19 Giu 2018

Il bilancio di competenze

Il bilancio di competenze

E’ nella Francia della metà degli anni ’80 che vengono realizzate le prime attività di bilancio di competenze. E’ proprio qui che il bilancio di competenze viene definito come come l’insieme di azioni che consentono al lavoratore di analizzare le proprie competenze professionali e personali, le motivazioni e le attitudini, allo scopo di definire un progetto professionale e, se necessario, un progetto di formazione.

Si tratta quindi di un servizio esterno alle imprese, ma non separato da esse in quanto si configura come un diritto del lavoratore a perseguire il proprio sviluppo professionale, a migliorare la propria condizione lavorativa o modificarla, portando così beneficio all’azienda.

Nello specifico il BdC è un intervento ideale per quelle situazioni o momenti di sviluppo e transizione che determinano la riuscita dell’inserimento o reinserimento del lavoratore nella vita lavorativa.

La metodologia del BdC si basa su alcuni elementi chiave:

  • percorsi individuali e personalizzati, in qualche caso arricchiti da incontri di gruppo;
  • forte attivazione del soggetto nella ricostruzione, riappropriazione e valorizzazione delle proprie competenze;
  • approccio fondato prevalentemente sull’auto-valutazione.

Gli strumenti di lavoro sono sostanzialmente il colloquio ed il lavoro di gruppo.

La competenze richieste al consulente di BdC sono varie e complementari, in particolare:

  • gestione della relazione con il cliente;
  • organizzazione delle informazioni prodotte;
  • produzione di sintesi interpretative;
  • analisi della professionalità e della competenza;
  • sostegno all’attività di analisi del cliente;
  • proposta di stimoli per far emergere alternative di sviluppo;
  • apertura al confronto con altri esperti coinvolti nel percorso (es. formatori, esperti di mercato del lavoro).

Tre sono le fasi di cui si compone una sessione di BdC:

  • presentazione/accoglienza e analisi della domanda, esplicitazione di motivazioni e aspettative;
  • colloquio dinamico  volto alla conoscenza di sé, interazione con il contesto, ipotesi di progetto professionale e verifica di fattibilità, piano di azione;
  • restituzione ed accompagnamento e consegna e discussione del documento di sintesi del BdC.

Risulta evidente la notevole utilità del BdC per lo sviluppo professionale di ogni lavoratore attivo e disoccupato, all’interno di un mercato del lavoro fin troppo volubile.

Le politiche attive del lavoro sono essenziali in un momento storico così delicato e la valorizzazione dello strumento presentato potrebbe essere una buona direzione per il sostegno, il ripensamento del sé e la scoperta di nuove possibilità professionali.

12 Giu 2018

La valutazione del personale

La valutazione del personale

Per gestire in modo strategico un’impresa la Direzione Risorse Umane può utilizzare la valutazione del personale. Grazie ai sistemi di valutazione è infatti possibile definire tutti quegli interventi (formazione, benefit, riorganizzazione) necessari al raggiungimento degli obiettivi di medio e lungo termine previsti dalla strategia aziendale. 
La valutazione del personale è però un sistema che necessità di alcune attività preliminari. 

1. Mappatura dei ruoli
E’ necessario mappare i ruoli e le posizioni presenti nei processi lavorativi aziendali.
I questionari per le Job Analysis sono gli strumenti più utilizzati per questa esigenza, insieme ad una Valutazione a 360°. In alcune aziende sono coinvolte nella definizione e revisione dei ruoli anche figure esterne come i clienti e i fornitori.
La raccolta delle informazioni è finalizzata alla Job Description ed alla definizione degli obiettivi delle posizioni.

2. Creazione del Dizionario delle competenze
La Job Description ha una funzione strumentale alla definizione delle competenze necessarie per coprire un determinato ruolo e alla creazione del dizionario delle competenze aziendali.
Per l’associazione delle competenze ai ruoli è possibile seguire due processi differenti:

– processo top-down: la Direzione Risorse Umane, dopo aver effettuato la Job Analysis con i responsabili ed i collaboratori, definisce le competenze e gli obiettivi per ogni ruolo, le descrizioni delle competenze e gli indicatori comportamentali per facilitare la valutazione del personale;
– processo bottom-up: i responsabili sono coinvolti nell’assegnazione delle competenze e degli obiettivi, nella definizione delle definizioni e degli indicatori comportamentali.
3. Prima valutazione del personale
A questo punto è possibile procedere con la valutazione delle competenze e degli obiettivi del personale.

