17 Mar 2021

CONSIGLI SU COME PRENDERE DECISIONI GIUSTE

CONSIGLI SU COME PRENDERE DECISIONI GIUSTE

“Essere o non essere, questo è il dilemma”. Queste parole di Shakespeare racchiudono il costante problema che accompagna l’uomo quando deve scegliere che azioni intraprendere o che obiettivi perseguire. Ci si chiede spesso quale sarebbe la scelta giusta che permetta di ottenere benessere e soddisfazione. Quotidianamente ci si trova dinanzi a decisioni, dallo scegliere cosa indossare o cosa cucinare, fino allo scegliere che percorso universitario iniziare o quando fare il Master. Dunque, nella vita così come nello studio e nel lavoro siamo continuamente circondati da situazioni in cui prendere decisioni più o meno decisive. Il momento di prendere una decisione è un passaggio critico, che deve essere analizzato nei minimi dettagli. Inoltre, l’abilità “decision making” è sempre più richiesta nel mercato del lavoro odierno.

RAZIONALITÀ ED EMOTIVITÀ

Quando si mette in atto un processo decisionale, non c’è solo una mera valutazione delle migliori opportunità, ma tutto inizia, dapprima, con l’analisi delle informazioni e successivamente con la loro elaborazione, fino ad arrivare alla fine alla valutazione di tutte le alternative a disposizione. In questo processo entrano in gioco sia fattori legati alla razionalità che fattori legati all’emotività, in quanto le decisioni devono essere considerate la risultante sia dei primi che dei secondi. L’ideale sarebbe mantenersi sempre in equilibrio tra la razionalità e l’emotività e di prendere le decisioni importanti a mente lucida e calma.

CONSIGLI PER PRESE DI DECISIONI OTTIMALI

Prima di tutto, bisogna sottolineare il fatto che non esiste un decisore perfetto e non esistono consigli che facciano prendere decisioni perfette, ma seguire dei piccoli accorgimenti può aumentare le probabilità di prendere una decisione migliore.

  1. Definire in modo chiaro l’obiettivo – avere le idee chiare e sapere esattamente dove si vuole arrivare è il primo passo per prendere una decisione funzionale.
  2. Raccogliere quante più informazioni possibili – l’esaustività in questi casi è fondamentale per valutare tutte le possibili alternative.
  3. Prendere in considerazione tante possibili risposte – la regola numero uno è che non bisogna mai fermarsi alla prima idea, perché inizialmente affiorano alla mente soprattutto idee/soluzioni familiari, adottate ad esempio in precedenza, quindi meglio temporeggiare e prendersi del tempo per considerare tante possibili alternative.
  4. Valutare i pro e i contro di ogni opzione – è importante fare un’analisi attenta dei vari vantaggi e svantaggi che ogni scelta comporta, così da ponderare al meglio le decisioni.
  5. Selezionare l’alternativa più utile – dopo aver seguito i consigli precedenti, sarà più facile individuare quale tra quelle prese in considerazione ha una maggiore probabilità di condurre al successo e al benessere.
10 Mar 2021

IL DESIGN THINKING

IL DESIGN THINKING

Il Design Thinking è l’insieme dei processi cognitivi, strategici e pratici attraverso cui vengono progettati prodotti, edifici e macchinari. Negli ultimi anni tale concetto si è spostato anche verso l’innovazione di prodotti e servizi.

È un approccio all’innovazione che si basa sulla capacità di risolvere problemi complessi utilizzando una visione ed una gestione creative. In origine, il Design Thinking (codificato attorno agli anni 2000 in California dall’Università di Stanford) era più che altro un approccio all’innovazione adottato da agenzie e studi di design, centrato sulle persone e sulla loro abilità di integrare capacità analitiche con attitudini creative. Oggi, invece, la sua diffusione sta permeando in settori molto diversi, ritenuti più distanti fino a qualche anno fa: in particolare, la consulenza direzionale, la trasformazione digitale e la progettazione di software e interfacce.

La metodologia manageriale del Design Thinking aumenta notevolmente la capacità delle organizzazioni (aziende profit, no profit, pubbliche amministrazioni ecc.) di prendere decisioni efficaci e redditizie, creando condivisione e “benessere” per tutti i suoi stakeholder, interni ed esterni. Ad esempio, può aiutare le aziende a risolvere problemi organizzativi interni, accompagnare la progettazione ed il lancio di una startup, supportare e rendere più efficienti i processi di realizzazione e distribuzione di un prodotto e/o un servizio, insegnando ai team aziendali a sviluppare il pensiero creativo, sul modello di quello del designer e ad utilizzare un approccio alla soluzione dei problemi ispirato al metodo scientifico utilizzato nella ricerca.

L’obiettivo del Design Thinking è quello di identificare una soluzione innovativa ad un problema, che soddisfi tre criteri fondamentali: gradimento (del mercato o degli attori), fattibilità e redditività o sostenibilità economica.

PRINCIPALI CAMPI DI APPLICAZIONE

Il Design Thinking è applicabile a tutti i tipi di i problemi, che siano di strategia, di organizzazione, di sviluppo nuovi prodotti o servizi:

  • Consulenza strategica e definizione della strategia aziendale a medio/lungo termine
  • Ideazione di nuovi prodotti e servizi (anche innovazioni radicali) o processi
  • Progetti di organizzazione e ri-organizzazione aziendale
  • Progetti di acquisizione, spin-off
  • Progettazione ed avvio di startup
  • Ciclo risorse umane e formazione.

Tale metodologia viene applicata da un team composto da diverse funzioni aziendali (secondo la natura del progetto) ed eventuali attori chiave extra aziendali (clienti, fornitori, partner, ecc.) sotto la guida di un “Project Leader”.

I PRINCIPI DEL DESIGN THINKING

Esistono quattro principi di fondo del Design Thinking:

  • Creatività – che fa leva sulla capacità delle persone coinvolte di essere creative, fantasiose, inventive;
  • Prototipazione – che velocizza i processi di Design Thinking perché consente di comprendere in maniera rapida punti di forza e di debolezza delle nuove soluzioni da implementare;
  • User Contribution – che riguarda il ruolo che l’utente finale ricopre nel processo di innovazione, fondamentale perché il Design Thinking nasce dalla volontà di guardare ai bisogni degli utenti ed aiutarli a risolverli;
  • Durata del processo – che può variare nell’ordine di ore, giorni, mesi e anni, perché il processo di Design Thinking predilige fasi e dinamiche divergenti, in cui si generano innumerevoli nuove idee attraverso lunghi momenti di brainstorming.

