11 Nov 2020

SELEZIONE DEL PERSONALE: MIGLIOR CANDIDATO O MIGLIOR INTERVISTATO?

SELEZIONE DEL PERSONALE: MIGLIOR CANDIDATO O MIGLIOR INTERVISTATO?

Come tutti i datori di lavoro imparano rapidamente, c’è un’enorme differenza tra un lavoratore che si adatta correttamente al proprio lavoro e alla propria organizzazione e uno che non lo fa. Ma come trovare e abbinare le persone giuste ai lavori giusti? Includendo, nella strategia di gestione delle risorse umane, un programma di reclutamento e selezione del personale ben strutturato.

Il reclutamento è il processo di identificazione e attrazione di persone in cerca di lavoro e creazione di un insieme di candidati qualificati. Di solito comporta lo sviluppo di una strategia di reclutamento, la ricerca di candidati, lo screening delle domande e la gestione e la valutazione del processo.

Tuttavia, il processo di reclutamento non sempre colpisce nel segno. Le aziende potrebbero non attirare un numero sufficiente di candidati qualificati. Possono sottovalutare o sopravvalutare l’organizzazione. Ciò può far sì che un’azienda si accontenti di un dipendente che non è adatto all’organizzazione.

MIGLIOR CANDIDATO O MIGLIOR INTERVISTATO?

Durante lo screening e l’intervista, i datori di lavoro possono essere distratti da diversi tipi di pregiudizi e dai propri gusti e preferenze personali. È anche facile cadere nella trappola di cercare di assumere lo stesso tipo di persona che ha ricoperto il lavoro per l’ultima volta, se ha avuto successo, o il contrario se non lo ha avuto.

Alcuni candidati hanno l’abilità di andare bene nelle interviste di lavoro, di essere attraenti e di far sentire a proprio agio l’intervistatore.

Per questa ragione è importante tenere in considerazione che:

  • Bisogna aver chiaro ciò di cui si ha bisogno dalla persona che si vuole assumere per quel ruolo, in termini sia di tratti comportamentali che di abilità. (Questo aiuterà a filtrare ciò che non è importante).
  • Identificare il modo migliore per i candidati di dimostrare se hanno quello che si sta cercando.

Quale è quindi il modo migliore per determinare se i candidati hanno i tratti comportamentali e le abilità necessarie per il ruolo?

Dai loro un problema da risolvere. Rendilo parte del processo di candidatura. Descrivi un problema che potrebbero incontrare nel loro ruolo e chiedi loro di rispondere spiegando come lo risolverebbero. Si potrà verificare così, sia la loro abilità (i passaggi che avrebbero intrapreso nel risolvere il problema), sia i loro comportamenti (come si avvicinerebbero ad ogni passaggio).

Dai loro un progetto da completare. Chiamata da Ron Friedman job audition, viene svolta prima di qualsiasi colloquio formale, dando ai candidati selezionati il compito di completare un’attività che svolgerebbero come parte del loro lavoro. Questa tecnica può mostrare di cosa sono capaci i candidati selezionati prima che i giudizi (potenzialmente errati) possano essere emergere al colloquio.

Portali fuori dalla “zona colloquio”. Scegliendo un’attività che sia il linea con la cultura dell’azienda si potrà vedere come il candidato si adatta alla situazione e come interagirà con gli altri.

Ascoltali mentre parlano di qualcosa che è importante per loro.

Ricevi feedback dalle persone che incontrano fuori dal colloquio. Chiedendo ad un dipendente di far fare al candidato un tour dell’ufficio, facendo accompagnare il candidato nell’ufficio dei colloqui, sono modi per far interagire i dipendenti con il candidato. In questo modo potranno dare feedback sul candidato.

04 Nov 2020

ELABORAZIONE DEL LUTTO

ELABORAZIONE DEL LUTTO

È possibile definire il lutto come quel processo fisiologico che segue la perdita di una persona cara. Questo processo psicologico doloroso può mettersi in moto non solo dopo la morte ma anche nel caso di una separazione, di altri avvenimenti legati all’abbandono o alla fine di una relazione importante. Per quanto ogni lutto sia un’esperienza differente, ormai è noto come siano rilevabili reazioni ricorrenti. Queste riguardano il susseguirsi di diversi stati mentali, che si possono alternare o mescolare. Le prime descrizioni della sintomatologia post lutto vennero proposte da Lindermann nel 1944 dopo un incendio al Night Club Coconut Grove di Boston, esse comprendevano:

  1. Disturbi somatici di vario tipo

  2. Preoccupazioni riguardanti l’immagine del defunto

  3. Sensi di colpa nei confronti della persona scomparsa o delle circostanze della morte

  4. Reazioni ostili

  5. Perdita della capacità funzionale preesistente

  6. Tendenza ad assumere tratti comportamentali tipici del defunto

Lindemann, sulla base della sintomatologia, ha identificato e descritto anche tre diversi stadi del lutto. Il primo, di shock, include l’impossibilità di accettare la perdita, fino alla negazione della stessa. Il secondo, di cordoglio acuto, include la consapevolezza della perdita. E’ associato a manifestazioni quali il disinteresse per le attività quotidiane, il pianto, il senso di solitudine, l’insonnia e la perdita di appetito. L’ultimo stadio, di risoluzione, implica invece una graduale ripresa delle attività quotidiane ed era associato ad una minore frequenza di pensieri relativi al defunto.

COSA S’INTENDE PER ELEBORAZIONE DEL LUTTO?