4. Analisi dei risultati e definizione degli interventi
La Direzione delle Risorse Umane, insieme ai responsabili, analizzerà i risultati e, se necessario, valuterà gli interventi formativi e gli incentivi economici per migliorare le performance del personale. In questa fase viene anche valutata la possibilità di inserire in organico personale in grado di ampliare il know-how aziendale.

5. Ridefinizione dei ruoli e delle posizioni
Nel momento in cui la Direzione Aziendale elabora una strategia e nuovi obiettivi a medio-lungo termine, la Direzione delle Risorse Umane può effettuare un’analisi e definire nuove competenze o ruoli, oppure valutare l’inserimento di personale qualificato.
La valutazione del personale servirà per valutare l’impatto delle decisioni prese dalla Direzione delle Risorse Umane ed eventualmente procedere con una revisione dell’impianto generale.
07 Giu 2018

HR outsourcing

HR outsourcing
La Direzione Risorse Umane occupa sempre di più un ruolo strategico all’interno delle organizzazioni. Esternalizzare alcuni processi per dedicarsi ad attività più centrali può portare numerosi vantaggi in termini di efficacia ed efficienza.

Con outsourcing si intende l’affidamento strutturale e non occasionale a un fornitore esterno di funzioni, servizi o interi processi aziendali, produttivi o di supporto.

L’outsourcing si contrappone al modello di integrazione verticale, ovvero alla gestione ed esecuzione interna di tutte le attività produttive e di supporto al proprio business.

Il mercato sempre più competitivo, dinamico e in evoluzione, richiede alle imprese di focalizzarsi sul proprio business e soddisfare la domanda attraverso una differenziazione e un miglioramento della qualità dell’offerta, limitando i costi.

Il ricorso all’outsourcing consente alle aziende l’accesso a competenze professionali al passo con i tempi, ma non fondamentali per l’azienda, mantenendo in casa le competenze chiave e specifiche per la sua attività principale.

È possibile delegare ad un fornitore esterno diverse attività aziendali, quali ad esempio i servizi informatici, la sicurezza e la qualità, gli affari legali, la logistica e alcune funzioni di gestione delle Risorse Umane.

Per la Direzione Risorse Umane le attività da svolgere sono di natura contrapposta perché finalizzate a garantire da una parte, verso il management, risultati in termini di monitoraggio e strategia, dall’altra, tutela e crescita personali, professionali ed economiche nei confronti dei dipendenti.

Dunque per rispondere ad attività di amministrazione (gestione presenze, elaborazione paghe), gestione (rapporti sindacali) e sviluppo (formazione, valutazione performance) gli addetti alle risorse umane dovrebbero possedere competenze economiche, psicologiche, giuridiche, comunicative, digitali e trasversali.

Per smaltire un carico di lavoro così elevato e differenziato l’outsourcing per le risorse umane interessa principalmente:

  • la gestione degli stipendi;
  • i sistemi informativi;
  • reclutamento;
  • formazione e sviluppo.

vantaggi dell’HR Outsourcing in termini di efficienza e di efficacia sono molti.

Uno dei principali fattori che spingono le imprese a scegliere il modello di outsourcing è la riduzione e la flessibilità dei costi.

L’opzione di ricorrere all’outsourcing permette di ridurre il tempo dedicato ad attività amministrative e di routine, quindi recuperarlo per concentrare le risorse interne ad attività strategiche per l’impresa.

Un progetto di HR Outsourcing strategico consente di migliorare il servizio generale della Direzione Risorse Umane grazie alla possibilità di: accedere a una maggiore professionalità (messa a disposizione dal fornitore per la funzione specifica delegata); ottimizzare i processi quindi ridurre la complessità gestionale; aumentare la capacità di innovazione.

28 Mag 2018

Work engagement.

Work engagement.

Con work engagement si intende un concetto associato alla relazione positiva delle persone con il proprio lavoro.  Questo termine fa riferimento alla propensione del lavoratore a essere pienamente presente nell’organizzazione, alla disponibilità degli individui di agire in modo da perseguire gli interessi della struttura per la quale si lavora sentendosi attratti, dediti ed entusiasti.

Alcuni autori considerano l’engagement come una delle estremità di un continuum.  In questo caso l’engagement ed il burnout sono visti come due elementi di un unico processo. Alla base di tale assunto, può essere ricondotta la credenza che un lavoro inizialmente significativo perda con il tempo questa sua peculiarità, diventando privo di stimoli.

Un’altra prospettiva descrive il work engagement come uno stato di “ coinvolgimento emotivo”. Il costrutto viene considerato come un’opposizione rispetto all’esaurimento, in quanto caratterizzato da energia, coinvolgimento e percezione di efficacia, tre dimensioni opposte rispetto a quelle che descrivono il burnout. Secondo questo filone di ricerche, quindi, il work engagement è considerato un’antitesi in chiave positiva del burnout. Dunque il burnout ed il work engagement sono considerati come due concetti indipendenti.