MODELLI DI DESIGN THINKING

L’Osservatorio Design Thinking for Business del Politecnico di Milano ha individuato quattro forme ed interpretazioni diversi che il Design Thinking può assumere a seconda delle sfide specifiche e degli obiettivi del progetto di innovazione.

– CREAZIONE DI VISION (metodologie che fanno leva su attitudini critiche ed interpretative):

  • Creative Confidence – è l’approccio che mira a creare all’interno delle organizzazioni i presupposti perché possano essere innovative e inclini al cambiamento, stimolando, ad esempio, attitudini quali empatia e tolleranza al rischio ed al fallimento.
  • Innovation of Meaning – attraverso quest’approccio, le imprese ridefiniscono la visione aziendale, i messaggi ed i valori legati ai prodotti e ai servizi che offrono (l’obiettivo è di individuare direzioni e strategie in grado di apportare valore sia all’organizzazione che le promuove sia all’utente finale).

– CREAZIONE DI SOLUZIONI (metodologie che fanno leva su competenze creative e ideative; sono le più diffuse tra società di consulenza, studi di design, agenzia digital e sviluppatori di software e tecnologie):

  • Creative Problem Solving – con cui le imprese innovano comprendendo i bisogni dell’utente e immaginando la più elevata gamma di soluzioni possibili per rispondere alle sue esigenze, per poi restringere il campo fino a trovare la soluzione dominante.
  • Sprint Execution – attraverso cui ci si pone un obiettivo di realizzare e testare prodotti efficaci al fine di apprendere dai clienti e migliorare la soluzione. È la metodologia in cui si fa più largo uso dei principi di Prototipizzazione e User Contribution.

COME SI ARRIVA AL RISULTATO

Si arriva al risultato attraverso un metodo strutturato in cinque fasi:

  1. Identificazione del problema e quindi dell’obiettivo;
  2. Identificazione del contesto (dati e attori chiave);
  3. Esplorazione e ricerca delle opportunità;
  4. Ideazione, prototipazione, test e validazione;
  5. Implementazione.
10 Mar 2021

L’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

L’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

L’intelligenza emotiva è la capacità di comprendere e gestire le proprie emozioni. In essa sono comprese molte competenze, come: la consapevolezza di sé, la capacità di autocontrollo, l’empatia e le abilità sociali. Secondo alcuni studi l’intelligenza emotiva migliora la collaborazione tra i dipendenti e permette di avere un ambiente di lavoro più felice.

LE COMPETENZE COMPRESE NELL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Alla base dell’intelligenza emotiva ci sono due importanti competenze:

  • una riguardo la sfera personale, legata al modo in cui controlliamo noi stessi;
  • una riguardo la sfera sociale, legata al modo in cui gestiamo le relazioni con gli altri.

Tra le competenze di natura personale ci sono: la consapevolezza di sé, la padronanza di sé e la motivazione. Invece, tra le competenze sociali ci sono: l’empatia e le abilità nelle relazioni interpersonali.

La consapevolezza di sé

Essa consiste nella capacità di riconoscere le proprie emozioni e dare loro un nome. Si potrebbe pensare che dare un nome alle emozioni che si stanno provando in un dato momento sia una cosa ininfluente, ma in realtà esercitare questa attività significa già attuare una prima forma di contenimento e di controllo. La consapevolezza di sé, però, ingloba al suo interno anche il tentativo, da parte di un individuo, di auto-valutare accuratamente le proprie risorse interiori, le proprie abilità e i propri limiti; questo aspetto è importante perché conduce alla percezione del proprio valore e delle proprie capacità, e di conseguenza, può agire influenzando la fiducia in sé stessi.

La padronanza di sé
Essa implica l’essere in grado di gestire le proprie emozioni, riuscendo quindi a esprimerle in modo responsabile. Dunque, in questo caso, avere un’alta intelligenza emotiva significa essere in grado di controllare e gestire i propri sentimenti in modo tale da esprimerli in modo efficace e responsabile.  La padronanza di sé non implica un’attività atta alla soppressione di ciò che si prova, in quanto questo sarebbe irrealizzabile, ma il fine ultimo è la gestione di ciò che si prova.

La motivazione
Un aspetto chiave dell’intelligenza emotiva è la motivazione intrinseca. Le persone che possono essere definite intelligenti dal punto di vista emotivo sono coloro che riescono a motivare sé stessi e gli altri correttamente per raggiungere gli obiettivi prefissati. A questo proposito, riuscire a ottenere il massimo dagli altri, motivandoli nel migliore dei modi, è un’abilità fondamentale che consiste nello saper influenzare e ispirare gli altri. Dunque, la motivazione comporta sia la spinta alla soddisfazione personale che l’impegno nel dare sostegno anche ad un eventuale lavoro in team.

Empatia

L’empatia è la capacità di “mettersi nei panni dell’altro” percependo, in questo modo, emozioni e pensieri. È un termine che deriva dal greco, en-pathos “sentire dentro”, e consiste nel riconoscere le emozioni degli altri come se fossero proprie, calandosi nella realtà altrui per comprenderne punti di vista, pensieri, sentimenti, emozioni e “pathos”. L’empatia comprende anche la risposta che l’individuo dà dopo aver compreso lo stato d’animo dell’altra persona. Quindi ad esempio, il comportamento e la comunicazione sarà differente se si ha dinanzi una persona triste o felice.

Abilità sociali

È importante interagire bene con gli altri, perché nel lavoro saper instaurare relazioni di qualità con i colleghi è indispensabile per lavorare bene e per inspirare gli altri nel raggiungimento degli obiettivi. Le persone con un’altra intelligenza emotiva riescono a far sentire a proprio agio le persone con cui si interfacciano, dando loro interesse e attenzione. Tra le abilità sociali possiamo trovare: l’ascolto attivo, la comunicazione non verbale, la leadership e le capacità legate alla persuasione.

IMPORTANZA DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA NEL LAVORO

Prima si è visto che l’intelligenza emotiva comprende diverse capacità, come: la consapevolezza e il controllo dei propri sentimenti; la flessibilità; l’equilibrio; il lavoro in team; la leadership e la concentrazione sul lavoro.