Con elaborazione del lutto s’intende tutto il processo di rielaborazione legato alla perdita di una persona cara. Questa fase può essere molto dolorosa ed è solitamente caratterizzata da sentimenti quali tristezza, rabbia, colpa o senso di vuoto. Si tratta comunque di un processo fondamentale per evitare che questa situazione possa trasformarsi in lutto patologico e creare un trauma che si ripresenterà nel futuro, causando la comparsa di diversi disturbi. Facendo riferimento alla teoria a cinque fasi di Kübler Ross (1990; 2002) – possiamo definire l’elaborazione del lutto come un processo che si sviluppa attraverso questi momenti:

  • Fase della negazione o del rifiuto: si nega l’accaduto a causa dello stato di shock dovuto alla perdita;

  • Rabbia: in questa fase si tende a dare la colpa a qualcuno, ad esempio agli altri familiari, perché si tende a pensare che la situazione sia ingiusta;

  • Fase della contrattazione o del patteggiamento: costituita dalla rivalutazione delle proprie risorse e da un riacquisto dell’esame di realtà;

  • Fase della depressione: costituita dalla consapevolezza che non si è gli unici ad avere quel dolore e che la morte è inevitabile;

  • Fase di accettazione: l’ultima fase dell’elaborazione del lutto consiste nell’accettare la perdita e si è pronti a riprendere in mano la propria vita.

LE DIVERSE REAZIONI AL LUTTO

Per Onofri e La Rosa (2015) le normali reazioni al lutto possono essere suddivise in 4 categorie:
1) SENTIMENTI: tristezza, collera, ansia, autorimprovero, colpa, solitudine, shock, struggimento

2)SENZAZIONI FISICHE: mancanza di energia, debolezza muscolare, costrizione toracica e laringea, impersensibilità al rumore ecc..

3)COGNIZIONE: incredulità, preoccupazione, rimanere attaccati al ricordo del defunto, allucinazioni ecc..

4)COMPORTAMENTI: disturbi del sonno, disturbi dell’appetito, distrazione, isolamento sociale, evitare i ricordi ecc..

COME E CHI PUOI AIUTARE UNA PERSONA A ELABORARE IL LUTTO?


Se ci troviamo vicino a una persona che ha subito un lutto, possiamo aiutarla con semplici e piccoli accorgimenti. Innanzitutto, è necessario ascoltare tutto ciò che ha da dire, senza giudicare i suoi sentimenti. Non è necessario dare consigli o dire qualcosa in particolare, l’importante è permettere all’altra persona di esprimere ciò che sente. Rispetta i tempi del lutto e cerca di essere sempre a disposizione della persona che sta elaborando il lutto.

Si parla, tuttavia, di lutto complicato quando il processo che segue la perdita si arresta e non giunge alla fase di accettazione. Così, le normali e intense reazioni che ci si aspettano nel processo fisiologico del lutto permangono e provocano ripercussioni sul funzionamento generale della persona. La presa in carico psicoterapeutica è importante nelle situazioni in cui il lutto diventi complicato e patologico o si associ a quadri psicopatologici.

04 Nov 2020

LE RELAZIONI INTERPERSONALI SUL POSTO DI LAVORO

LE RELAZIONI INTERPERSONALI SUL POSTO DI LAVORO

Prima delle idee, dei progetti e di budget, sono le persone a caratterizzare il vero valore di un’azienda. Il capitale umano è la forza su cui bisogna far leva per garantire il successo di un’azienda. E all’interno delle aziende, così come nella vita privata, tutto è relazionale.

Il posto di lavoro ha un ruolo centrale per una gran parte di persone. Spendiamo buona parte del nostro tempo a lavoro ed è quindi importante che tutti gli individui nell’organizzazione si sentano connessi e supportati dai colleghi. Riuscire a creare buoni rapporti sul lavoro, corrisponde alla possibilità di sentirsi apprezzati, valorizzati e questo aumenta il nostro grado sicurezza, ci gratifica aumentando la nostra autostima, potenziando il senso di sicurezza verso le nostre capacità e verso gli altri.

Non sempre però i rapporti con i colleghi posso essere facili. Possono essere caratterizzati da discussioni e polemiche che rischiano di trasformare la dinamica relazionale in qualcosa di frustrante e difficile da tollerare, avendo così ripercussioni sul benessere psicofisico e sul piano personale e professionale.

La qualità dei rapporti lavorativi può avere importanti effetti sulla lealtà, sulla soddisfazione lavorativa, sulla produttività e su altri aspetti lavorativi. Quando i dipendenti formano salde relazioni sul luogo di lavoro si può notare un atteggiamento più attento nei confronti dei colleghi, maggiore collaborazione e cameratismo. In questo modo i dipendenti saranno più propensi a sentire un maggiore senso di lealtà verso la loro azienda e dare più valore al lavoro quotidiano.

COME DEFINIRE UNA BUONA RELAZIONE

Una buona relazione lavorativa richiede fiducia, rispetto, autocoscienza, inclusione e comunicazioni aperte.

  • Fiducia: quando si ha fiducia in un membro del proprio team si può essere aperti e onesti riguardo le proprie opinioni, pensieri e azioni.
  • Rispetto: team che lavorano insieme mantenendo rispetto reciproco danno valore agli input di ciascun membro e trovano soluzioni basate su intuizioni, saggezza e creatività collettiva.
  • Autocoscienza: significa prendersi la responsabilità delle proprie parole e delle proprie azioni, e non lasciare che le proprie emozioni possano incidere negativamente sulle persone che ci sono intorno.
  • Inclusione: non accettare semplicemente persone e opinioni diverse, ma anche accoglierle. Ad esempio, quando un collega presenta opinioni diverse dalle vostre, è importante tener presente la loro prospettiva nel prendere la decisione.
  • Comunicazioni aperte: buone relazioni dipendono da una aperta e onesta comunicazioni. Per e-mail, in videochiamata, faccia a faccia, qualsiasi sia la condizione di comunicazione, più efficacemente si comunica con chi è intorno meglio ci si connetterà.

COME COSTRUIRE BUONI RAPPORTI DI LAVORO

Comprendere i propri punti di forza e di debolezza. Prima di concentrarsi sulla creazione di nuove relazioni sul posto di lavoro, può essere utile comprendere i propri punti di forza e di debolezza. Lo sviluppo di abilità relazionali come la comunicazione, l’ascolto attivo e la risoluzione dei conflitti può aiutare quando si sviluppano relazioni sul posto di lavoro.

