elementi che di solito sono influenzati dalla cultura sono:

  • Vocabolario usato;
  • Colori, logo;
  • Profilo degli impiegati assunti;
  • Organizzazione d’ufficio;
  • Come funziona il team con successo;
  • In che modo il team affronta il fallimento;
  • Eventi che si celebrano;
  • Rapporto tra capi e subordinati;
  • Ora di arrivo e partenza dall’ufficio;
  • Spese e politica di rimborso;

Benefici della cultura organizzativa

Quando una cultura è forte, si avranno i seguenti benefici nel business di un’azienda:

  1. Migliore processo decisionale: un team che vive la cultura aziendale sa come impostare le priorità esattamente e quindi prende decisioni più velocemente e con maggiore qualità.
  2. Riduzione del fatturato: se sei chiaro sulla cultura della tua attività, potrai assumere dipendenti con il profilo giusto e questo ridurrà il tuo fatturato.
  3. Migliori prestazioni e soddisfazione: un team che si sente unito da una cultura unica si sentirà più a proprio agio lavorando e facendo meglio il proprio lavoro.
  4. Risultati aziendali più elevati: se la tua cultura è forte e in linea con la tua attività, ciò influirà positivamente sulla tua redditività a lungo termine.

Come costruire una cultura organizzativa

Il primo passo per costruire una cultura forte è che il team di gestione aziendale capisca la sua importanza e ritenga che questo sia un fattore decisivo nel risultato. Successivamente, elencheremo alcuni elementi che sono tipicamente presenti nelle società di riferimento:

  1. Riconoscimento dell’importanza della cultura
  2. Allineamento della cultura con i risultati
  3. Allineamento della cultura con personalità e storia di fondatori e leader
  4. Ripeti la comunicazione
  5. Costanza di proposito

Gran parte della cultura è legata agli atteggiamenti della leadership della compagnia, quindi è inutile creare un bel piano e una comunicazione ben fatta se le azioni di leadership sono contrarie alla cultura proposta. I leader aziendali sono vitali per la creazione e la comunicazione della loro cultura sul posto di lavoro. Tuttavia, il rapporto tra leadership e cultura non è unilaterale. Mentre i leader sono i principali artefici della cultura, una cultura organizzativa consolidata influenza il tipo di leadership possibile.

I leader devono cercare di mantenere o far evolvere la cultura di un’organizzazione costantemente. Una cultura profondamente radicata e consolidata è in grado di suggerire come le persone dovrebbero comportarsi, il che può aiutare i dipendenti a raggiungere i loro obiettivi. Questa struttura comportamentale, a sua volta, garantisce una maggiore soddisfazione lavorativa quando un dipendente ritiene che un leader lo stia aiutando a raggiungere un obiettivo. Da questa prospettiva, la cultura organizzativa, la leadership e la soddisfazione sul lavoro sono tutte inestricabilmente collegate. 

In conclusione, la cultura è storicamente e socialmente costruita e, sebbene sia un aspetto poco visibile della vita sociale, è profondamente compresa ed interiorizzata dal gruppo a cui appartiene. Ha la proprietà di resistere a lungo nel tempo e subire trasformazioni più lente rispetto ad altre variabili organizzative affini (quali il clima), poiché progredisce altrettanto lentamente, e perciò può ostacolare il cambiamento organizzativo. Essa deve garantire il senso di identità, facilitare l’impegno collettivo e fungere da meccanismo di controllo per tutelare la stabilità dell’organizzazione.

24 Giu 2020

Nativi digitali: la tecnologia fa bene ai bambini?

Nativi digitali: la tecnologia fa bene ai bambini?

Il termine per indicare questa nuova generazione è nativi digitali. Coniato da Marc Prensky agli inizi degli anni 2000 e aveva lo scopo di spingere gli educatori a pensare in modo diverso sull’insegnamento e l’apprendimento.

Ѐ fondamentale il ruolo dei genitori, i quali devono dare il buon esempio. Occorre quindi sensibilizzarli, soprattutto su quali possono essere le conseguenze di un cattivo utilizzo della tecnologia.

Se, utilizzata impropriamente, può provocare seri danni.