Il work engagement è caratterizzato da tre peculiarità:

  1. vigore: un alto livello di energia nel proprio lavoro che permette di investirvi nonostante le difficoltà;
  2. dedizione: forte coinvolgimento nel proprio lavoro, viverlo come una sfida e associarlo a un’esperienza significativa per sé;
  3. assorbimento: estrema concentrazione nel proprio lavoro per cui il tempo sembra trascorrere molto velocemente e si hanno difficoltà nel distaccarsene;

Il costrutto presenta molte caratteristiche associate al lavoro, come la soddisfazione, le risorse, la performance lavorativa, l’impegno verso l’organizzazione, sottolineando come anche altre comportamenti in ambito lavorativo, quali ad esempio il turnover o comportamenti produttivi al lavoro, potessero essere identificati con il work engagement.

Infine, l’engagement è stato associato da alcuni studiosi a particolari tratti della personalità. E’ stata proposta la tesi, secondo cui, nonostante siano innegabili le associazioni tra alcuni dei costrutti sopraelencati e il work engagement, le evidenze empiriche dimostrano l’impossibilità di identificare l’engagement con uno dei concetti già esistenti attribuendogli così uno status di unicità.

22 Mag 2018

Diversity management.

Diversity management.

Uno dei valori fondamentali della nostra epoca è la diversità. Questo termine deriva dal latino divertere (volgere altrove, deviare) e racchiude al suo interno due significati. Viene utilizzato per indicare il non noto, ciò che è diverso dal solito, che suscita paura e viene visto come minaccia. Al contrario, lo stesso termine riconduce al verbo divertirsi ovvero include la dimensione della curiosità, della scoperta, dell’apertura al mondo. Gestire la diversità, dunque, implica l’avventurarsi all’interno di un paradosso.

La diversità fa parte della storia di ogni essere umano, in quanto ognuno è unico e caratterizzato da una propria cultura, ricchezza, prospettiva, scambi, crescite, necessità. Nonostante ciò, la diversità viene tuttora percepita prevalentemente come un pericolo, una minaccia che caratterizza il nostro sistema di relazioni. Ovviamente risulta più comodo e sicuro affrontare ciò che già si conosce. Ma questo processo a che risultati può condurre?

Quasi sempre, nei discorsi sulla diversità, il tema della relazione con l’altro viene affrontato generalmente in modo superficiale, nell’illusione che l’inclusione di una minoranza possa avvenire semplicemente leggendo un manuale sull’argomento. Raramente si riesce a prendere consapevolezza che ognuno di noi è unico e dunque diverso dagli altri. Riflettendo più accuratamente capiremmo che ognuno di noi possiede abitudini per se stesso ovvie e giuste ma per non per l’altro, pur appartenendo alla stessa cultura o parlando la stessa lingua.

Ogni volta che entriamo in relazione con l’altro ci troviamo quindi di fronte ad una scelta: possiamo considerarlo un nemico oppure farci catturare dalla curiosità di conoscerlo. La nostra stessa identità si costruisce in base alle caratteristiche che rileviamo nelle persone che ci circondano. E’ importante ascoltare, vedere e riconoscere le opportunità che questo rapporto ci offre nel contesto in cui viviamo, sia esso azienda o società.

Investire su competenze quali ascolto, empatia, leadership è la strada giusta per affrontare il tema della diversità in un’ottica positiva. Per comprendere la diversità bisogna essere disposti a farsi contaminare, comprendere che all’interno di ognuno di noi risiedono pluralità.

Ancora oggi le organizzazioni tendono a premiare la competizione attraverso strategie individuali e non di squadra. Per realizzare un progetto solido in tema di diversity è necessario intraprendere la strada dell’inclusione. Svolgere un accurato lavoro di introspezione per comprendere la propria realtà, la propria visione del mondo, le proprie motivazioni e la propria struttura valoriale. All’interno dell’organizzazione questo lavoro ci aiuta a scoprire, prevenire e risolvere le barriere esistenti generatrici di conflitti che coinvolgono uomini e donne, ma anche generazioni o etnie differenti, che in molti casi possono sfociare in vere e proprie battaglie ideologiche.

15 Mag 2018

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Cultura organizzativa: il lato oscuro.

Schein definiva la cultura organizzativa come “l’insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna, e che hanno funzionato abbastanza bene da poter essere considerati validi, e perciò tali da essere insegnati ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei problemi”. Tre sono i livelli di cui la cultura si compone:

  • gli artefatti: elementi visibili come il linguaggio, il dress code, gli arredamenti;
  • valori dichiarati: ossia le strategie, gli obiettivi, la filosofia, che si ritrovano in comportamenti pubblici o in dichiarazioni ufficiali;
  • gli assunti taciti: come le convinzioni inconsce, date per scontate, così radicate nella cultura che è quasi impossibile modificarle.