Fare domande e ascoltare. Fare domande e ascoltare attivamente non solo permetterà di conoscere meglio i colleghi, ma sono anche un importante processo di costruzione delle relazioni. Facendo domande e incoraggiando una conversazione aperta si potrà essere associati ad un buon comunicatore.

Offrire assistenza. Aiutare un collega nel momento di difficoltà è un ottimo modo per costruire una relazione. La fiducia è una parte importante della costruzione di relazioni e aiutando i colleghi quando ne hanno bisogno dimostra questa qualità.

Sapere quando chiedere assistenza. Chiedere assistenza può avviare una relazione lavorativa. Chiedendo ai colleghi di partecipare a progetti o attività, si ha maggiori opportunità di conoscerli.

Apprezzare il ruolo di ogni dipendente. L’apprezzamento è un potente costruttore di relazioni. A volte potrebbe essere difficile capire le sfide di un altro dipartimento e le frustrazioni possono portare a sentimenti negativi. Piuttosto che saltare a conclusioni o dare la colpa, può essere utile trovare soluzioni a un problema.

Mantenere gli impegni. Mantenendo gli impegni presi si potrà sviluppare ulteriormente la fiducia. È più probabile che si sviluppino relazioni più forti quando i colleghi o i membri del team sanno che possono fare affidamento su di voi.

Essere presenti sul posto di lavoro.

27 Ott 2020

DIVERSITY MANAGEMENT: VALORIZZARE LE DIVERSITÁ IN AZIENDA

DIVERSITY MANAGEMENT: VALORIZZARE LE DIVERSITÁ IN AZIENDA

Ogni gruppo sociale è caratterizzato da diversità che possono concernere lo status sociale, l’appartenenza etnica, l’orientamento sessuale e/o religioso e l’identità di genere dei membri che ne fanno parte.

Fino a non molto tempo fa vigeva nel modo delle aziende una prospettiva che tendeva ad annullare le differenze e le diversità, secondo un modello in cui il lavoratore tipo era identificato con una persona sana, generalmente dalla pelle bianca e soprattutto di sesso maschile. Nell’ultimo periodo sono stati fatti numerosi passi in avanti in questo senso. Da almeno tre decenni a questa parte le risorse umane si occupano anche di Diversity Management, per trasformare le differenze da ostacolo a valore.

Il Diversity Management è un approccio manageriale che abilita il potenziamento di un’organizzazione attraverso la valorizzazione delle differenze. È un approccio finalizzato alla creazione di un ambiente di lavoro inclusivo, capace di favorire l’espressione del potenziale individuale per raggiungere scopi e obiettivi organizzativi. Il Diversity Management chiede agli addetti HR di riconoscere e valorizzare le principali diversity come ad esempio:

  • cultural diversity
  • gender diversity
  • ageing diversity
  • disability diversity

Oltre ad essere importanti da un punto di vista etico, l’integrazione e il rispetto delle diversità costituiscono punti di forza anche a livello di Employer Branding – in quanto migliorano l’immagine dell’azienda all’esterno – e di business, poiché in un ambiente in cui tutti si sentono a proprio agio e possono esprimere la propria diversità, le persone sono sottoposte a minor stress e lavorano meglio.

Secondo Sandro Castaldo, docente di Marketing all’Università Bocconi di Milano, «le aziende percepite come inclusive registrano un amento dei ricavi del 16,7 per cento». Grandi e piccole compagnie sembrano aver iniziato a comprendere i vantaggi di una realtà aziendale orientata al diversity management e all’inclusione, iniziando a muoversi attivamente in questa direzione.

VANTAGGI DEL DIVERSITY MANAGEMENT

Svariati sono i vantaggi per un’azienda che adotta una politica che valorizza le differenze.

  • Il Diversity management può migliorare l’immagine aziendale, migliorando la percezione dell’azienda da parte dei clienti, stakeholder e potenziali collaboratori.
  • Si riscontra una maggiore motivazione ed efficienza: se si riconoscono e se si rispettano le attese dei soggetti valorizzando le loro potenzialità il lavoratore sarà più motivato a dare il meglio.
  • La presenza di risorse umane appartenenti a contesti differenti arricchisce l’organizzazione di contributi nuovi e originali incrementando la creatività e l’innovazione.
  • Migliora la flessibilità dell’impresa nell’affrontare i cambiamenti e inoltre aiuta a migliorare la capacità di problem solving apportando analisi critiche e soluzioni basate su prospettive anche insolite.
  • Vi è anche una correlazione positiva tra l’adozione di politiche sulla diversità e ricavi aziendali.

 

AZIONI CONCRETE IN TERMINI DI DIVERSITA’ E INCLUSIONE

Come fanno quindi concretamente il Diversity Management le aziende? Tra le aziende italiane che adottano queste politiche troviamo IBM Italia che gestisce vari progetti per includere e creare condizioni lavorative idonee a persone con disabilità o malattie croniche e degenerative (teamMWA mobile wireless accessibility).

Intesa Sanpaolo lavora per una valorizzazione del talento e un incremento della leadership femminile e inoltre punta a favorire l’assunzione di figure di età superiore a 45 anni e garantisce pari diritti a coppie omosessuali.

Unilever Italia mette a disposizione delle proprie lavoratrici sale per allattare, nido, smart working. Il 40% della classe manageriale è infatti composta da donne.

27 Ott 2020

IL POTERE TERAPEUTICO DELLA FOTOGRAFIA

IL POTERE TERAPEUTICO DELLA FOTOGRAFIA

Provate a pensare cosa succede appena scattate una foto o subito dopo essere stati immortalati da qualcun altro: c’è chi con eccitazione e curiosità corre subito a vedere il risultato; c’è chi non è interessato perché tanto sa già che “è venuto male”. Quelli più narcisisti commenteranno maliziosamente la loro bruttezza con l’intento di suscitare negli altri risposte di approvazione ed elogio; mentre quelli più timidi ed inibiti lanciano uno sguardo fugace all’istantanea implorando la cancellazione immediata; i bambini invece saranno quelli più felici di rivedersi, poiché il loro riflesso è collegato alla conferma di loro stessi e della propria identità. Le reazioni di ognuno di noi sono soggettive e sono collegate con l’immagine mentale interna che abbiamo di noi stessi: essa riguarda sia il modo in cui ci vediamo ma anche il modo in cui vogliamo essere visti dagli altri.