Nei primi anni di vita, l’interazione con le persone è fondamentale per un corretto sviluppo dei bambini. Ammaliati da pc, videogames e quant’altro i bambini passano le loro giornate in modo sedentario.

Ne derivano problemi come ad esempio l’obesità. Il tempo dedicato allo sport e all’attività fisica è sempre minore. Stando in casa, da soli, i nostri bimbi a lungo andare avranno difficoltà a relazionarsi con i coetanei.

Le prove della ricerca stanno ora crescendo per confermare che le capacità superiori dei nativi digitali non sono di fatto una realtà.

Per regolare il rapporto tra bambini e tecnologia può bastare il solo cambiamento del modello di istruzione? Certo che no. La scuola e la famiglia devono remare nella stessa direzione se si vuole contrastare un minimo un eventuale sviluppo negativo della società.

Servirebbe a poco se ai bambini venisse insegnato una visione più approfondita della tecnologia e li si lasciasse giocare sempre con gli smartphone mentre si cena con i parenti.

Il rischio è quindi quello di crescere bambini sottoposti a stimoli stressanti per il cervello, estraniati dalla vita reale e fin troppo sedentari, senza neanche acquisire alcuna abilità o conoscenza utile. Forse non sono solo nativi digitali, ma è la società a renderli così legati alla tecnologia.

Viene da chiedersi: come bisogna comportarsi? Non esiste una “dose giornaliera consigliata”. Quella, semmai la possono decidere i genitori. Deve essere accompagnata dall’insegnamento dei valori e di quelle cose importanti che permettano il corretto sviluppo dei bambini.

17 Giu 2020

La scheda di valutazione del personale: cosa è e cosa deve contenere

La scheda di valutazione del personale: cosa è e cosa deve contenere

Per trarre il meglio dal capitale umano presente in azienda impiegando tutte le risorse e le capacità di cui dispone è fondamentale sottoporre l’organizzazione a periodiche attività di valutazione che permettano di individuare con precisione l’apporto di ogni dipendente e massimizzarne il contributo ai fini del raggiungimento degli obiettivi aziendali condivisi.

Lo strumento senza dubbio più efficace in questo senso è costituito dalla valutazione delle prestazioni che permette di concentrarsi sulle attività condotte dai singoli dipendenti ed i risultati ottenuti in quanto collocati in una precisa posizione organizzativa che prevede il raggiungimento di specifici risultati.

La corretta valutazione e gestione delle risorse presenti in azienda diventa quindi uno strumento fondamentale per indirizzare correttamente la gestione aziendale.
Per essere efficace, il sistema di valutazione della performance individuale, deve non solo misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati ma anche favorire nel management, l’orientamento e lo sviluppo di capacità e conoscenze che permettano di valorizzare il capitale umano presente in azienda.

Le fasi principali di costruzione di un processo di raccolta del feedback

La valutazione delle persone è un’attività complessa e delicata che richiede strumenti adeguati. Si tratta di un processo di restituzione di feedback articolato in alcune fasi fondamentali:

  • definizione del modello di valutazione;
  • selezione delle modalità di svolgimento del processo di valutazione;
  • scelta degli strumenti di supporto.

Elementi di base di una buona scheda di valutazione

Una corretta scheda di valutazione, che consente di valutare obiettivi, competenze e prestazioni, di base deve contenere:

  • informazioni sulla persona : generalità, titolo di studio, ruolo e mansioni, periodo di valutazione;
  • obiettivi: è necessario definirli in modo chiaro e specifico per ruolo, in questo modo saranno facilmente raggiungibili;
  • elenco delle competenze da valutare: tecniche e caratteriali;
  • criteri di valutazione e tabelle dei punteggi: come attribuiremo i punteggi? È necessario definirlo prima, scegliendo tra criteri descrittivi, percentuali o punteggi numerici e prevedere uno spazio per le tabelle finali;
  • area feedback: strutturare uno spazio per le osservazioni sia del valutato che del valutatore che possa prevedere anche la possibilità di suggerire interventi formativi in relazione ai risultati ottenuti, che possa fornire informazioni per un successivo intervento formativo ad hoc.