Molti autori affermano che una coesa cultura organizzativa sia la chiave del successo di molte aziende. Infatti, consolidando il senso di appartenenza, la cultura organizzativa stimola i lavoratori a impegnarsi maggiormente verso l’obiettivo finale. Nell’attuale panorama del lavoro globalizzato, le imprese sono spinte ad acquisire risorse umane sempre più diverse culturalmente. Dunque risulta per loro necessario conciliare le differenze culturali con un contesto aziendale coeso. E’ necessaria una gestione cross-culturale delle risorse umane.

A volte, però, avviene un processo negativo.

Antropologicamente la cultura è descritta come l’insieme di significati che una comunità attribuisce alla realtà. Dunque, la cultura varia in base all’epoca storica e allo spazio geografico in cui si sviluppa. Il processo di creazione di cultura fallisce quando coincide con l’etnocentrismo, ovvero il pregiudizio per cui la propria cultura sia la migliore in assoluto. Così come la società, le organizzazioni sono micro-comunità che strutturano sistemi di credenze, a seconda del contesto territoriale, sociale, economico, finanziario, politico, tecnologico, culturale.

Il problema nasce quando il grado di coesione della cultura organizzativa diviene eccessivo, degenerando in etnocentrismo organizzativo. Si sviluppa una concezione per cui la cultura vigente nella propria azienda sia migliore delle altre e quindi il proprio modo di operare sia l’unico corretto. Valori, artefatti, assunti culturali sono accettati come verità indiscutibili.

Questo punto di vista è letale per un’organizzazione in quanto oscura le richieste dell’ambiente esterno e nega quelle caratteristiche di flessibilità, elasticità e adattabilità che sono fondamentali per il mercato dinamico della nostra epoca. Tendenzialmente si presume che ciò coinvolga le piccole e medie imprese con alle spalle una tradizione di conduzione familiare.

In definitiva, per conseguire buone prestazioni organizzative, conciliando il profitto con il benessere dei lavoratori, appare necessario che le aziende esercitino l’autoconsapevolezza, l’introspezione, l’autoriflessione, soprattutto da parte del management, facendo il punto sui propri limiti e le proprie risorse, cercando sempre di essere al passo col mondo esterno.

In questo contesto lo psicologo del lavoro, affiancando il management delle piccole e grandi imprese, si delinea come il professionista deputato alla gestione e allo sviluppo degli aspetti di cultura organizzativa.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

08 Mag 2018

10 approfondimenti accademici sulla costruzione e gestione di un team eccezionale

10 approfondimenti accademici sulla costruzione e gestione di un team eccezionale

Il team building è un’arte o una scienza? Quando tratta di assemblare, motivare e tenere insieme un team coeso e felice affinché si raggiungano degli obiettivi ci vuole una buona dose di entrambe.

Non si può sottovalutare quanto sia importante una squadra coesa per il successo di un’azienda.

La qualità del lavoro del singolo riflette la qualità del team che ci sta dietro. Per lo sgomento di molti imprenditori e manager, il team building sembra spesso complicato: avendo a che fare con persone, le cose devono essere perfette per creare qualcosa di magico.

Fortunatamente, la letteratura sulla cultura di gruppo e le dinamiche di gruppo gettano chiariscono molti aspetti relativi alla creazione e alla motivazione alla base della creazione di una squadra perfetta.

1. Gli esercizi di team building funzionano

Costruire una grande squadra ed effettivi esercizi di “team building” sono spesso visti sotto luci molto diverse.

Il team building è uno di quegli argomenti di business che spesso generano confusione negli ascoltatori. La prima cosa che viene in mente per molti sono quelle attività superficiali che costringono le persone a entrare in una specie di scenario imbarazzante, con tutti i partecipanti imbarazzati e che non vedono l’ora che il tutto che finisca.

Il team building non dovrebbe avere questo tipo di reputazione.

In uno studio sono stati analizzati i dati di 103 studi condotti tra il 1950 e il 2007. Questa ricerca cumulativa fornisce le prove scientifiche più forti fino ad oggi riguardo al fatto che il team building possa avere effetti misurabili e positivi sulle prestazioni della squadra.

Il “segreto” del team building sta nel mantenere gli equilibri ed evitare situazioni che si sentono invasive, imbarazzanti o forzate. Ad esempio, NON riunire la tua squadra e non chiedere a tutti di condividere la loro più grande paura: un’enorme maggioranza delle persone coinvolte non apprezzerà questo mix forzato della loro vita lavorativa e dei sentimenti personali.