Il primo ad avere colto la valenza terapeutica è stato lo psichiatra Hugh Diamond sul finire dell’Ottocento. Appassionato di fotografia, iniziò ad usare le foto dei suoi pazienti come mezzo diagnostico per identificare alcuni tipi di malattia mentale, poi si rese conto che avevano un effetto positivo quando venivano mostrate loro. I pazienti, infatti, tutte le volte che vedevano uno scatto in cui stavano bene, aumentavano la loro autostima.

E’ stato solamente negli anni Settanta del Novecento che è avvenuto il riconoscimento ufficiale del potere terapeutico della fotografia grazie all’articolo di Judy Weiser (1975) sulla “Foto-Terapia”, ovvero sull’utilizzo della fotografia all’interno del processo psicoterapeutico come mezzo per esplorare se stessi e fare emergere contenuti non verbali, soprattutto con quei pazienti che avevano difficoltà a far emergere la loro parte emotiva strettamente collegata a vissuti del passato di cui non ne avevano consapevolezza.

Judy Weiser, psicoterapeuta e appassionata anche lei di fotografia, si accorse che le foto stimolavano nei suoi pazienti sensazioni e ricordi diversi, così cominciò a usare gli album di famiglia dei pazienti per stimolare la riflessione e l’analisi e poi chiese ai suoi pazienti di scattare delle foto per commentarle insieme. Weiser definisce la foto-terapia come una tecnica di counselling in cui il terapista interagisce con il paziente attraverso l’immagine per far emergere vissuti, ricordi e pensieri.

La Foto-Terapia è una pratica terapeutica in cui vengono usate le foto personali, gli album di famiglia, le foto scattate da altri come elemento stimolante per approfondire la comprensione e migliorare le sedute terapeutiche condotte da professionisti specializzati (psicologi psicoterapeuti) e formati in tali tecniche, in un modo che non sarebbe possibile usando solamente le parole. Nella Foto-Terapia il terapeuta assegna dei compiti fotografici al paziente per poi aiutarlo nella lettura e nella comprensione dei suoi scatti all’interno del processo terapeutico. Una fotografia non è solo una stampa, ma racchiude un’immagine che, per chi l’osserva, può prendere vita potentemente. In una fotografia è possibile rivivere il passato, riflettere sul presente e immaginarsi il proprio futuro e, se il paziente è guidato correttamente, svelerà il proprio sistema di valori, i giudizi e le aspettative verso di sé e il mondo, narrando le proprie emozioni sulla base dei suoi scatti e delle immagini da lui scelte .

LA FOTOGRAFIA TERAPEUTICA

Per Fotografia Terapeutica invece s’intende quel campo più vasto in cui determinate tecniche fotografiche vengono usate al di fuori di un processo terapeutico e in assenza di uno psicoterapeuta, allo scopo di aumentare il livello di auto-conoscenza, incrementare la propria consapevolezza, per risolvere piccoli conflitti non di tipo patologico, per attivare un cambiamento positivo o per migliorare le relazioni interpersonali. La Fotografia Terapeutica può essere quindi usata anche in contesti didattici, formativi, educativi, ma sempre con finalità non cliniche e senza la presenza di uno psicoterapeuta. Un esempio è ‘Costole’, la produzione fotografica dell’ex modella anoressica Anna Fabroni, che attraverso la fotografia è riuscita a vincere la malattia e a costruirsi una nuova vita.

21 Ott 2020

LA DIPENDENZA DA SMARTPHONE

LA DIPENDENZA DA SMARTPHONE

Il tema della nomofobia (dipendenza da smartphone o dipendenza dal cellulare), termine coniato recentemente per indicare un comportamento a rischio molto frequente nella popolazione a livello mondiale. Il termine deriva dalla condizione di trovarsi momentaneamente senza telefono, dunque no-mobile, e il suffisso fobia, parola che indica come tutti sappiamo una forte paura, spesso incontrollabile. In questo caso dunque, si parla del terrore e dell’ansia che si prova di fronte all’impossibilità di usare il telefono cellulare, o in mancanza di credito, o per la batteria scarica, o ancora in caso di furto. Per gli esperti la dipendenza da cellulare è una malattia. La nomofobia colpisce per lo più giovani tra i 18 e 25 anni, soprattutto coloro che tendono ad avere bassa autostima problemi relazionali

PERCHE’ SI SVILUPPA LA NOMOFOBIA?

L’utilizzo eccessivo del cellulare sembra legato alla crescente necessità di essere in contatto continuo con qualcuno. E’ un bisogno talmente diffuso tra le persone che ormai passa quasi inosservato; tuttavia, se analizzato da un punto di vista psicologico, sembra suggerire una difficoltà a tollerare la separazione dall’altro e la solitudine. Il telefono, di fatto, permette di sostituire la relazione e la presenza fisica dell’altro con una relazione mediata a distanza.  La dipendenza da smartphone può essere dovuta al bisogno di “esibirsi”. In questo caso le persone, nella scelta dei loro dispositivi, mostrano molta attenzione al marchio, al colore e al design. La dipendenza da telefonino è legata anche alle applicazione e ai giochi sempre più sofisticati che possono essere scaricati.  La principale attrattiva degli smartphone è il fatto che le app offrono gratificazioni immediate: vedere una notifica apparire e poi scomparire quando l’abbiamo controllata dà al cervello un senso di soddisfazione. Una soddisfazione che le tante app a nostra disposizione possono darci molto facilmente: micro-dosi di facile gratificazione continue e costanti che alla lunga ci rendono dipendenti.

QUANDO SI PARLA DI DIPENDENZA?