Avere una scheda di valutazione adeguata e specifica per ruolo, significa avere un valido strumento a supporto del business. Fino a qualche anno fa la scheda di valutazione era uno strumento realizzato dagli HR manager attraverso complicatissimi fogli excel che richiedevano molto tempo per l’inserimento dei dati, con un alto tasso di errore.
Oggi fortunatamente, si dispone di strumenti tecnologici in grado di supportare manager e collaboratori durante tutto il processo di valutazione: dalla definizione di obiettivi al monitoraggio di attività e risultati, garantendo, così, un costante allineamento tra performance e obiettivi, lasciando libera l’azienda di spostarsi sempre più verso logiche di feedback continuo.

17 Giu 2020

Le funzioni cognitive della mente umana. Cosa può arrivare a fare?

Le funzioni cognitive della mente umana. Cosa può arrivare a fare?

Un bambino ha fame e si avvia in cucina per prendere da mangiare. Quali processi ha intercorso la sua mente per metterle in atto? Apparentemente, la situazione sarebbe di stimolo fisiologico (fame) e tentativo di rispondere allo stimolo insorto, in un semplice rapporto causa-effetto. In realtà, nel cervello sono successe molte più cose. Questo funzionamento cognitivo come altri è inteso come la “prestazione dei processi mentali di percezione, apprendimento, memoria, comprensione, consapevolezza, ragione, giudizio, intuizione e linguaggio”. Questa lista di facoltà psichiche altro non è che un sunto delle principali funzioni cognitive della mente umana, quell’insieme di capacità che, combinate tra loro, rendono possibile la vita come la conosciamo. La prima elencata è la percezione che non è altro che il processo di conoscenza di oggetti, eventi o relazioni, interne o esterne, attraverso l’interpretazione di stimoli. Include sia l’attività di attribuzione di significato ai segni che arrivano al cervello, sia la vera e propria lettura dell’ambiente tramite i sensi. Insieme ai cinque conosciuti, gioca un ruolo importantissimo la propriocezione, ossia la capacità del corpo di determinare la propria posizione ed estensione nello spazio, senza il supporto di altri canali sensoriali.

Altra componenti le elenchiamo tra un po’ però prima illustriamo un esempio. Prendiamo un bambino di pochi mesi adesso che proverà a raggiungere il dito con le sue manine, senza la minima idea di cosa significhi. L’atto di indicare è solo un esempio di tutti quei segni che diamo per scontati al punto da crederli innati, ma che non sono affatto naturali. Ed essendo convenzioni, dietro a ciascuno di essi c’è un processo di apprendimento che ci ha insegnato a collegare quel gesto a un dato concetto. Oltre naturalmente a uno specifico linguaggio inteso come sistema di codici e correlazioni.

Il riconoscimento di sé è un’altra abilità cognitiva non esclusiva dell’uomo, anzi, neppure in uso nelle fasi iniziali della crescita. Il celebre test dello specchio, in cui il soggetto esaminato viene posto di fronte a uno specchio ed è in grado (o no) di riconoscere un segno colorato applicato sul suo corpo, dà risultati negativi per bambini fino a un anno e mezzo/due anni di vita. Essere capaci di riconoscersi nell’immagine riflessa, e quindi provare a rimuovere il segno, è indicatore di una sviluppata consapevolezza di sé, del proprio aspetto e del senso di spazialità.

Un’ultima particolare funzione cognitiva è quella, studiata solo negli umani per ovvie questioni di comunicazione, di metacognizione, ovvero i pensieri sui propri pensieri. Il caso più evidente è il fenomeno della “punta della lingua”, ovvero quando ci rendiamo conto di sapere un certo nome, ma non riusciamo a ricordarlo distintamente. Eppure la consapevolezza di tale informazione esiste, e ne siamo perfettamente coscienti. O il déjà vu, l’impressione di aver già memoria di una situazione, rientra appieno nella categoria dei fenomeni mentali metacognitivi.