Tutte queste caratteristiche sono sempre più apprezzate in campo lavorativo perché sapersi controllare e attenuare lo stress o saper lavorare in team con persone poco conosciute viene considerato di estrema importanza. Infatti, l’intelligenza emotiva è entrata di diritto tra le cosiddette “soft skill”, che possono essere viste come competenze trasversali che attraversano tutti gli ambiti lavorativi, dunque non sono competenze specifiche legate a un singolo compito o a una singola mansione (hard skill).

 

03 Mar 2021

IL COACHING AZIENDALE

IL COACHING AZIENDALE

Il Coaching Aziendale è un processo di affiancamento di un coach ad un’azienda finalizzato al raggiungimento di obiettivi di crescita e miglioramento avendo, come valori cardini, la produttività aziendale e il benessere individuale delle persone.

Molto spesso il coaching approda in azienda perché i titolari o i responsabili Risorse Umane si ritrovano con Manager dotati di grandi competenze tecniche, magari anche di un forte attaccamento all’azienda ed al lavoro, ma incapaci di relazionarsi efficacemente con i propri collaboratori e con i colleghi.

Certo è che il coaching aziendale non può sostituire il necessario apprendimento di competenze ormai necessarie per coprire ogni ruolo manageriale (capacità di parlare in pubblico, di strutturare una presentazione, di gestire una riunione e di guidare collaboratori); inoltre, presupposto fondamentale per il positivo avvio di un percorso di coaching in azienda è la reale convinzione da parte del committente di voler effettuare un investimento sul presupposto che il manager possegga delle potenzialità da sviluppare, delle qualità inespresse sulle quali lavorare.

Il coaching è una metodologia che si basa su una relazione di partnership paritaria (tra il Coach e il suo Cliente) che, attraverso un rapporto commerciale (di espressa natura contrattuale), mira a riconoscere, sviluppare e valorizzare le strategie, le procedure e le azioni utili al raggiungimento di obiettivi operativi collocati nel futuro del cliente.

I BENEFICI DEL COACHING AZIENDALE

I benefici principali dell’inserire il coaching in Azienda sono:

  • il miglioramento del clima aziendale
  • il miglioramento dello stile di leadership
  • la migliore gestione delle fasi del cambiamento
  • l’ottimizzazione del potenziale dei propri uomini
  • lo sviluppo del problem solving
  • la gestione del passaggio generazionale
  • il miglioramento delle performance dei singoli
  • la motivazione dei team Aziendali

“È fondamentale che Azienda, coachee e coach siano allineati sui risultati attesi all’avvio del processo di coaching”.

CONDIZIONI PRELIMINARI ED AVVIO DEL PERCORSO DI COACHING AZIENDALE

Nelle organizzazioni “evolute”, nelle quali il coaching è già utilizzato e quindi genericamente conosciuto, capita che sia il manager a chiedere all’Azienda di poter intraprendere un percorso di coaching ed essere seguito da un coach; ma non è affatto scontato che al potenziale coachee sia chiaro di cosa si tratti.

Tuttavia, in genere, è frequente la situazione in cui sia la committenza, rappresentata dalla funzione Risorse Umane o dal vertice aziendale, a proporre al manager di intraprendere un percorso di coaching e spesso il manager di turno non ne comprende l’utilità.

Oggi al termine “coaching” si attribuiscono i più svariati significati. Il più delle volte, la figura del coach viene confusa con quella dei consulenti aziendali, degli psicologi, dei terapeuti, che risolvono comportamenti patologici; ma il coaching non è la cura miracolosa che sistema rapporti ormai compromessi e salva relazione deteriorate.

Il coach lavora sul potenziale del coacheee, quindi è bene che il committente sia pienamente convinto di possedere delle capacità, magari non ancora pienamente espresse.

LA TRIANGOLAZIONE COMMITTENTE – COACH – COACHEE

  1. Il Committente incontra il coach

In questo incontro i rappresentanti dell’azienda spiegano al coach che cosa li ha portati a proporre un percorso di coaching per uno o più managers. Il coach, da parte sua, chiarisce le caratteristiche, la metodologia e le condizioni perché questa possa essere efficace.

La committenza ha diritto ad identificare l’area su cui lavorare. A seguito di questo incontro preliminare, viene redatta una versione del patto di coaching che contiene la parte economica ed organizzativa.

  1. Il committente parla con il coachee

Questo incontro è fondamentale perché vi sia una reale coachability. È in questa fase che dovrebbe esserci la condivisione delle aree su cui intervenire con il supporto professionale di un coach.

  1. Il coach presenta al coachee lo strumento, la metodologia e verifica della coachability

Dopo alcuni minuti, il committente lascia la riunione in modo che possa crearsi la relazione confidenziale e di fiducia tra il coach e il coachee. Alla fine di tale momento, se convinto, quest’ultimo firmerà il patto di coaching che conterrà gli stessi elementi di quello firmato tra coach e committente.

Elemento delicatissimo in questa relazione in cui il coaching si svolge in connessione con l’attività lavorativa è la definizione dell’obiettivo del percorso di coaching.

CONCLUSIONI

Il coaching aziendale rappresenta uno strumento potentissimo per lo sviluppo dei manager o di altri ruoli chiave in azienda.

Affinché l’introduzione del coaching in azienda diventi una storia di successo è fondamentale che:

  • il committente ne comprenda la metodologia e sia consapevole che sta facendo un investimento per lo sviluppo di una risorsa importante, quindi deve credere realmente nelle potenzialità del coachee;
  • il coach non venga a compromessi con la sua deontologia, egli ascolta, stimola, dà feedback e supporta il coachee;
  • il coachee inizi questo percorso solo se lo vuole veramente, impegnandosi e responsabilizzandosi in prima persona per raggiungere i risultati, supportato dal coach.

Fondamentale è il dialogo aperto e sincero tra il responsabile e/o il rappresentante delle Risorse Umane ed il manager futuro coachee prima dell’avvio del percorso.

03 Mar 2021

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE E L’ENTUSIAMO A LAVORO

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE E L’ENTUSIAMO A LAVORO

Il lavoro occupa molte ore della nostra giornata, infatti, se consideriamo le ore da dedicare al sonno e quelle da dedicare al tempo libero, ci renderemmo facilmente conto della sua preponderanza nella nostra vita. Dunque, avere la giusta motivazione a lavoro è fondamentale per condurre una vita felice perché è strettamente correlata alla soddisfazione a livello personale.