L’uso quotidiano e comune del telefonino rende spesso difficile tracciare un confine diagnostico tra “comportamento normale” e “comportamento aberrante”. Dal punto di vista quantitativo , generalmente si parla di “cellularomania” quando il traffico telefonico quotidiano di un individuo ammonta all’incirca a 300 contatti.
Tuttavia, il problema quantitativo potrebbe anche essere manifestato in termini di lunghe conversazioni con poche persone o ancora l’utilizzo eccessivo potrebbe essere legato all’abuso di altre funzioni presenti nel cellulare. Inoltre, al di là della quantità di comunicazioni o del tempo passato al cellulare, si può ipotizzare una “dipendenza da telefonino” quando una persona presenta alcuni dei seguenti atteggiamenti-spia:

  • dedica la maggior parte del proprio tempo ad attività connesse all’utilizzo del telefonino (telefonate, sms, giochi, consultazioni, uso di foto-videocamere, ecc.)

  • manifesta senso di stordimento, mal di testa, vertigini, dolori al viso o all’orecchio o altri sintomi fisici 

  • manifesta un atteggiamento di estrema affettività verso l’oggetto telefonico

  • mostra un utilizzo del telefonino non giustificato da necessità

  • tende ad entrare in ansia o perfino in panico, o comunque a sperimentare stati emotivi spiacevoli, se il telefonino è scarico o se non funziona

  • è incapace di mantenere dei momenti di assenza di contatto e di comunicazione con qualcuno;

  • ha l’abitudine di mantenere il telefono acceso anche di notte e di effettuare eventuali risvegli notturni per controllare l’arrivo di short message o di chiamate.

COME INTERVENIRE SULLA NOMOFOBIA?

Per prevenire questo tipo di comportamenti bisogna utilizzare lo smartphone in modo intelligente Naturalmente tutto questo diventa fattibile nella misura in cui si adoperano gli strumenti saggiamente senza abusarne, in questi casi bisogna evitare che il cellulare diventi il fulcro della nostra vita. Quando diventa impossibile staccarsi dallo smartphone allora è il momento di consultare uno psicologo. Un percorso di consulenza psicologica o di psicoterapia permette di fare chiarezza sul proprio comportamento, di individuare cosa ci spinge a far cose che spesso sono sgradite anche a noi stessi e di trovare le risorse che possono aiutarci a impiegare meglio e in modo più soddisfacente e produttivo il nostro tempo.

21 Ott 2020

Cosa sono i fringe benefit?

Cosa sono i fringe benefit?

I fringe benefit, espressione inglese fringe (marginale) e benefit (beneficio) sono una delle soluzioni a disposizione delle imprese per incentivare i propri collaboratori, motivarli e aumentare la loro soddisfazione, diffondendo benessere e qualità della vita.

Il concetto di fringe benefits non va confuso con quello di flexible benefit, in cui ricadono tutte le misure di welfare aziendale, ovvero servizi, prestazioni e somme che il datore di lavoro elargisce a favore dei propri dipendenti con l’obiettivo di migliorare l’ambiente lavorativo e familiare e aumentare il loro benessere. Vediamo la differenza tra le due tipologie di benefit, legata ai concetti di detraibilità e detassazione.

I Fringe Benefit sono compensi in natura, benefici che il datore di lavoro offre ai dipendenti e che vanno ad aumentare il valore della retribuzione. Sono fringe benefit, ad esempio, i buoni spesa, il buono carburante, l’utilizzo di auto aziendali, il cellulare aziendale con uso anche personale, il portatile, l’alloggio, la concessione di prestiti, i fabbricati concessi in locazione, in uso o in comodato e i servizi di trasporto ferroviario prestati gratuitamente. Tali concessioni, possono essere stabilite all’inizio del rapporto di lavoro all’interno del contratto, oppure essere ottenute successivamente mediante accordo singolo tra lavoratore e azienda. Questi beni sono conteggiati nel reddito lordo del lavoratore e tassati, a meno che il valore non rimanga sotto una certa soglia. È questa la soglia raddoppiata dal DL di agosto 2020.

Tra i Flexible Benefit rientrano invece le somme, le prestazioni e i servizi che il datore di lavoro eroga alla generalità dei propri dipendenti in una politica di welfare aziendale. Non sono pertanto compresi nel contratto individuale, ma derivano da accordi e/o regolamenti aziendali o territoriali e hanno l’obiettivo di migliorare il benessere e la qualità di vita dei dipendenti e dei loro familiari. In quest’ottica questi servizi, pur contribuendo ad aumentare la retribuzione, non partecipano alla formazione del reddito imponibile e sono pertanto oggetto di detassazione.

Vediamo un rapido elenco dei fringe benefits più comuni e come funzionano.

Auto aziendale

Tra i benefits più diffusi spicca l’autovettura ovvero auto aziendale ad uso promiscuo. L’utilizzo di mezzi di trasporto di proprietà aziendale assume rilevanza ai fini INPS e IRPEF (si considerano perciò retribuzione) solo quando gli stessi sono forniti ai dipendenti:

-esclusivamente per esigenze personali: in questo caso il mezzo sarà soggetto a contributi e tasse in base al “valore normale”, da intendersi come il prezzo normalmente praticato dal fornitore in base a listini o tariffe;

-per motivi sia personali che aziendali (cosiddetto uso promiscuo): in questo caso, contributi e tasse vengono calcolati invece su un “valore convenzionale”, secondo il seguente schema:

il primo passo è ricavare dalle tabelle ACI il costo chilometrico relativo al tipo di autovettura, poi si moltiplica il costo chilometrico per una percorrenza convenzionale di 15 mila chilometri, si quindi ottiene il costo chilometrico per 15 mila chilometri ed infine di quel costo si ottiene il 30% su cui verranno poi calcolati contributi e tasse.

Buoni pasto

Si tratta di mezzi di pagamento ad importo fisso che vengono consegnati ai lavoratori in sostituzione della mensa aziendale. Questi non sono convertibili in denaro e il datore di lavoro non può pagarli in liquidi al dipendente; tuttavia sono spendibili per l’acquisto sia di generi alimentari che di pasti presso gli esercizi convenzionati e possono essere integrati in denaro da chi li spende.