L’elenco delle funzioni andrebbe avanti all’infinito, nella molteplicità degli ambiti in cui le abilità del cervello possono spaziare. La mostruosa complessità di ciò che la mente è in grado di elaborare, insieme alla naturalezza con cui ci riesce, può rendere la più elementare delle azioni un’affascinante dimostrazione di cosa la natura è stata capace di creare.

10 Giu 2020

ENGAGEMENT SUL LAVORO

ENGAGEMENT SUL LAVORO

L’engagement sul lavoro corrisponde ad uno stato emotivo positivo caratterizzato dall’energia, dalla partecipazione e dall’efficacia nel contesto professionale. Engagement (dall’inglese ‘impegno’) è un termine molto utilizzato attualmente dai guru della gestione del personale nelle aziende. Ma oltre alla sua utilità come strategia per aumentare la competitività delle imprese, l’engagement sul lavoro fornisce numerosi i benefici.

Come riconoscere l’engagement sul lavoro

Le persone che manifestano engagement sul lavoro sono partecipi ed emotivamente molto coinvolte. Non significa che non abbiano una vita sociale al di fuori dell’ufficio, ma che sfruttano al massimo le ore durante le quali si trovano sul luogo di lavoro. In altre parole, sono interessate ad approfittare di tutte le opportunità che permettano loro di creare valore per la loro impresa. Questi lavoratori non si lamentano della loro azienda e non ne parlano male con nessuno. Al contrario, sono orgogliosi di avere un vincolo professionale con questa realtà ed è questo ciò che comunicano alla loro cerchia più stretta. Infatti, esprimono sentimenti positivi verso la loro azienda non in modo forzato in quanto si trovano davvero bene sul posto di lavoro e/o con i colleghi. Si mostrano anche interessati a conoscere e prendere parte alle iniziative e ai nuovi progetti proposti dall’azienda. Sono così coinvolti nelle loro attività che si impegnano al massimo ed inoltre per loro non è un problema fare straordinari non remunerati se questi servono a risolvere problemi relativi alla loro azienda.

Non è dipendenza dal lavoro

Per tutte le caratteristiche descritte precedentemente, si potrebbe dedurre (erroneamente) che si tratti di persone dipendenti dal lavoro. Ma non è assolutamente la stessa cosa: chi dipende dal lavoro si sente impacciato quando si trova al di fuori dell’ambito professionaleInoltre, prova nervosismo, ansia e agitazione costanti. Le persone con engagement sul lavoro sperimentano uno stato emotivo completamente diverso da quello dei dipendenti dal lavoro. Si mostrano positive, motivate, energiche, appagate e felici non solo sul piano professionale, ma anche su quello personale. Nella maggior parte dei casi, inoltre, godono di buona salute, bassi livelli di stress e un’autostima alta. Confidano nei loro sforzi, nelle loro risorse e nel loro spirito di sacrificio. Si mostrano responsabili e autonomi a livello di problem solving.

Cosa apportano all’impresa

Le persone con engagement sul lavoro eseguono in modo molto efficace i loro compiti. Sono molto diligenti e, talvolta, fanno persino più di quanto viene chiesto loro. Con ciò contribuiscono a ottimizzare il loro rendimento professionale e generano un salutare stato organizzativo. Talvolta contagiano il loro modo di sentirsi e di vivere l’esperienza professionale persino al resto della squadra riuscendo così a estendere il loro engagement individuale e a renderlo collettivo.

Come generare engagement sul lavoro?