2. Le 5 migliori attività di team building

Citrix ha dimostrato che il 31% degli impiegati dice di non poter sopportare le attività di team building.

Questa associazione negativa è un peccato, perché, come discusso in questa pubblicazione della Harvard Business School , una squadra connessa è una squadra motivata. Ulteriori ricerche di supporto dall’American Psychological Association (APA) hanno scoperto che le attività di team building possono aiutare i dipendenti a sentirsi stimati e quelli che lo fanno sono i più motivati ​​a fare un ottimo lavoro.

Quasi tutti i dipendenti (93%) che hanno riferito di sentirsi apprezzati hanno dichiarato di essere motivati ​​a fare del loro meglio al lavoro”

David W. Ballard, responsabile del programma di benessere lavorativo dell’APA, ha discusso in un’intervista del US News & World Report cinque semplici attività di team building che sono risultate di successo più e più volte, ovvero:

  • Volontariato. Le migliori attività sono quelle a cui tutto il team si sente orgoglioso di partecipare.
  • Attività fisiche. Gli sport rendono superbe le uscite consentendo ai dipendenti di lavorare insieme e fare esercizio fisico.
  • Gite. Viaggi semplici e informali come visitare un parco o un museo o andare a una partita di basket possono fare miracoli per la tua squadra
  • Attività di sviluppo professionale. Workshop di qualità offrono ai team l’opportunità di tenersi aggiornati con l’istruzione e sviluppare relazioni professionali in nuovi contesti, il tutto senza il marchio d’incertezza di andare da soli o l’imbarazzo di provare a fare da soli in rete.
  • Pasti condivisi Mangiare regolarmente con il proprio team consente di intraprendere conversazioni in un ambiente confortevole, permettendo ai membri del team di conoscersi al di fuori del lavoro. Inoltre, i benefici di queste attività crescono in maniera esponenziale nel momento in cui i membri di un team collaborano alla preparazione di un pasto. Quest’ultima categoria di attività, infatti, sembra essere una tra le più efficaci attività di team building.

3. I grandi team hanno bisogno di comunicazione non lavorativa

Uno studio del Human Dynamics Laboratory del MIT mostra che quando si tratta di prevedere il successo di una grande squadra, l’elemento più importante è il modo in cui il team comunica durante gli incontri informali.

Ciò non significa che i membri del team devono essere migliori amici al di fuori del lavoro, ma i manager dovrebbero riconoscere che le discussioni non lavorative sono fondamentali per la creazione di una squadra, affinchè i colleghi possono evitare di guardare l’un l’altro come semplici ingranaggi della macchina .

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie di Team Building efficaci e innovative volte a favorire un clima di benessere aziendale. Ciò aiuta a ridurre al minimo le problematiche relative allo stress e ad un cattivo clima lavorativo, nonché ad aumentare la produttività e la soddisfazione del team aziendale.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

02 Mag 2018

Il commitment o impegno organizzativo: cos’è e perché è importante?

Il commitment o impegno organizzativo: cos’è e perché è importante?

Gli psicologi del lavoro e delle organizzazione sono interessati a comprendere le reazioni psicologiche dei dipendenti nei loro luoghi di lavoro.

Non sorprende che gran parte di questo interesse si concentri sull’impegno dei dipendenti verso le organizzazioni per le quali lavorano. Tra le varie variabili relative l’atteggiamento lavorativo maggiormente studiate dagli psicologi vi sono la soddisfazione lavorativa e il commitment o impegno organizzativo.

Anche se ci si può aspettare che il commitment organizzativo si sviluppi sulla base di fattori sia dell’esperienza personale che lavorativa, l’esperienza organizzativa costituisce uno dei fattori di influenza cardine di questo fenomeno.

Alcune variabili di una persona (ad esempio, età, città di provenienza) sono modestamente correlate al commitment organizzativo, ma è ciò che le persone sperimentano sul lavoro che sembra avere maggiore influenza sullo sviluppo di un impegno lavorativo positivo.

In generale, il commitment organizzativo può essere definito come il legame esistente tra un lavoratore e la propria organizzazione, il quale rende meno probabile l’abbandono volontario di quest’ultima (Meyer e Allen, 1990). Esso risulta indipendente dalle intenzioni comportamentali che le persone possono avere. Più nel dettaglio, le tre componenti principali del commitment riguardano l’impegno affettivo, normativo e continuativo.