Telefono cellulare (smartphone e tablet)

Il telefono cellulare (ivi compreso lo smartphone o il tablet) è imponibile ai fini INPS e IRPEF solo se utilizzato anche per ragioni personali. In questo caso, lo stesso diventa retribuzione in natura e come tale deve essere assoggettato a tasse e contributi, da calcolarsi sui costi delle telefonate private addebitate dal gestore telefonico al datore.

Immobili in locazione, uso o comodato

Gli immobili assegnati ai dipendenti in locazione, uso o comodato, costituiscono retribuzione in natura e dunque sono imponibili per la differenza tra:

-rendita catastale aumentata di tutte le spese riguardanti il fabbricato purché non sostenute dal dipendente;

-quanto il dipendente stesso ha dovuto corrispondere per il godimento del fabbricato.

Prestiti personali agevolati

Per i prestiti concessi ai dipendenti, si assume come retribuzione (imponibile) la differenza tra:

-l’importo degli interessi calcolati al tasso ufficiale di riferimento vigente alla fine dell’anno;

-l’ammontare degli interessi applicati al dipendente.

Borse di studio

Altro benefits di notevole rilevanza sono le borse di studio. Per legge sono escluse da tassazione le somme erogate dal datore ai familiari del dipendente, come il rimborso delle spese sostenute per le rette scolastiche o le tasse universitarie.

Voucher

I benefits possono essere erogati ai dipendenti anche tramite voucher. In questi casi, il riconoscimento di beni o la fornitura di servizi ad opera del datore avviene attraverso il rilascio di documenti di legittimazione (cartacei o elettronici), contenenti un valore nominale. I voucher possono essere utilizzati anche per prestazioni ripetute nel tempo (ad esempio ingressi in palestra).

Fringe benefit: la soglia di esenzione

Esiste una soglia di esenzione per la retribuzione in natura. Come dispone la legge (art. 51 c. 3 DPR 917/86 cosiddetto Testo Unico delle Imposte sui Redditi o TUIR), non concorrono a formare reddito i beni e i servizi garantiti dal datore quando il loro valore complessivo non supera, nel periodo d’imposta cioè nell’intero anno, euro 258,23. Al contrario, se i beni e i servizi hanno un valore superiore questo concorre per intero a formare il reddito (se ad esempio il valore è 500 euro questo è soggetto per intero a contributi e tasse).

14 Ott 2020

Il Counseling Aziendale

Il Counseling Aziendale

Il counseling aziendale è un intervento di sviluppo personale, di team o organizzativo per riflettere su come il proprio lavoro interagisca con le altre dimensioni della propria vita.

Il counseling si dimostra come un’efficace relazione d’aiuto che mira alla promozione del benessere della persona, valorizzando le capacità individuali e indirizzando le energie e le motivazioni dei singoli verso sviluppi coerenti con le esigenze dell’azienda. In pratica si parte dal presupposto che il benessere dei dipendenti e la qualità della loro vita, anche lavorativa, si rifletta sulle loro motivazioni professionali e sulle loro prestazioni specifiche, incidendo sulla produttività.

L’intervento di un counselor aziendale parte da un attento studio delle problematiche comunicative riscontrate all’interno dell’azienda. L’osservazione e l’analisi sono i primi step per interfacciarsi con le esigenze dell’azienda e dei suoi dipendenti, al fine di creare un ambiente lavorativo salutare, in primis dal punto di vista psicofisico.

Dopo aver analizzato i vari fattori che entrano in gioco, il counselor procede applicando i principi del counseling quali:

  • Ascolto attivo;
  • Sospensione del giudizio;
  • Empatia;
  • Accettazione positiva incondizionata;
  • Autenticità.

Gli aspetti positivi del counseling aziendale

benefici organizzativi attesi dal counseling organizzativo sono in termini di significatività del lavoro e quindi di produttività, di benessere organizzativo e di motivazione. I campi di applicazione possibili sono molteplici: formazione, interviste, sedute di counseling, focus group e molto altro.

Grazie all’intervento di un professionista del counseling aziendale potrai diminuire lo stress lavorativo contribuendo così ad aumentare la produttività e le performance, con un notevole incremento del fatturato.

Rivolgersi a un counselor aziendale permette di:

  • Aumentare il benessere nell’ambiente lavorativo;
  • Ottenere una comunicazione efficace all’interno dell’azienda;
  • Far crescere la motivazione dei lavoratori;
  • Ridurre assenteismo e situazioni di disagio;
  • Migliorare la qualità del lavoro.

Tipologie di interventi di counseling aziendale

Gli interventi di counseling aziendali possono essere sia individuali che di gruppo.

Tra gli interventi individuali troviamo:

  • career counseling: interventi di orientamento alla carriera per individuare i propri punti di forza e di debolezza, le opportunità di crescita e le difficoltà incontrate sul lavoro oltre che le proprie aspirazioni, per poter impostare lo sviluppo di un piano di miglioramento;
  • sportello di counseling: può offrire ai dipendenti la possibilità, fuori o dentro l’orario di lavoro, di accedere gratuitamente al servizio per riflettere su una difficoltà specifica;
  • counseling per gruppi omogenei di popolazione: coinvolge i dipendenti che hanno certe caratteristiche, come il fatto di essere da poco rientrati da un congedo per assistenza familiare o un recente cambiamento di ruolo;
  • counseling ai giovani potenziali o agli executive: l’intervento ha lo scopo di promuovere la crescita personale e professionale dei talenti presenti in azienda.