In molte occasioni sono gli stessi lavoratori che favoriscono la diffusione dell’engagement all’interno dell’impresa. Così, generano negli altri questa voglia di impegnarsi nei loro compiti, di interiorizzare i valori dell’azienda e di sfruttare le opportunità che si presentano per sviluppare la loro vocazione professionale. Tuttavia, è nelle fasi di selezione dei candidati che bisogna gettare le basi per questa filosofia imprenditoriale. Infatti, In sede di colloquio i futuri impiegati devono mostrare una predisposizione a parlare del loro incipiente impegno. In altre parole, devono sentirsi in qualche modo identificati con quello che offre loro l’azienda e fornire i motivi di questa identificazione. Allo stesso modo, il reclutatore deve rendere noti i valori dell’azienda per facilitare una familiarizzazione con essi da parte dei potenziali lavoratori. Si tratta, dunque, di un lavoro bidirezionale. Il candidato deve essere motivato a diventare parte dell’impresa e il reclutatore deve mostrare il cammino. In linea generale, vi sono tre fattori che facilitano l’engagement sul lavoro: realizzazione personale, ambiente positivo fra i colleghi e un buon salario. L’impresa che riesce a mantenere alta la percezione di questi tre aspetti avrà maggiori possibilità di migliorare con efficacia il rendimento dei propri lavoratori. A tale scopo, è possibile realizzare programmi di formazione continua. Con questi, i dipendenti percepiscono di apprendere di continuo e che le possibilità di avanzamento sono reali. È altrettanto consigliabile che possano discutere, apertamente e con sicurezza, dei problemi o delle sfide che si presentano. In altre parole, un datore di lavoro che si preoccupa per i suoi dipendenti non apporterà benefici solo al suo dipartimento, ma a tutta l’azienda.

10 Giu 2020

Il desiderio di cambiare

Il desiderio di cambiare

Voglio cambiare la mia vita: come faccio?

Succede a tutti. Non vogliamo più stare in una situazione che prima abbiamo tanto desiderato e voluto e anche costruito sia in famiglia che a lavoro ma a maggior ragione anche in amore.  Avvertiamo quel malessere interiore che tende a confondersi come ansia, sofferenza e voglia di cambiare vita

All’inizio si cerca di resistere ma poi più si nega il tutto peggio diventa sopportare il tutto e non c’è più niente da fare. Vogliamo cambiare anzi forse lo stiamo già facendo. Abbiamo sviluppato nuove esigenze e un nuovo modo di essere. Ci sentiamo quasi avviliti, non siamo noi a volerlo, ma è proprio da noi che parte questa spinta. Ci sentiamo strattonati, perché una parte di noi è ancora molto legata a ciò che sta vivendo, mentre un’altra chiede, con altrettanta forza, una trasformazione, un’altra vita.

La voglia di cambiamento è presente a tutte le età.

Quando giri a vuoto i tuoi luoghi comuni,i pregiudizi, la tua visione della vita finiscono sullo sfondo e in quel momento ti senti perduto. Hai bisogno di girare a vuoto non perché ti senti fuori luogo o strano ma perché la tua mente è troppo ordinata :  e allora un entità presente dentro di te che è nascosta e sopita per tanto tempo ti vuole distrarre dalle illusioni in cui ti sei calato, vuole restituirti la tua essenzialità per riportarti a casa.

Niente sensi di colpa, perché il cambiamento è necessario

La prima cosa è riconoscere ciò che sta avvenendo in se stessi. Queste emozioni sono il prodotto della nostra mente profonda, dell’anima. Per legittimarle, però, bisogna fare i conti con il senso di colpa, sempre in agguato quando si tratta di fare scelte dettate da necessità interiori, invisibili a occhi esterni.

Cambiare equivale, a una sorta di tradimento: si tradiscono il passato, le aspettative e l’identità che abbiamo proposto fino a qui. Dobbiamo ricordarci che cambiare non è una colpa: anzi, la colpa è fingere di essere quel che non si è più. Perciò, invece che sulla nostra inesistente colpevolezza, orientiamo la mente su quel che ci chiede davvero questa spinta.

Serve il silenzio

È necessario in primo luogo un po’ di silenzio. Cerchiamo di capire se si tratta solo di una reazione momentanea e settoriale o di un effettivo bisogno di un’altra vita. Osserviamoci ogni tanto nella giornata, guardiamo il disorientamento nel momento in cui arriva senza commento, perché tutti i sintomi che arrivano sono energia che prende contatto con noi. C’è qualcosa di sconosciuto in noi che vuole vivere e che non può essere definito e compreso dentro il nostro piccolo io, anzi: occorre che l’io si faccia da parte perché la nostra natura si riveli.