Per quanto riguarda l’impegno affettivo, la letteratura suggerisce che esso è più forte tra i dipendenti che sentono di essere supportati dalle loro organizzazioni e che hanno sperimentato una giustizia procedurale, distributiva e interazionale sul posto di lavoro.

L’impegno affettivo è anche più forte tra i dipendenti che sperimentano un minimo di ambiguità di ruolo e conflitti di ruolo sul posto di lavoro e hanno leader che adottano stili di leadership di tipo trasformazionale, ovvero un leader che si impegna attivamente con i suoi seguaci, creando con essi una relazione che eleva sia la propria motivazione e il proprio morale, sia quello dei sottoposti.

L’impegno affettivo è legato a diversi indicatori chiave di prestazione. I dipendenti con un maggiore impegno affettivo hanno meno probabilità di essere assenti dal lavoro, soprattutto se si parla di assenza volontaria piuttosto che involontaria, come quella causata da malattie ed emergenze.

L’impegno affettivo prevede anche migliori prestazioni lavorative: queste ultime, infatti, sono più alte tra i dipendenti con un maggiore impegno affettivo. Questi ultimi hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti positivi in linea con una corretta cittadinanza organizzativa (ad esempio, esercitando sforzi straordinari, aiutando i colleghi, sostenendo l’organizzazione) rispetto a quelli con un debole impegno affettivo e, così facendo, contribuiscono a creare un ambiente di lavoro più produttivo e positivo.

L’impegno normativo, invece, sembra si sviluppi sulla base di esperienze sia culturali che organizzative che evidenziano le aspettative di reciprocità tra i dipendenti e l’organizzazione.

Ci sono anche alcune prove che l’impatto delle esperienze lavorative sull’impegno normativo dipende dai valori culturali dei dipendenti, come l’individualismo contro il collettivismo.

L’impegno normativo potrebbe influenzare il tono con cui i dipendenti svolgono il proprio lavoro, in particolare se hanno anche livelli di impegno affettivo da debole a moderato. Questi ultimi, infatti, potrebbero continuare a svolgere il proprio lavoro perché si sentono obbligati a continuare a farlo, senza impegno affettivo e con riluttanza, generando risentimento e frustrazione che li espongono maggiormente a rischi quali burnout e turnover.

La continuità nell’impegno organizzativo è più strettamente correlata alle alternative percepite e investimenti percepiti. Nello specifico, l’impegno alla continuità è più forte tra i dipendenti che ritengono di avere poche, piuttosto che numerose, valide fonti di occupazione se lasciassero l’organizzazione.

Presumibilmente, i costi per lasciare la loro attuale organizzazione sarebbero piuttosto alti per tali impiegati.

L’impegno alla continuità è anche più forte tra i dipendenti che credono di aver fatto investimenti significativi nello sviluppo delle loro competenze e nell’acquisizione di un expertise che non sarebbe stata trasferita facilmente ad altre organizzazioni.

Rispetto ai dipendenti che hanno competenze facilmente trasferibili, tali dipendenti potrebbero sostenere costi maggiori se lasciassero l’organizzazione.

L’impegno affettivo, normativo e di continuità sono tutti negativamente correlati all’intenzione dei dipendenti di lasciare volontariamente l’organizzazione. Sia l’impegno affettivo che l’impegno normativo, ma non l’impegno di continuità, sembrano essere fattori importanti di impegno lavorativo anche più dell’importanza dello stipendio e dello status sociale che si ricopre all’interno della propria azienda.

Stimolare il commitment organizzativo è importante non solo per il clima organizzativo, ma anche per la produttività della propria organizzazione e per il benessere dei propri dipendenti e della propria azienda in generale.

Migliorare il proprio benessere condurrà naturalmente ad un maggiore commitment verso la propria organizzazione

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

24 Apr 2018

Cos’è la cultura organizzativa e come influenza le organizzazioni?

Cos’è la cultura organizzativa e come influenza le organizzazioni?

La cultura organizzativa è definita come l’insieme delle convinzioni, supposizioni, valori e modalità di interazione che contribuiscono alla creazione dell’ambiente sociale e psicologico tipico di un’organizzazione.

Essa include le aspettative, le esperienze, la filosofia di un’organizzazione, così come i valori che guidano il comportamento dei membri, ed è espressa nell’immagine di sé dei membri, nei meccanismi interiori, nelle interazioni con il mondo esterno e nelle aspettative future.

La cultura è basata su atteggiamenti, convinzioni, abitudini e regole scritte e non scritte che sono state sviluppate nel tempo e sono considerate valide.

Mentre le definizioni di cultura sopra descritte esprimono il modo in cui il costrutto si concretizza sul posto di lavoro, altre definizioni sottolineano le componenti comportamentali dei dipendenti e in che modo la cultura organizzativa influenza direttamente il modo di agire dei membri all’interno di un’organizzazione.