Tra gli interventi di gruppo troviamo:

  • formazione su tematiche soft: sviluppa le competenze necessarie per innescare processi di autosviluppo; l’attività può essere rivolta ai teamper implementare le meccaniche interne di funzionamento (feedback, comunicazione, fiducia, decision making) o a gruppi di individui (esempio giovani potenziali) che pur non lavorando insieme possono potenziare risorse come la creatività, la gestione dei collaboratori, l’intelligenza emotiva e l’autoconsapevolezza;
  • counseling di change management: utilizza il processo e le tecniche del counseling aziendale per guidare le dinamiche di cambiamentoche un gruppo di lavoro può affrontare a seguito di eventi come cambiamenti organizzativi;
  • counseling aziendale al termine di altri percorsi formativi: a seguito di interventi formativi di gruppo, un sotto-gruppo o l’individuo possono richiedere una o più sedute di approfondimento per consolidare l’apprendimento e affrontare in modo più specifico determinate tematiche;
  • counseling rivolto all’azienda nel suo complesso: in questo caso oggetto dell’intervento è l’intera organizzazione che vuole andare a rilevare o modificare in parte la propria cultura aziendale, specie in relazione a grandi cambiamenti organizzativi che l’hanno attraversata.

 

 

14 Ott 2020

PARENTING: COMPETENZE E FUNZIONI GENITORIALI

PARENTING: COMPETENZE E FUNZIONI GENITORIALI

Il concetto di parenting o competenze genitoriali, descrivono il modo in cui i genitori assolvono alle funzioni genitoriali. All’interno di tali contesti di studio della genitorialità è stato precisato che la “funzione genitoriale”, e la connessa disponibilità a fornire cure, includono capacità cognitive, affettive e relazionali che non sono riducibili alle attitudini o alle caratteristiche individuali del singolo genitore bensì a come queste riescono a incontrare le necessità specifiche di ogni figlio. Sulla base delle capacità di parenting si definisce la cosiddetta “idoneità genitoriale” che si compone di quattro livelli o aree di competenza:

1. Nurturant caregiving: accoglimento e comprensione delle esigenze primarie dei figli (fisiche e alimentari);

2. Material caregiving: le modalità con cui i genitori preparano, organizzano e strutturano il mondo fisico del bambino;

3. Social Caregiving include tutti i comportamenti che i genitori attuano per coinvolgere emotivamente i bambini in scambi interpersonali;

4. Didactic caregiving: sono le strategie che i genitori utilizzano per stimolare i figli a comprendere i proprio ambiente.

FUNZIONI GENITORIALI

Attraverso il ricorso a competenze di cura e di educazione, differenziate in relazione alle età e alle esigenze specifiche dei figli, i genitori o le figure alternative di accudimento assolvono a molteplici funzioni genitoriali, che rappresentano degli obiettivi generici e trasversali di supporto ad uno sviluppo equilibrato dei propri figli. Visentini individua 8 funzioni genitoriali:

  •  la funzione protettiva che include tutti quei comportamenti con cui si offrono cure in risposta ai bisogni di un bambino e, in modo particolare, al bisogno di protezione fisica e di sicurezza. Tale funzione si svolge sia attraverso la presenza fisica, visibile e osservabile dal bambino dentro la casa, sia mediante la capacità di far sentire la propria esistenza e partecipazione alla vita dei figli, facilitando l’interazione di questi ultimi con il loro ambiente.

  • la funzione affettiva che consiste nella capacità di strutturare il cosiddetto “mondo degli affetti” dei figli conferendo ad esso una qualità emotiva dotata di emozioni prevalentemente positive nell’interazione con il mondo degli adulti con cui si intrecciano legami significativi. Se i genitori sono in grado di vivere e condividere emozioni positive insieme ai loro figli, ciò contribuisce a costruire un mondo affettivo e relazionale sano intorno a questi ultimi. 

  • regolativa genitoriale: iperattivata con risposte intrusive che non danno il tempo al bambino di segnalare i suoi bisogni o stati emotivi; ipoattivata quando vi è scarsità o mancanza di risposte; inappropriata quando i tempi non sono in sincronia con quelli del bambino;

  • normativa: capacità del genitore di creare un sistema di regole flessibile che consentano al bambino e all’adolescente di fare esperienza e di creare le premesse per l’autonomia;

  • la funzione significante attività genitoriale finalizzata ad attribuire, alle percezioni e alle sensazioni dei bambini, un contenuto “pensato” e “pensabile”, tale da comprendere se stessi e il mondo. grazie a questa “funzione significante”, i genitori creano una cornice in grado di dare un senso ai bisogni, ai gesti, ai movimenti, alle espressioni e ad ogni aspetto del mondo in cui si inserisce un fanciullo

  • predittiva: capacità del genitore di predire la tappa evolutiva successiva, in modo da poter cambiare modalità relazionale con il crescere del bambino, e adeguarsi alle nuove competenze da lui acquisite;

  • rappresentativa e comunicativa: capacità del genitore di saper comunicare con il bambino, cioè scambi di messaggi chiari e congrui al suo sviluppo;

  •  funzione fantasmatica è costituita dall’abilità genitoriale di incoraggiare il mondo fantasmatico e le fantasie che supportano nei bambini sia la conoscenza della realtà, attraverso il confronto con ciò che non è reale, sia la costruzione della propria identità attraverso le fantasie su di sè. L’identità, infatti, si genera a partire dall’incontro del “bambino reale” con il “bambino desiderato” , ossia fantasticato dai genitori e dal bambino stesso

  •    funzione triadica che è intesa come l’abilità dei genitori di avere tra loro un’alleanza cooperativa, basata sul sostegno o quantomeno sul rispetto reciproco. 

UNA DEFINZIONE DI PARENTING

Il parenting è un processo multideterminato da aspetti anche sociali e culturali che richiamano le rappresentazioni sociali sul ruolo del genitore, del bambino e della famiglia nella società.
Il concetto di 
parenting può essere definito come un processo relazionale co-determinato dal bambino e dall’adulto identificato come figura di riferimento che determina lo sviluppo fisico e psico-socio-culturale ed educativo del bambino, in una dimensione spazio-temporale e socio-culturale.

STILI DI PARENTIG

In particolare, ogni genitore adotta un particolare tipo di comportamento verso i propri figli, definito stile di parenting. È emerso da alcune ricerche che lo stile di parenting è in relazione con il livello di soddisfazione coniugale: le coppie soddisfatte del loro matrimonio hanno maggiori probabilità di attuare uno stile costruttivo.