No alle decisioni forzate

Ecco la parte più importante: calibrare il cambiamento, qualunque esso sia, sulle nostre vere esigenze. Che non sono – è fondamentale ricordarlo – solo quelle espresse dalla voglia di un’altra vita ma anche quelle relative al contesto affettivo e alle abitudini che fino ad oggi abbiamo tenuto, le quali parlano ancora di noi e che spesso vorremmo mantenere anche dopo il “passaggio epocale”. Qui è necessario restare lucidi e non farsi tenere sotto scacco sia dall’intransigenza della pulsione, che chiede “uno strappo” con tutto il passato, sia dai sentimentalismi che danno troppo valore ad alcune parti della nostra vita che non l’hanno più. Serve “saggezza”. Dove trovarla? Non arriva aggiungendo pensieri, ma togliendoli. Le scelte migliori della nostra vita, le più sagge, sono sempre quelle che, a un certo punto, sono sbocciate da sole, senza che noi ci imponessimo di fare una cosa piuttosto che l’altra.

Quando è il momento, la cosa giusta da fare è facile da riconoscere e da mettere in pratica. Mettiti in attesa, lascia venire le emozioni, tienile con te giorno dopo giorno, osservale senza prendere decisioni. Al momento giusto decideranno loro.

Quando ci sentiamo insoddisfatti è poi importante non perdere tempo a fantasticare un domani migliore. La nostra interiorità invece ha bisogno di cose concrete e facilmente realizzabili.

03 Giu 2020

IL FENOMENO DEL MOBBING

IL FENOMENO DEL MOBBING

Con la parola Mobbing si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.

I danni per la vittima

Il Mobbing ha effetti devastanti sulla persona colpita: essa viene danneggiata psicologicamente e fisicamente, menomata della sua capacità lavorativa e della fiducia in se stessa. I soggetti mobbizzati mostrano alterazioni dell’equilibrio socio-emotivo (ansia, depressione, ossessioni, attacchi di panico, anestesia emozionale), alterazioni dell’equilibrio psicofisiologico (cefalea, vertigini, disturbi gastrointestinali, disturbi del sonno e della sessualità) e disturbi a livello comportamentale (modificazioni del comportamento alimentare, reazioni autoaggressive ed eteroaggressive, passività). C’è un altro campo in cui il Mobbing ha ripercussioni gravissime: la vita privata e famigliare della vittima di Mobbing. Si tratta di quel fenomeno  denominato DoppioMobbing, una situazione che si riscontra frequentemente in Italia, ma di cui non si trova traccia nella ricerca europea sul Mobbing: è infatti legato al ruolo particolare che la famiglia ricopre nella società italiana. In Italia, il legame tra individuo e famiglia è molto forte; la famiglia partecipa attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, della loro realizzazione e dei loro problemi: virtualmente non scompare mai dall’esistenza dei suoi componenti: si fa da parte, forse, ma è sempre presente a fornire consigli, aiuti, protezione. Conseguentemente, è possibile ipotizzare che, in linea generale, la vittima di una situazione di Mobbing tenda a cercare aiuto e consiglio a casa. Qui sfogherà la rabbia, l’insoddisfazione o la depressione che ha accumulato durante una giornata lavorativa passata sotto i colpi del mobber. Di conseguenza, la famiglia assorbirà tutta questa negatività, cercando di dispensare al suo componente in crisi quanto più ha bisogno in termini di aiuto, protezione, comprensione, rifugio ai propri problemi. La crisi porterà necessariamente ad uno squilibrio dei rapporti, ma la famiglia ha molte più risorse e capacità di ripresa di un singolo, e riuscirà a tamponare la falla.