I leader aziendali sono vitali per la creazione e la comunicazione della loro cultura sul posto di lavoro. Tuttavia, il rapporto tra leadership e cultura non è unilaterale. Mentre i leader sono i principali artefici della cultura, una cultura organizzativa consolidata influenza il tipo di leadership possibile.

I leader devono cercare mantenere o far evolvere la cultura di un’organizzazione costantemente. Una cultura profondamente radicata e consolidata è in grado di suggerire come le persone dovrebbero comportarsi, il che può aiutare i dipendenti a raggiungere i loro obiettivi. Questa struttura comportamentale, a sua volta, garantisce una maggiore soddisfazione lavorativa quando un dipendente ritiene che un leader lo stia aiutando a raggiungere un obiettivo. Da questa prospettiva, la cultura organizzativa, la leadership e la soddisfazione sul lavoro sono tutte inestricabilmente collegate.

I leader possono creare, e anche essere creati o influenzati da, molte culture differenti sul posto di lavoro. Queste differenze possono manifestarsi è una varietà di modi tra cui, ma non limitato a:

La cultura organizzativa non è stagnante. I membri di un’organizzazione sviluppano una convinzione condivisa su “ciò che sembra giusto” mentre interagiscono nel tempo e imparano ciò che produce successo e cosa no. Quando tali convinzioni e presupposti portano a risultati meno che positivi, la cultura deve evolversi affinché l’organizzazione rimanga rilevante in un ambiente che cambia.

Cambiare la cultura organizzativa non è un’impresa facile. I dipendenti spesso resistono al cambiamento e possono radunarsi contro una nuova cultura. Pertanto, è compito dei leader convincere i propri dipendenti dei benefici del cambiamento e mostrare attraverso l’esperienza collettiva con nuovi comportamenti che la nuova cultura è il modo migliore per operare per ottenere successo.

Formulare una chiara visione strategica. Questa visione dà l’intenzione e la direzione per il futuro cambiamento culturale.

I vertici dell’organizzazione devono favorire il cambiamento culturale per implementare effettivamente il cambiamento nel resto dell’organizzazione.

Gli agenti di cambiamento sono le chiavi del successo di questo processo di cambiamento culturale e di importanti comunicatori di nuovi valori.

Ciò include l’identificazione di quali sistemi, politiche, procedure e regole attuali devono essere modificati per poter raggiungere l’allineamento con i nuovi valori e la cultura desiderata.

Incoraggiare la motivazione dei dipendenti e la lealtà verso l’azienda creerà una cultura sana. La formazione dovrebbe essere fornita a tutti i dipendenti per aiutarli a comprendere i nuovi processi, aspettative e sistemi.

Piuttosto che cambiare la cultura di un’intera organizzazione, un’organizzazione può essere adattabile e agile consentendo a determinati tipi di sottoculture di emergere. Le sottoculture organizzative sono gruppi la cui caratteristica comune è una norma o convinzione condivisa.

Le sottoculture sono classificate come potenziate, ortogonali o controcultura, ciascuna esemplificativa di un diverso livello di congruenza con i valori della cultura dominante.

I membri delle sottoculture migliorative aderiscono ai valori della cultura organizzativa dominante ancora più entusiasti dei membri del resto dell’organizzazione. I membri delle subculture ortogonali abbracciano entrambi i valori della cultura dominante e mantengono il proprio insieme di valori distinti, ma non contrastanti. Infine, i membri di una controcultura non sono d’accordo con i valori fondamentali della cultura dominante e detengono valori direttamente in conflitto con i valori organizzativi fondamentali.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.

17 Apr 2018

5 fattori chiave che influenzano la Soddisfazione Lavorativa

5 fattori chiave che influenzano la Soddisfazione Lavorativa

Perché alcune persone sono entusiaste di andare a lavoro mentre altri odiano il lunedì mattina? Comprensibilmente, ognuno ha bisogno di lavorare per guadagnarsi da vivere, ma sembra che alcuni apprezzino non solo lo stipendio ma anche il processo che porta al suo profitto.

Fortunatamente, la soddisfazione sul lavoro dipende da una varietà di fattori, molti dei quali sono ben conosciuti, altri meno e molto spesso fuori dal proprio controllo.

La soddisfazione lavorativa (o la sua mancanza) influenza non solo i dipendenti, ma anche le organizzazioni con cui di sentono insoddisfatti. I lavoratori insoddisfatti sperimentano una minore produttività sul posto di lavoro, prestazioni inferiori, maggiore stress sul lavoro e maggiori tassi di turnover. Inoltre, un basso livello di soddisfazione sul lavoro può comportare un basso livello di morale e una bassa fedeltà alla società stessa, secondo un articolo pubblicato sull’International Journal of Learning and Development.