Tra i sintomi della mancanza di motivazione possiamo annoverare: la difficoltà nel concentrarsi sul quello che si fa, la scarsa produttività e l’assenza di stimoli. Si tratta di una fase frequente lungo la carriera professionale dei lavoratori, che può essere considerata fisiologica. Le conseguenze di una mancanza di entusiasmo/motivazione a lavoro possono essere molto ampie, ripercuotendosi sull’intera azienda, oltre che sul singolo lavoratore (sulla sua soddisfazione personale).

COS’È LA MOTIVAZIONE A LAVORO

La motivazione a lavoro indica quella spinta interiore, che porta il lavoratore a svolgere la sue mansioni con tutte le risorse fisiche e mentali a sua disposizione per poter raggiungere gli obiettivi prefissati. Questo significa che tanto più questa spinta sarà maggiore, tanto più le mansioni di cui è responsabile saranno svolte nei migliori nei modi. Logicamente, questo porta vantaggi per l’azienda per cui lavora, in termini di produttività e di competitività; inoltre, il successo aziendale, derivante da motivazioni individuali, conduce al miglioramento del benessere generale per i lavoratori, in quanto permette di potenziare variabili individuali, come l’autostima, la sicurezza e i sentimenti legati all’autorealizzazione.

COME RITROVARE LA MOTIVAZIONE?

È importante per il singolo lavoratore affrontare il problema di una carenza di motivazione individualmente, lavorando su sé stesso. Di seguito ci sono quattro consigli per ritrovare la motivazione e l’entusiasmo sul lavoro.

  1. Formulare in modo funzionale gli obiettivi – la mera fissazione degli obiettivi non basta per ritrovare la motivazione perduta, infatti è necessario che questi siano formulati seguendo alcuni requisiti. Essi devono essere: specifici (bisognerebbe inserire quante più specifiche possibile per renderlo estremamente dettagliato); motivanti (non dovrebbe essere troppo facile per il lavoratore raggiungerli, ma allo stesso tempo non dovrebbero essere troppo difficili per non scoraggiarlo in partenza, quindi si deve trovare il giusto equilibrio lungo questo continuum); deve essere espresso in forma positiva; deve essere immaginabile mentalmente e deve essere suddivisibile in sottobiettivi.
  2. Concedersi una vacanza – se il lavoratore ha poche energie e se lo stress percepito supera il livello soglia, è fisiologico non riuscire a mantenere livelli elevati di motivazione ed entusiasmo. Dunque, in questi casi è indispensabile prendersi una pausa dal lavoro, che permetta di staccare completamente per un periodo di tempo, al fine di ricaricare le pile e tornare nuovamente a lavoro con le giuste forze e con il giusto entusiasmo. Se non ci si prende una pausa si può incorrere in patologie molto gravi come la sindrome di burnout.
  3. Implementare premi frequenti – è risaputo che i feedback e i premi per il raggiungimento di determinati obiettivi sono fondamentali per mantenere le motivazioni ad alti livelli. Inoltre, in alcuni studi è apparso chiaramente che i lavoratori che ricevono premi frequenti e immediati manifestino maggior entusiasmo per il proprio lavoro rispetto a chi ha ricevuto premi in ritardo o solo al termine di un determinato progetto.
  4. Aggiornarsi – per ritrovare le motivazioni sul lavoro è utile ampliare le proprie competenze, dunque è importante individuare un ambito pertinente alla propria professione su cui investire.
24 Feb 2021

REINVENTARSI NEL LAVORO

REINVENTARSI NEL LAVORO

Sempre più spesso si sente parlare dell’importanza della flessibilità per reinventarsi nel lavoro. Ci si potrebbe ritrovare in questa necessità per vari motivi, ad esempio: il fallimento dell’azienda, lo stress accumulato, la mancanza di opportunità, il bisogno di mobilità, etc. Tutte queste potrebbero essere delle situazioni che metterebbero una persona dinanzi alla necessità di reinventarsi nel lavoro e quindi di cambiare vita. Questa è una grande sfida che necessita però di un’adeguata preparazione mentale.

Cambiare lavoro può costituire per alcuni una complessa impresa, in quanto, nonostante il proprio mestiere non riesca più a dare soddisfazione e appagamento, si preferisce rimanere nella propria comfort zone, perché si ha paura di ciò che potrebbe accadere in futuro.

 

L’ESPERIENZA SPIACEVOLE DELL’INCERTEZZA

Il tratto distintivo del processo di cambiamento di carriera è l’esperienza emotiva dell’incertezza, sperimentata quando ci si trova nella terra di mezzo, tra un passato e un futuro ancora da scrivere. Questa condizione è sicuramente poco piacevole e le persone che la attraversano si sentono smarrite, perdono l’orientamento e oscillano tra il “tenere duro” e il “lasciarsi andare”. Ma questa fase di incertezza è fondamentale, perché permette di elaborare molte emozioni complesse e desideri contrastanti e, in ultima analisi, impedisce di fermarsi prematuramente.

Alcune ricerche suggeriscono di approfittare di questo periodo di mezzo sia per fare un lavoro interiore, utile per comprendere cosa in realtà vogliamo e cosa dobbiamo fare per raggiungerlo, sia per ricostituire le riserve di attenzione e di motivazione.

L’IMPORTANZA DEL CONFRONTO

Quando si è nel pieno della confusione e dell’incertezza, molti pensano che prima o poi arrivi un’intuizione improvvisa che risolva questa situazione emotivamente difficile. L’autoriflessione è sicuramente un passo importante, ma se non è accompagnata da una sperimentazione attiva della realtà può portare a restare bloccati nel regno dei sogni.

L’autoriflessione, però, è una pratica che può dare migliori risultati quando fatta ad alta voce negli scambi sociali, con altre persone che possono comprendere, provare empatia, leggere il linguaggio non verbale e rispondere.  Il semplice atto di creare e raccontare una storia su ciò che si vuole fare o sul perché si vuole un cambiamento può chiarire il proprio pensiero e può spingere in avanti, impegnandosi a fare un cambiamento.