Le conseguenze per l’azienda e per la società

Il Mobbing provoca un sensibile calo di produttività all’interno dell’azienda in cui si verifica. Innanzitutto la vittima non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza: la sua produttività si riduce notevolmente, tanto che si possono raggiungere cali di prestazione dell’80%. L’azienda subisce poi direttamente i costi di questo fenomeno: essa infatti continua a sostenere economicamente il 100% della paga del mobbizzato e del mobber. Vanno poi considerate le lunghe e continuate assenze per malattia del mobbizzato, nonché la sua sostituzione che l’azienda deve sobbarcarsi per portare a termine comunque il suo lavoro. C’è poi un altro tipo di conseguenza indiretta del Mobbing che un’azienda subisce: il mobber stesso provoca gravi danni, compiendo spesso sabotaggi, che danneggiano l’azienda prima ancora della vittima, o inducendo la vittima a compiere degli errori, anche questi costosi per la ditta; infine dedicando tra il 5% ed il 10% del suo tempo lavorativo alla progettazione ed esecuzione delle azioni mobbizzanti. Infine, se il Mobbing è lasciato agire indisturbato, esso può giungere alla sua ultima fase, che vede la vittima costretta ad uscire dal mondo del lavoro, causando ancora gravi costi alla ditta, che deve trovare nuovo personale e predisporre nuova formazione. Nel caso in cui il lavoratore mobbizzato abbia subito un danno quantificato da apposite perizie, egli può citare in giudizio l’azienda stessa, che in caso di perdita della causa può essere costretta a risarcirlo con somme di denaro anche ingenti. I costi del Mobbing si ripercuotono poi sull’intera società: una vittima di Mobbing è di solito pre-pensionata o invalidata dal lavoro, e secondo stime statistiche, un lavoratore costretto alla pensione a soli 40 anni costa già 620.000 Euro in più rispetto ad uno pensionato all’età prevista.

Le soluzioni al Mobbing: percorsi formativi

Formazione a tutti i livelli è la parola chiave per risolvere o limitare i problema del Mobbing: essa vuol dire innanzitutto corretta informazione, quindi prevenzione e strategie risolutive. Si può operare a vari livelli: a livello aziendale, con specifiche modalità formative di gestione del conflitto e del Mobbing; a livello professionale, rivolgendosi a quei professionisti (medici, psicologi, avvocati, etc) e a quegli operatori del sociale che sono i primi punti di riferimento a cui si rivolge una persona con problemi sul lavoro e che quindi devono essere in possesso delle conoscenze e delle capacità per ascoltare, consigliare, indirizzare; infine c’è la formazione individuale, ossia rivolta alle singole persone, mobbizzate o meno, e mirata a rinsaldare i principi dell’autostima e ad impartire le tecniche dell’Autodifesa Verbale, dell’Egoismo sano e della Pigrizia positiva.

Il corso di Autodifesa Verbale ha lo scopo di insegnare praticamente e con simulazioni apposite le regole e le strategie fondamentali per difendersi dagli attacchi verbali (insulti, offese, risposte brusche, battute e scherzi di dubbio gusto, rimproveri e critiche infondate) che possono (o no) fare parte del Mobbing, in modo da controbattere in maniera adeguata senza scatenare un fatale inasprimento del conflitto. L’Egoismo Sano invece propone una nuova filosofia di vita, che si basa sul concetto secondo cui essere egoisti non vuol dire necessariamente recar danno agli altri, mentre non essere egoisti il più delle volte significa fare davvero del male a noi stessi e che incoraggia quindi a riconquistare se stessi e la padronanza dei propri pensieri e atteggiamenti, svincolandosi dalle limitazioni e dalle influenze dell´ambiente circostante. Infine, Il corso di Pigrizia Positiva, insegna, in modo costruttivamente provocatorio, a diventare “pigroni ad hoc”, ad essere cioè deliberatamente e metodicamente pigri per difenderci dallo stress e goderci la vita: risparmiare la nostra energia vitale nelle piccole e grandi cose di ogni giorno e riconoscere gli sprechi e le trappole della vita moderna sono ottime strategie per prolungare non solo la nostra vita ma anche la nostra salute.

03 Giu 2020

Autostima : come si struttura nel corso del tempo

Autostima : come si struttura nel corso del tempo

L’autostima è uno dei pilastri fondamentali su cui costruire il proprio benessere emotivo: una percezione positiva di sé aiuta a porsi in atteggiamento costruttivo nei vari ambiti di vita (sfera lavorativa, relazioni sociali e affettività). E’ utile innanzi tutto rendersi conto di quale sia il proprio dialogo interno nei momenti di stress e frustrazione.