Possono essere individuati dei fattori chiave che influenzano la soddisfazione lavorativa e che dipendono principalmente dalla combinazione di fattori intrinseci ed estrinseci. La soddisfazione lavorativa intrinseca è il risultato del sentirsi contenti del lavoro stesso e delle responsabilità che ne derivano. La soddisfazione estrinseca ha più a che fare con condizioni di lavoro come lo stipendio, la sicurezza del lavoro e le relazioni con colleghi e supervisori.

1. Impegno. Una persona seriamente impegnata nel proprio lavoro è presente, concentrata e produttiva.

Una ragione per cui si può essere poco coinvolti nel proprio lavoro è legata al fatto di non utilizzare le proprie capacità e abilità al massimo potenziale. Indubbiamente, le persone sono naturalmente più impegnate nel lavoro che mette a frutto i loro talenti.

Ciò non implica necessariamente l’obbligo di cambiare lavoro per accrescerli; i propri talenti possono essere utilizzati in qualsiasi lavoro. Certo, ognuno può essere più adatto per alcuni lavori più di altri, ma un impegno pieno nel proprio lavoro, riconoscendo come i propri punti di forza individuali ha un impatto positivo sugli altri, dando significato a qualunque ruolo ci si trovi ad occupare.

Un modo per trovare significato nel proprio lavoro è avere una chiara comprensione della correlazione tra il proprio ruolo e gli obiettivi dell’azienda. Essere consapevoli, dunque, di come il proprio lavoro stia supportando direttamente un risultato più ampio.

2. Rispetto, lode e apprezzamento. Indipendentemente dal lavoro, è importante sentirsi rispettati sul posto di lavoro e apprezzati per il lavoro che si svolge. I dipendenti sono più soddisfatti nelle loro posizioni quando si sentono rispettati e vengono elogiati per un lavoro ben fatto, anche se si tratta di un semplice ringraziamento da parte di un manager della società. I supervisori sono spesso severi quando un dipendente commette un errore o è necessario qualcosa, ma fare lo stesso sforzo per congratularsi o apprezzare un lavoro ben svolto può avere un’influenza positiva sulla soddisfazione del lavoratore.

Il feedback costruttivo e la comunicazione aperta sul posto di lavoro sono un ottimo modo per incoraggiare il rispetto tra datori di lavoro e dipendenti.

Lavorare in un ambiente in cui ci si sente non rispettati, sottovalutati e sottostimati è una delle prime cause di insoddisfazione lavorativa.

3. Equo compenso. L’importanza che i dipendenti attribuiscono ai salari come fattore che contribuisce alla soddisfazione lavorativa sembra essere in aumento, secondo l’indagine 2016 condotta dall’SRM. I lavoratori attualmente classificano i salari come il secondo fattore più importante rispetto al quarto fattore più importante dell’anno precedente.

Ma, per quanto importante sia il guadagno per i dipendenti, molti sceglierebbero il riconoscimento e l’elogio da un rialzo in denaro per sentirsi più soddisfatti del proprio lavoro.

4. Motivazione. Capire le motivazioni che stanno dietro al lavoro che già si svolge o il lavoro che si desidera può aumentare la soddisfazione sul lavoro. Chiedersi perché si è accettato un determinato lavoro, cosa si prova nel fare il proprio lavoro e a cosa si aspira è importantissimo.

Le risposte a queste domande possono aiutare a determinare dove manca la soddisfazione in modo da potersi attivare e fare qualcosa al riguardo, sia che questo significhi cambiare lavoro sia che si tratti di cambiare il proprio approccio rispetto a quello attuale.

5. La soddisfazione nella vita. Non sorprende che le persone che sono infelici nella vita hanno meno probabilità di trovare un lavoro soddisfacente.

Gli psicologi hanno concluso che le persone che sono predisposte ad essere felici e soddisfatte nella vita in generale hanno maggiori probabilità di essere felici e soddisfatte nel loro lavoro. Osservano che gli individui che sono generalmente infelici nella vita e cercano soddisfazione nel loro lavoro probabilmente non lo troveranno.

Migliorare il proprio benessere condurrà naturalmente alla soddisfazione in ambiente di lavoro.

Psyche at Work si occupa di fornire alle aziende strategie efficaci e innovative, volte a favorire un clima di benessere aziendale a tutto tondo.

Per informazioni, chiarimenti e appuntamenti potete contattare la segreteria organizzativa scrivendo a info@psycheatwork.com o chiamando il numero verde 800.301657.