Con il lockdown forzato, queste possibilità sono ridotte, ma con un po’ di inventiva e di organizzazione si può risolvere, ad esempio programmare delle passeggiate seguendo le regole di distanziamento sociale oppure creare un gruppo su Facebook o anche degli appuntamenti periodici su Zoom.

CONCLUSIONI

Reinventarsi dal punto di vista lavorativo è importante perché se si va avanti svolgendo una mansione che non piace o per la quale si è perso interesse nel tempo, non si fa altro che perdere altro tempo. Ricominciare fa paura, ma trovare la forza per farlo è il primo gradino nella scala che condurrà alla felicità. Quello che si può fare è partire dalle passioni, dal cercare di capire come trasformarle in un lavoro vero e proprio, che si vorrebbe fare per tutta la vita.

Infine, nonostante il periodo di difficoltà causato dal Covid, c’è da ricordarsi un punto critico: il momento di mettersi in gioco è adesso, ma fatelo interagendo e parlando con altri, non fate affidamento solo ed esclusivamente sull’autoriflessione.

 

24 Feb 2021

LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

La Sindrome dell’Impostore descrive una condizione psicologica tipica delle persone di successo, convinte di non meritare il successo ottenuto nella propria carriera. Essa è caratterizzata dall’incapacità di interiorizzare i propri successi e dal terrore persistente di essere esposti in quanto “impostori”.

Il successo ottenuto si pensa che sia collegato a fattori come la fortuna o il tempismo, oppure ritenuto frutto di un inganno o della sopravvalutazione degli altri. Inoltre, uno studio pubblicato su International Journal of Behavioural Science ha affermato che a soffrirne è circa il 70% delle persone, soprattutto donne. Inoltre, numerosi studi hanno individuato la prevalenza del fenomeno in coloro che hanno un’istruzione superiore, come studenti e docenti universitari.

CARATTERISTICHE DELLA PERSONA CHE SOFFRE DELLA SINDROME DELL’IMPOSTORE

Le caratteristiche chiave che permettono di individuare una persona che soffre di questa patologia sono le seguenti:

  • Non gode mai i risultati raggiunti.
  • Vive sempre con la paura di fallire;
  • Non ascolta i suoi bisogni e interessi, aderendo eccessivamente alle aspettative di altri;
  • Tende a rimuginare sulle cose, rischiando di procrastinare attività o rischiando di non accettarle per la paura di non essere all’altezza – a questo proposito, coloro che sono colpiti da questa problematica hanno pensieri ossessivi sulle eventuali conseguenze future, che causano la costante preoccupazione di voler dimostrare il proprio valore;
  • Si confronta costantemente con gli altri, che vede a sua volta come più bravi e più preparati;
  • Si giudica e si auto-punisce, mentre tende a vedere con uno sguardo più benevolo il prossimo;
  • Dà una importanza eccessiva a quello che pensano gli altri;
  • Non accetta i propri limiti;
  • Odia delegare perché cerca di avere tutto sotto il suo controllo, preferendo fare tutto in prima persona;
  • Ha una mania legata alla perfezione e si auto-pone obiettivi troppo ambiziosi.

Chi soffre della Sindrome dell’Impostore entra in un circolo vizioso in cui sente di non meritare i complimenti e i vari riconoscimenti, dunque aumenta il controllo e la perfezione sul lavoro, stabilendo obiettivi molto ambiziosi, molto difficili da raggiungere. Tutto questo porta il soggetto a provare ansia, sensi di colpa e un senso di inadeguatezza che alla fine farà aumentare anche la percezione di non essere all’altezza e quindi di non meritare il successo.

COME GESTIRE LA SINDROME DELL’IMPOSTORE

Quelli che seguono sono solo dei suggerimenti atti a cercare di porre rimedio a questo circolo vizioso, per arrivare a godere appieno dei propri successi.

  1. Evitare il confronto con gli altri – per cercare di uscire da questa sindrome è necessario evitare di confrontarsi continuamente con gli altri, infatti in questi ultimi si tende a vedere dei meriti che però non ci si riconosce, dunque si va a creare un disequilibrio che porta a un’ulteriore auto-svalutazione. Questo accade perché conosciamo bene noi stessi, ma conosciamo molto poco gli altri, in quanto sappiamo le nostre ansie, paure e dubbi, ma degli altri conosciamo solo ciò che mostrano e come desiderano voler apparire ai nostri occhi.
  2. Dimenticarsi della “perfezione” – non bisognerebbe essere ossessionati dalla voglia di perfezione perché questo porta solo a scontrarci con noi stessi. Il segreto è fissare obiettivi che siano realistici, ma allo stesso tempo stimolanti, infatti non si può rincorrere qualcosa di irraggiungibile. Nessuno è perfetto.
  3. Dare importanza alle proprie valutazioni – come accennato prima, solitamente diamo troppa importanza a ciò che pensano gli altri, mettendo in secondo piano i nostri pensieri e le nostre valutazioni. Si dovrebbe imparare ad accontentarsi delle proprie valutazioni, senza cercare continue conferme esterne. Il continuo rivolgersi verso l’esterno per chiedere pareri e valutazioni non porterà sempre e in ogni caso dei feedback positivi, perché è impossibile che a tutti piaccia quella specifica performance.
  4. Esporre le problematiche ai propri conoscenti e, se necessario, chiedere aiuto – condividere le problematiche con qualcuno di vicino, come amici o parenti, può alleggerire il peso da sostenere per l’individuo e questo può produrre delle rassicurazioni che potrebbero far migliorare la situazione. Se tutto questo non dovesse bastare, il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad un professionista, un esperto che potrà ideare un percorso terapeutico adeguato.
17 Feb 2021

PSICOLOGIA DEL COLORE: lo studio degli effetti dei colori

PSICOLOGIA DEL COLORE: lo studio degli effetti dei colori

I colori in psicologia hanno sempre avuto un forte valore simbolico, che dipende in parte dalle sensazioni psichiche immediate, ma anche dal nostro vissuto e dal nostro carattere. Infatti, il significato dei colori a livello psicologico riguarda il campo delle emozioni, delle esperienze personali e passate.

Ogni colore stimola la mente umana producendo un determinato stato d’animo; in psicologia esiste una Teoria secondo la quale i colori assumono un significato e ci possono essere utili nella quotidianità.