Qualcuno si troverà ad attribuire il proprio insuccesso a se stesso mentre altre persone tenderanno ad accusare la vita, gli altri o il destino per quanto accaduto. Ci troveremo a fare i conti con un diverso grado di senso di colpa o impotenza, mortificazione, tristezza e rabbia. Tale modalità dipende in parte dal temperamento di ognuno e in parte dall’ambiente familiare e dai condizionamenti subiti negli anni dello sviluppo della personalità.

Qualunque sia la genesi della mancanza di autostima, è importante consapevolizzare i propri meccanismi interiori per poterli poi padroneggiare e coltivare la fiducia in sé seguendo una serie di utili strategie, per poter progressivamente divenire amici di se stessi ed abbandonare il severo sguardo autocritico.

E’ importante porsi degli obiettivi raggiungibili: sia sul lavoro che nelle relazioni molto spesso la stima di sé viene danneggiata dall’aver scelto un obiettivo “ideale” e poco realistico e di avere la percezione di partire già sconfitti. Prima di cominciare a “scalare una montagna troppo alta” è importante preparare tutti gli strumenti che ci serviranno per la scalata e soprattutto dividere il percorso in varie tappe.

E’ funzionale immaginare dei sotto-obiettivi, raggiungibili in breve tempo e verificabili, che diano il polso della situazione e fungano da continua verifica della direzione in cui si sta procedendo. Spesso accade infatti che, per l’ansia di raggiungere un risultato in tempi brevi, si rischi di sentire un sovraccarico tale che ci impedisce persino di partire.

Un’altra utile riflessione riguarda la necessità di rendersi autonomi dalle aspettative degli altri: sforzarsi di raggiungere un risultato per ottenere il riconoscimento altrui è un’arma a doppio taglio.

Se da un lato inizialmente ci si può sentire sostenuti e motivati dallo sguardo degli altri, in un secondo momento ci si può rendere conto di come la motivazione esterna sia molto più fragile di quella interna, che nasce dal profondo e ci aiuta a non demordere anche quando le circostanze sono sfavorevoli. Prima di intraprendere un cammino domandiamoci dunque se siamo davvero noi stessi a desiderarlo o se siamo condizionati dall’esterno, e in che misura. In questo modo saremo maggiormente in grado di essere davvero felici per i nostri successi, indipendentemente dal rimando esterno che ci verrà dato. Un altro possibile accorgimento per incrementare la visione positiva di sé è quella di coltivare relazioni costruttive: chi non ha stima di sé spesso tende a ricercare la vicinanza di persone che gli rimandino quell’immagine negativa di cui sono vittime, perché è l’unica che riconoscono. Ciò accade per un meccanismo inconscio molto potente chiamato “coazione a ripetere”, in cui la persona si pone attivamente in una situazione per lei penosa ripetendo vecchie esperienze senza riuscire a risalire al prototipo. Nel momento in cui ci rendiamo conto di reiterare modalità disfunzionali possiamo apprendere nuove strategie per modificare il comportamento e dunque il corrispondente vissuto emotivo. Avvicinandoci a persone rispettose ed amorevoli sentiamo crescere la stima in noi stessi e cominciamo ad accorgerci di essere degni di fiducia e rispetto, aspetti che prima non conoscevamo. In tale contesto favorevole si può cominciare anche ad accettare i complimenti e riconoscere le buone qualità che gli altri ci rimandano, a cui spesso stentiamo a credere e viviamo con imbarazzo, perché non siamo abituati a questa immagine buona che ci viene rimandata. Cominciando a sperimentarsi in contesti favorevoli, ci si accorgerà di qualità e caratteristiche personali che precedentemente risultava difficile vedere.

Possiamo inoltre modificare gradualmente il dialogo interno immaginando propositi o frasi di segno positivo che ci caratterizzano e che non siano troppo generici, provando a ripeterle mentalmente per poterle sostituire ai pensieri svalutanti che ci affollano la mente nei momenti di tensione, stress o frustrazione. In questo modo si può divenire maggiormente consapevoli dei propri approcci disfunzionali ai problemi.

E’ utile anche creare delle risorse interne che fungano da barriera protettiva da possibili fallimenti o commenti altrui (come ad esempio il senso dell’umorismo, la capacità di relativizzare, il saper dire di no, l’esplicitare la propria idea anche se in dissenso etc…).