Un’ulteriore influenza che gli stili di parenting è sicuramente costituito dalle attese sociali nei confronti dei ruoli genitoriali. Il il contesto storico-culturale attuale ha completamente stravolto la concezione collettiva dei ruoli di genere: con l’ingresso nel mondo del lavoro extra-domestico, la donna deve riuscire a combinare il tempo del lavoro e il tempo della famiglia. Nondimeno, anche il padre è soggetto a notevoli pressioni sociali che lo portano, a seconda delle specifiche situazioni, a diversi livelli di coinvolgimento; possiamo rappresentarci un livello di partecipazione che va, da un estremo, da un aiuto assolutamente periferico fino, all’estremo opposto, all’assunzione della responsabilità totale del figlio.

07 Ott 2020

METODO FEUERSTEIN: SVILUPPARE IL PROPRIO POTENZIALE

METODO FEUERSTEIN: SVILUPPARE IL PROPRIO POTENZIALE
Il metodo Feuerstein, un interessante approccio meta-cognitivo, prende il nome dallo psicologo-pedagogista Reuven Feuerstein, il cui obiettivo è lo sviluppo delle potenzialità dell’individuo, ossia aumentarne le capacità di modificarsi di fronte al cambiamento.

Il vantaggio del Metodo Feuerstein è che non lavora sui contenuti specifici (come storia o matematica), ma sui processi che sono necessari per imparare i contenuti specifici. Il Metodo si focalizza sul come si utilizza la mente; in questo modo, una volta che si è imparato a usare una strategia cognitiva per risolvere un problema, questa può essere utilizzata in altri ambiti.

Lo scopo di Feuerstein è stimolare le risorse che l’individuo ha dentro di sé.

L’INTELLIGENZA

L’aspetto maggiormente innovativo di Reuven Feuerstein è la concezione dell’intelligenza. Secondo il metodo Feuerstein, l’intelligenza non è un tratto ereditato geneticamente e perciò immutabile; è invece uno stato, risultato di diverse componenti, di cui quella genetica non è la sola né la più importante.
L’intelligenza è la propensione dell’organismo a modificarsi nella sua struttura cognitiva, in risposta al bisogno di adattarsi a nuovi stimoli, di origine interna o esterna che siano (Feuerstein 1998) .

 L’intelligenza può essere sviluppatapotenziata e allenata allo steso modo in cui rafforziamo i muscoli.  In passato l’intelligenza veniva considerata come un’entità fissa e immodificabile, come un dono dipendente anche dall’eredità familiare. Oggi, grazie anche alle più recenti delle neuroscienze, l’intelligenza non è considerata come una qualità immutabile, ma un’entità plastica e modellabile nel corso del tempo grazie all’ambiente circostante. Secondo Feuerstein il bambino costruisce la propria intelligenza attraverso un insieme di interazioni e di scambi favorevoli con i genitori, gli insegnanti e, più in generale, con tutte le persone responsabili della sua istruzione e della sua educazione. Secondo Feuerstein, “I cromosomi non hanno l’ultima parola”, ma l’educazione e l’interazione sociale contribuiscono in modo decisivo alla costruzione delle abilità cognitive e allo sviluppo dell’individuo.

IMPARARE AD IMPARARE

La visione di Feuerstein sull’intelligenza comporta conseguenze molto importanti sul come rapportarsi con il bambino. Mentre nella scuola tradizionale vengono posti al centro i contenuti (e meno male, bisogna imparare le nozioni e i fatti), nel Metodo Feuerstein i contenuti  non hanno grande importanza e servono solo al mediatore per giustificare l’utilizzo di determinate facoltà mentali. L’importante è strutturare nell’allievo adeguate modalità di pensiero, in modo che i suoi processi mentali siano il più possibile efficienti nel momento dell’apprendimento vero e proprio, questo è il vero significato dell’espressione imparare ad imparare.

La prima fase del metodo prevede la valutazione dinamica della propensione all’apprendimento (LPAD) di un bambino o di un adulto (si differenzia quindi in modo marcato dalla misurazione del quoziente intellettivo per strumenti, modalità e scopo della valutazione) per poi svilupparne appunto l’intelligenza con apposito insegnamento centrato sulla mediazione didattica, fatta da una persona professionalmente preparata ad applicare il metodo in uno dei centri accreditati ufficialmente.

Questo metodo prevede due modalità di lavoro : il programma di intervento (PAS) e il lavoro in team.

Il programma di intervento (PAS): consiste in 14 strumenti carta e matita che non necessitano di alcuna conoscenza didattica precedente. L’obiettivo del PAS è arricchire le strategie cognitive dell’individuo al fine di arrivare a un apprendimento migliore e a un problem solving più efficace.  Il PAS mira ai processi di apprendimento in sé, non a contenuti specifici, per questo è così efficace e così applicabile in contesti diversi.

Gli esercizi del PAS puntano a:

  • far controllare l’impulsività quando si deve rispondere ad una domanda o risolvere un problema
  • far riflettere prima di compiere anche la più piccola azione
  • chiedersi sempre quale è il problema e come lo si è risolto e perché si ha avuto successo o meno

Il lavoro in team con genitori e insegnanti è fondamentale.
Ogni bambino è un sistema complesso, per poter migliorare è necessario
 intervenire in tutti gli ambiti in cui vive

AMBITI DI APPLICAZIONE E SOGGETTI PER CUI È ADATTO

Il metodo è oggi applicato oltre che a studenti, a persone adulte, ad esempio lavoratori che devono aggiornarsi alle nuove tecnologie, disoccupati ed emarginati. Occupandosi dell’aumento di strategie, il trattamento con il metodo Feuerstein viene applicato con successo in ambiti e con problemi diversi, come ad esempio:

  • Ritardo nelle prestazioni;
  • Prestazioni inferiori alle potenzialità;
  • Difficoltà scolastiche;
  • Disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, discalculia, disortografia, disgrafia).

 Il metodo Feuerstein è efficace in tutte quelle situazioni in cui è necessario stimolare un incremento delle prestazioni per permettere al bambino/ adulto di diventare più flessibile.