Probabilmente è proprio il colore l’elemento che meglio rappresenta lo scambio di un messaggio dotato di significato: siamo noi, ad esempio, che nel momento in cui decidiamo di indossare una determinata tonalità di colori stiamo dicendo al mondo come ci sentiamo e che emozioni stiamo vivendo. Chi ci guarda recepisce questo messaggio, anche se inconsapevolmente. Proprio per questo, anche con i colori possiamo creare dei malintesi e trasmettere, involontariamente, un messaggio sbagliato a chi ci sta intorno.

MA, COS’È IL COLORE?

I colori non esistono in natura così come noi li vediamo.

È l’occhio umano che assorbe dalla luce una radiazione elettromagnetica e, a seconda della lunghezza d’onda e dell’intensità di questa radiazione, i fotorecettori della retina inviano un determinato stimolo al cervello che si trasforma nella percezione di un particolare colore.

Si distinguono colori primari, secondari e neutri, e sono varie le influenze dettate dalle sovrapposizioni:

  • Colori PrimariBlu, Rosso, Giallo;
  • Colori SecondariArancione (giallo con rosso), Viola/Lilla (blu con rosso), Verde (giallo con blu);
  • Colori NeutriBianco e Nero;
  • Colori Complementari – colori che uniti con un colore primario creano la Luce Bianca (arancione per il blu, viola per il giallo, verde per il rosso).

Dopo aver scoperto che ogni tinta innesca uno stimolo diverso nel cervello umano, molti studiosi si sono interessati alla “cromologia”, cioè l’analisi del colore e i suoi effetti sulle diverse aree del cervello.

I COLORI DELLE EMOZIONI

Quando si parla di psicologia dei colori si parla soprattutto di emozioni, infatti il significato dei colori è un linguaggio che cerca di evocare in noi sensazioni di un determinato tipo.

La psicologia del colore nasce perché i colori possono stimolare la mente umana provocando delle emozioni particolari. Ogni colore ha infatti il suo significato e la sua connessione precisa con una parte del cervello che determina emozioni o stati d’animo specifici. Essa è usata a livello di neuromarketing per creare ambienti, pubblicità e cultura in grado di impattare sulle nostre emozioni.

La psicologia dei colori viene usata anche come terapia per determinati disturbi – è la cosiddetta Cromoterapia. Essa s’inserisce tra le medicine alternative ed è definita come terapia integrativa, di supporto alle altre medicine più invasive. Il colore viene visto come arte, forma, vita, terapia.

La psicologia dei colori viene usata anche per alcuni test di personalità durante i test di selezione lavorativi. Per esempio, il Test Dei Colori di Lüscher è un test, inventato nel 1947, che permette di analizzare, con metodo scientifico, lo stato psicofisico di una persona in base alla sua preferenza per i colori. Secondo la psicologia autoregolativa, lo scopo della terapia è quello di individuare tali disturbi e di ripristinare l’armonia perduta.

Questo test è molto utile per studiare più a fondo la personalità degli adulti, ma anche e soprattutto per analizzare i bambini che non hanno molta famigliarità con la scrittura o il disegno, dal momento che permette di poter studiare anche gli scarabocchi basandosi sulla scelta dei colori.

Secondo Lüscher, ogni colore ha un significato universale ed obiettivo, cioè la percezione cromatica è esattamente la stessa per tutti e tutte le culture; ciò che varia nella percezione del colore è la valutazione data dal singolo alla percezione stessa, il suo accettarla o rifiutarla: la percezione potrà dunque risultare, a seconda della valutazione data dal soggetto, simpatica, indifferente o antipatica.

SIMBOLOGIA E SIGNIFICATO DEI COLORI

Così come nelle tradizioni del passato, anche nella più moderna cromoterapia i colori sono associati ad alcune proprietà particolari. Dunque, in questo paragrafo, vedremo come la Simbologia dei Colori, unita alla Psicologia dei Colori, possa spiegare la nostra personalità a partire dagli stimoli delle onde elettromagnetiche che, attraverso i nostri occhi, stimolano diverse aree del cervello:

  • Il BLU ha effetto calmante, tranquillizzante e rinfrescante, e favorisce la meditazione e il fluire dell’energia

– a livello economico, è utilizzato perché non è invasivo e porta alla produttività;

– a livello psicologico, è associato alla spiritualità ed alla sensibilità, infatti chi ama questo colore è generalmente una persona tranquilla, riservata e meditativa, che preferisce contesti esclusivi ed eleganti; secondo la Psicologia del Colore, questa tinta rilassa perché comunica un senso di pace, stabilità e armonia; è anche il colore delle relazioni, della fedeltà a diversi gradi, che designa un rapporto stabile e privo di tensioni, caratterizzato da sentimenti profondi;

– la Cromoterapia utilizza il blu nelle pareti per far dimenticare lo stress e tutti i problemi ad esso annessi come ansia e insonnia.

  • Il ROSSO è tradizionalmente associato all’amore, è anche il colore del calore e dell’energia; è il simbolo del fuoco, del sangue e dell’eccitazione sessuale

– a livello psicologico, è collegato alla forza, al potere e all’attività nervosa e vitale; è il colore della passione e del desiderio sotto tutte le sue forme, non solo il desiderio amoroso ma anche quello economico o del successo; è una spinta all’azione verso un cambiamento rivoluzionario; trasmette sicurezza ed è indossato per lo più da chi vuole essere al centro dell’attenzione;

– il rosso tende anche ad identificare il presente a livello temporale, è tipico di una persona che vive nel qui e nell’ora;

– per la Cromoterapia, una parete dipinta di rosso può incrementare la pressione del sangue ed accelerare il polso, sembra essere utile contro depressione, asma, tosse e impotenza;

– a livello di marketing, viene usato per attirare l’attenzione, comunicare una sensazione di urgenza o pericolo o per stimolare l’impulsività.

  • Il GIALLO trasmette felicità e buon umore, raffigura la parte intellettuale del cervello

– nella Psicologia del Colore, è considerato un colore molto forte; è luminoso ed evocativo e nella gamma dei colori primari è quello che richiama più leggerezza; indica una personalità aperta, rilassata e potente, è il colore del sole, dell’estate, della felicità momentanea; è il colore del sole e per questo è simbolo di vitalità, di ottimismo e di rinascita, chi lo indossa ha una personalità forte e ama stare in mezzo alla gente, è un vortice di energia, ma non costante come chi preferisce il rosso; il giallo è simbolo di cambiamento, a volte anche in modo superficiale, il soggetto che preferisce il giallo non si riposa mai ma è sempre in movimento verso nuove ambizioni;

– a livello temporale, il giallo rappresenta il futuro, un’attesa di qualcosa o di una felicità più grande, o la risoluzione di un conflitto interno;

– secondo i Cromatisti, funge d’aiuto allo studio per favorire la concentrazione, infonde felicità, gioia e protezione;

– a livello gastrico, il giallo simboleggia l’eliminazione delle tossine;

– nel marketing viene usato per identificare l’ottimismo e la giovinezza, ma è un colore che può generare pesantezza e sensazioni negative a lungo andare, ciò lo porta ad essere considerato un colore ambivalente.

  • L’ARANCIONE unisce i due colori dell’energia, è il colore della pace interiore e della trasformazione e viene spesso utilizzato dal buddismo

– a livello psicologico, questo colore trasmette sensazioni positive, di serenità e ottimismo; vestirsi con questa tonalità indica entusiasmo per la vita, allegria e socievolezza;

– a livello di marketing viene utilizzato per indurre all’acquisto, soprattutto nelle sfumature più tenui perché sennò potrebbe risultare troppo pesante.

  • Il VIOLA o LILLA tende in qualche modo a unire la calma e sottomissione del blu all’impulsività del rosso, creando una fusione, un’identificazione del soggetto con l’oggetto

– a livello psicologico, è il colore della magia; l’unione di rosso e blu crea una forza intuitiva e fantastica che può portare il soggetto a pensare che i suoi desideri possano essere realizzati; i giovanissimi preferiscono questo colore, proprio perché ciò significa credere ancora che il mondo sia magico e che tutto sia possibile; è un colore che può portare ispirazione ma anche ambivalenza, dovuto proprio a queste spinte di forza e di calma insite nella sua composizione;

– il ROSA, una sua sfumatura, è tradizionalmente associato alla femminilità, alla dolcezza e al romanticismo; le donne adulte ricorrono a questo colore proprio per recuperare questa dimensione di purezza e ingenuità tipica dell’infanzia, che in qualche modo le fa sentire al sicuro, è una scelta che indica la volontà di rimarcare la propria femminilità.

  • Il VERDE simboleggia l’armonia, la natura, l’equilibrio e la speranza

– in base alla Cromoterapia, sembra agire a livello del sistema nervoso calmando emicrania e patologie ai nervi; contribuisce a diffondere armonia e calma, ed è molto utile per chi soffre di ansia e depressione; è il colore della natura e trasmette sensazioni di pace, è un inno alla vita, alla rinascita;

– a livello psicologico è la resistenza al cambiamento, mentre a livello fisiologico è la tensione elastica; chi predilige il verde tende ad avere opinioni chiare e decise mettendosi solitamente su un piedistallo, è una persona fiera ed equilibrata, che riesce a creare una barriera verso gli stimoli esterni in modo tale da controllarli e dirigerli; in questo senso il verde ricerca condizioni di vita migliori sia a livello di salute che pratiche.

  • Il BIANCO è il colore della purezza, dell’innocenza e della sensibilità, è associato al bon ton e all’eleganza semplice ma raffinata; in un ambiente apporta sensazioni di pace, guarigione e tranquillità; rappresenta l’inizio di qualcosa, una pagina bianca su cui iniziare a scrivere una nuova storia.
  • Il NERO, come il bianco, è una tinta totalizzante, è un colore forte e autoritario, un must have perfetto per ogni situazione, che non impone di dover scegliere; in un certo senso è un colore che non prende posizione, che non racconta troppo di chi lo indossa; è il classico colore formale dell’eleganza, è minimalista ma fondamentalmente misterioso; inoltre, può rappresentare la fine, la negazione del colore, e quindi la morte, la perdita; proprio per questo ha sempre avuto una connotazione negativa e malvagia per la sua caratteristica fisica di assorbire la luce al 100% e di intrappolarla.
  • Anche il GRIGIO è un colore neutro; è un colore privo di stimoli e di tendenze psicologiche; in questo senso, chi sceglie questo colore normalmente non vuole compromessi, responsabilità o coinvolgimenti; a livello psicologico è il colore dell’immobilità della giustificazione, senza prendere realmente parte a nessun evento o influenza esterna.

Diversi studi hanno determinato che il colore più apprezzato è il BLU.

17 Feb 2021

WORK ENGAGEMENT

WORK ENGAGEMENT

Maslach eLeiter(1997) considerano il “Work Engagement” e il “Burnout” due estremi dello stesso continuum. Il burnout è una sindrome caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e scarsa realizzazione professionale. Invece, l’engagement si manifesta attraverso il coinvolgimento, l’impegno, l’efficienza e l’elevata energia e quindi si identifica con l’assenza di burnout.

Work engagement è un concetto associato a uno stato di benessere e a una relazione positiva tra le persone e il proprio lavoro. Con questa espressione si fa riferimento alla propensione del lavoratore a essere pienamente presente nell’organizzazione e alla disponibilità degli individui ad agire in modo da seguire gli interessi della struttura per la quale si lavora sentendosi attratti, dediti ed entusiasti. Il lavoratore, dunque, prova uno stretto legame affettivo nei confronti delle sue attività lavorative e si sente capace di occuparsi delle richieste del suo lavoro.

COME MISURARE IL WORK ENGAGEMENT

La principale scala per misurarlo è la UWES (Utrecht Work Engagement Scale). Il coinvolgimento lavorativo è caratterizzato da tre aspetti: vigore, dedizione e assorbimento.

  • Il vigore consiste nell’impiego di alti livelli di energia e di resilienza mentale durante l’attività lavorativa, essenziali per incanalare ogni sforzo anche di fronte ad eventuali difficoltà.
  • La dedizione è il grado di coinvolgimento nel proprio lavoro, che si esprime in significatività, entusiasmo, ispirazione, orgoglio e sfida.
  • L’assorbimento, infine, rappresenta la condizione di pieno coinvolgimento nel proprio lavoro, dal quale ci si distacca malvolentieri.

Esistono diverse versioni di questo questionario, con un numero variabile di item, a partire da quella originale che ne presentava 24.

Uno strumento alternativo per la misurazione del work engagement è l’OLBI (Oldenburg Burnout Inventory), utilizzato primariamente per la misurazione del burnout e consiste in due dimensioni: esaurimento-vigore e cinismo-dedizione.

CONSEGUENZE DEL WORK ENGAGEMENT

Il work engagement strettamente correlato a una serie di esiti positivi, tra cui una performance di livello elevato. I lavoratori con alti livelli di engagement conseguono prestazioni superiori grazie alla disponibilità di maggiori risorse personali e lavorative, soprattutto nelle situazioni ad alta richiesta lavorativa. Avendo prestazioni migliori, tali lavoratori ottengono risultati più importanti sia nella performance legate alla propria mansione, che in quelle extra-role (compiti che sono fuori dai confini formali del proprio lavoro). Questi lavoratori investono le proprie energie con maggiore intensità e tenacia rispetto agli altri e sono più propensi a mettere in atto comportamenti di cittadinanza organizzativa. Il coinvolgimento lavorativo, che va di pari passo con l’identificazione del lavoratore con la propria azienda e con la propria mansione, è associato a:

  • Minori intenzioni di turnover;
  • Basso assenteismo;
  • Maggiore soddisfazione;
  • Maggior commitment organizzativo;
  • Migliore tolleranza allo stress.

Inoltre, questi lavoratori sperimentano emozioni positive, utili a stimolare lo sviluppo delle risorse personali e lavorative, promuovendo la salute psicologica e alimentando il futuro impegno. Infine, l’engagement è contagioso nei confronti di altri colleghi,  stimolando un miglioramento della performance del team e dell’organizzazione in generale.

10 Feb 2021

METEREOPATIA: lo stretto legame fra clima e benessere

METEREOPATIA: lo stretto legame fra clima e benessere

La meteoropatia è un disturbo che colpisce moltissime persone, è l’insieme di alcuni disturbi di natura fisica e psichica che si manifestano a seconda delle variazioni del tempo meteorologico o dei cambi di clima stagionali.

In genere un meteoropatico tende a manifestare alcuni sintomi tipici, soprattutto durante l’inverno, quando il clima è grigio e freddo (spesso viene anche detto depressione invernale), o ai cambi di stagione.

La meteoropatia non sembra avere una causa ben precisa, potrebbe essere il risultato di una combinazione di diversi fattori. Anche se una causa certa è l’effetto della diminuzione delle ore di luce sul nostro organismo; essa altera il livello di serotonina e melatonina, gli ormoni che influenzano l’umore.

SINTOMI DELLA METEREOPATIA

Il clima influenza inevitabilmente sia il nostro corpo sia la nostra mente e a questo legame nessuno può sottrarsi. Come già detto, i cambiamenti climatici possono alterare la produzione di alcuni ormoni che controllano il nostro umore.

Piove, umore grigio. C’è il sole, festa grande. Il vento o la pressione atmosferica possono essere la causa di una giornata storta. Le persone tendono ad essere più aggressive, irritate, e anche meno altruiste. L’elemento climatico più stressante in assoluto è il freddo, ha un aspetto ossessivo!

Gli effetti del clima si manifestano attraverso reazioni molto contenute e lievi, che si avvertono nei 2-3 giorni prima del cambiamento atmosferico. Uno sbalzo climatico può acuire dolori già esistenti oppure dare vita ad una serie di malesseri temporanei.

I sintomi potrebbero essere:

  • Stress;
  • Irritabilità;
  • Aumento dei disturbi cardiovascolari (palpitazioni e tachicardia);
  • Malinconia ed apatia;
  • Cefalea;
  • Insonnia o Desiderio costante di dormire;
  • Calo del desiderio sessuale;
  • Debolezza;
  • Sbalzi d’umore;
  • Dolori articolari.

Siamo tutti un po’ meteoropatici e sensibili alle variazioni ambientali, anche se con le dovute differenze soggettive. Sono maggiormente influenzati gli ansiosi e coloro che mal tollerano i rumori, e tutti coloro suscettibili alle variazioni ambientali. Inoltre, colpisce soprattutto i soggetti fisicamente più deboli, come bambini ed anziani, chi fa abuso di alcolici e di farmaci, chi si trova in un periodo particolarmente stressante ed i pazienti debilitati da disfunzioni psichiatriche o neurolabili.

TRE DIVERSI TIPI DI METEOROPATIA

Il clima può causare più di un semplice malumore. Siamo nel campo del disturbo affettivo stagionale, dove un ruolo fondamentale lo gioca l’esposizione alla luce naturale. C’è un legame consolidato e scientificamente molto forte fra quantità di luce e umore.

I medici distinguono tre diversi tipi di meteoropatia:

  • la prima causa mal di testa, difficoltà di concentrazione, insonnia notturna, difficoltà di respirazione;
  • la seconda riguarda solo coloro che soffrono di malattie (asma o i dolori cronici), che tendono a peggiorare al cambio del clima;
  • la terza, detta anche da scirocco, è correlata all’aumento dell’elettricità statica causata dai forti venti, che rendono le persone più irritabili.

RIMEDI PER LA METEOROPATIA

Il suggerimento dei medici consiste nell’assumere un corretto stile di vita, per modificare la visione dell’inverno e dell’autunno. Spesso le persone che soffrono di meteoropatia tendono ad assumere sonniferi ed ansiolitici, che possono anche peggiorare la situazione, soprattutto se utilizzati in modo ricorrente nel tempo.

I consigli da seguire sono molti:

  • Uno stile di vita più attivo, che allontani la depressione e l’ansia, e che aiuti a migliorare la coscienza di sé e il rapporto con la propria psiche: aumentare le attività all’aria aperta, iscriversi ad un corso di yoga o di meditazione.
  • La fitoterapia, attraverso l’uso dei fiori di Bach, oppure di erbe riequilibranti (biancospino, angelica, ginseng, il ribes nero).
  • Una cura a base di idroterapia o di agopuntura, entrambe volte a regolare gli ormoni che vengono prodotti in modo alterato quando cambia il tempo.
  • È molto utile anche evitare di vivere in ambienti scuri e bui, o insalubri: fumosi o con aria eccessivamente secca o umida.
  • Evitare di lasciare campo libero allo stress, che aiuta anche nel caso in cui la meteoropatia porta ad un’elevata irritabilità, al calo del desiderio sessuale o all’apatia. Alcune tisane di piante officinali possono essere utili (valeriana, tiglio, biancospino).